Lo stato turco accresce di giorno in giorno la sua presenza in Libia. Gli ultimi aggiornamenti sui piani militari di Erdoğan non ci rivelano il numero esatto di truppe che la Turchia intende mandare in Libia, ma è probabile che l’unione di forze di terra, aeree e marine che il presidente turco intende dispiegare in Libia sia relativamente massiccio. I piani turchi dietro all’intervento in Libia e al meno recente intervento in Siria sono tutt’altro che semplice beneficenza agli stati di Fayez al-Sarrāj e Bashar al-Assad. Dietro le azioni militari di Erdoğan e dell’esercito turco si cela un complesso, ma non così incomprensibile, piano per la costruzione di una piccola egemonia.
Gli ultimi aggiornamenti sul conflitto
Il dispiegamento delle forze turche in Libia è diventata una notizia di dominio pubblico durante i primi giorni del 2020, dopo il voto del parlamento di Ankara che ha approvato l’operazione, ma non è sicuro che non fosse già avvenuto senza che ne fosse fatto alcun annuncio. Lo stato turco infatti già supportava e riforniva di armi il governo di Tripoli, riconosciuto dall’ONU, e aveva proposto ad al-Sarrāj un ulteriore aiuto tramite la concreta presenza turca sul territorio a supporto del Governo di Accordo Nazionale della Libia. Il presidente e primo ministro Fāyez Muṣṭafā al-Sarrāj ha subito accettato l’offerta di Ankara perché fatica a resistere alle offensive del suo rivale principale al controllo della nazione, Khalifa Haftar. Nonostante al-Sarrāj sia ufficialmente sostenuto dalle Nazioni Unite, il suo nemico è ufficialmente supportato dagli Emirati Arabi Uniti e dall’Arabia Saudita, ma anche da altri paesi che ufficialmente sono alleati del Governo di Accordo Nazionale della Libia. I presidenti di Stati Uniti e di Francia hanno incontrato in più occasioni il generale Haftar; Donald Trump lo ha lodato, ed Emmanuel Macron lo ha incontrato due anni fa.
Gli interessi delle due nazioni sono facilmente intuibili. Se da un lato si dichiarano sostenitrici del governo stanziato a Tripoli nato dagli accordi di pace dopo il primo conflitto libico, così da attenersi a quella che è l’opinione della maggioranza degli stati del mondo, d’altra parte non negano la possibilità che sia Haftar a uscire vincitore dal conflitto. Il generale libico controlla già due terzi del territorio del paese africano, tra cui la maggioranza delle riserve petrolifere del paese. Il conflitto rischia di degenerare ulteriormente e causare molte altre vittime (è notizia di qualche giorno fa, per esempio, dell’attacco all’accademia militare di Tripoli, che ha causato trenta morti e trentatré feriti), perché la situazione nel paese africano è al momento statica e l’attenzione internazionale è divisa tra la guerra in Libia, l’assassinio del generale iraniano Qasem Soleimani da parte degli Stati Uniti e gli incendi in Australia. Inoltre il governo di Tripoli è svantaggiato dall’instabile situazione politica, data la popolazione politicamente eterogenea, divisa tra tribù locali, religiosi, socialisti e fedeli all’eredità di Gheddafi.
Haftar ha iniziato l’assedio di Tripoli durante l’aprile del 2019, ma nelle ultime settimane si è visto un intensificarsi degli attacchi. A poco è servita la condanna del ministro degli esteri del Governo di Accordo Nazionale della Libia, che ha richiesto l’attenzione della Corte Penale Internazionale dato che si presume Haftar violi fondamentali diritti umani, e dell’UNSMIL (l’ente delle Nazioni Unite che coordina le operazioni in Libia). Nelle ultime settimane è inoltre cresciuta la preoccupazione del governo italiano riguardo la situazione libica. L’Italia ha storicamente coltivato interessi in Libia sia dall’invasione della stessa avvenuta durante il ventennio fascista, ma ha anche temuto le migrazioni di massa provenienti dal paese nordafricano degli ultimi dieci anni. L’8 gennaioIl primo ministro Conte aveva pianificato un incontro con il generale Haftar e il presidente al-Sarrāj nella stessa giornata, ma è riuscito a incontrare solo il primo. Il rappresentante del governo di Tripoli non si è infatti presentato all’appuntamento previsto in serata, apparentemente irritato dal fatto che il premier italiano abbia prima incontrato il generale. Era perfino circolata una notizia, poi smentita, di un possibile rapimento di al-Sarrāj, rilanciata in un primo momento dallo stesso palazzo Chigi nel tentativo di respingere le critiche nei confronti di questa dubbia mossa diplomatica.
Le ambizioni di Erdoğan
I motivi che hanno portato la Turchia a dispiegare truppe in Libia, sono molteplici e di diverse nature. Innanzitutto, la Turchia ha un grande interesse nel ricostruire le proprie relazioni con la Libia, con cui in passato non aveva un rapporto molto positivo dato che Gheddafi sosteneva l’indipendenza del popolo curdo. Apparentemente Erdoğan aveva proposto all’ex capo di stato libico, appena la situazione degenerò nel 2011 e il conflitto era diventato inevitabile, esilio in Turchia, ma Gheddafi aveva prontamente rifiutato e scatenato ulteriormente l’ira del governo turco. Un altro importante motivo per cui la Turchia si è schierata contro Haftar a favore di al- Sarrāj è il seguente: la Turchia possiede al momento uno degli eserciti più potenti al mondo e militarmente è più potente di ogni stato europeo. La Libia è uno scenario perfetto per una dimostrazione di forza e per esercitare pressione su nemici e “quasi amici”, come Russia e Unione Europea con cui Erdoğan mantiene rapporti complicati.
I rapporti turchi con l’Unione Europea sono critici per svariate ragioni, tra cui il cruccio decennale della possibile entrata della Turchia nell’Unione, la crisi migratoria, le sempre più frequenti violazioni dei diritti umani che avvengono in Turchia. I rapporti della Turchia con la Russia raggiunsero il minimo storico nel 2015 con l’abbattimento di un aereo militare russo da parte di due aerei turchi al confine con la Siria, che portò a un botta e risposta molto aggressivo tra i due capi di stato, ma che si risolse lentamente soprattutto grazie alla linea comune anti-americana. Oggi la Turchia è pronta a riappacificarsi con ognuno, ma non intende più farlo da una posizione svantaggiata. Infine, la campagna turca in Libia è un ulteriore passo in avanti verso l’ambizione nascosta, ma innegabile, di Erdoğan: una piccola egemonia mediterranea. La posizione di vantaggio sopracitata a cui ambisce la Turchia difficilmente sarà quella di una superpotenza come lo sono gli Stati Uniti o la Cina, perlomeno a breve-medio termine, per cui i piani del presidente sono per ora limitati ad accrescere l’influenza del suo paese nelle zone limitrofe. La Siria è stata una fantastica prima occasione di crescita per la Turchia data la situazione catastrofica del paese in guerra, che ha permesso all’esercito turco di intervenire praticamente incontrastato, e la posizione letteralmente confinante. La Libia sembrerebbe un’occasione meno proficua per Erdogan, ma essere il primo paese a intervenire in prima persona, oltre i bombardamenti, permetterà di aggiudicarsi e pretendere dei meriti alla fine del conflitto.
Passarla liscia: quando il mondo non reagisce
Gli interessi turchi hanno portato a quella che potrebbe tranquillamente essere considerata un’invasione della Libia, che si voglia o meno considerare la richiesta di aiuto da parte di Tripoli come legittima. Per la seconda volta nell’arco degli anni Dieci, la Turchia entra prepotentemente in un territorio allo sbaraglio con ambizioni e poca cura delle ripercussioni delle proprie azioni. Finché le Nazioni Unite, l’Europa e qualsiasi altro stato non si limiteranno a condanne senza conseguenze, Erdoğan continuerà a coltivare i propri progetti senza farsi troppi scrupoli di cosa pensano gli altri paesi. Dopodiché qualunque stato capirà che lo scenario internazionale tentenna di fronte a quelle che sono violazioni della sovranità di uno stato, e si prenderà ciò che vuole, come è successo con l’Ucraina, come successe in Tibet, come succede sempre.