Si dimette da capo politico del Movimento Cinque Stelle, oggi 22 gennaio 2020, Luigi Di Maio. Resta alla Farnesina, ma nei confronti del partito, dice, è il momento di fare un passo indietro.
Si prospettano scenari ignoti per il Movimento, ma anche per la maggioranza e il Governo, a quattro giorni dal voto in Emilia. La notizia delle dimissioni arriva come uno strappo secco, ma a guardare bene, quello che somiglia ad un colpo di scena, era nell’aria già da tempo. La perdita di consensi, la fuga dei parlamentari, l’ipotesi di un divorzio da Rousseau: l’implosione del Movimento era già scritta e si consuma, infine, con la dipartita del suo capo politico.
Non è con le dimissioni, però, che Di Maio ha perso il controllo sul partito.
Già dalle ultime settimane, Luigi Di Maio stava maturando l’idea di arginare il potere di influenza di Davide Casaleggio, e diversi parlamentari hanno espresso di mal sopportare il versamento del contributo mensile di trecento euro alla sua associazione.
La specificità dei Cinque Stelle è quella di essere un movimento con finalità politiche di interesse pubblico, che si inserisce però nel contesto di un’attività d’impresa, e che quindi legittimamente si aspetta di conseguire utili. Sarà a causa di questa discrepanza, e forse per scrollarsi di dosso i sospetti di conflitto d’interessi che periodicamente spuntano fuori quando si parla della Casaleggio Associati, che il Movimento Cinque Stelle sta cercando di arginare il ruolo di dominus di Davide Casaleggio, facendo emergere l’ipotesi di un distacco da Rousseau. Un divorzio che, tuttavia, non sembra possibile: nello statuto del Movimento c’è una procedura per revocare il capo politico (Di Maio) e il garante (Grillo), ma nessuna per revocare i rapporti con l’Associazione Rousseau. Di Maio e gli altri parlamentari non hanno modo di influire sulla piattaforma Rousseau. Solo Casaleggio può decidere di sciogliere questa unione.
Il sistema operativo dei Cinque Stelle gestisce i processi decisionali di voto e l’anagrafica degli iscritti e Casaleggio può in qualunque momento decidere di espellere chi non versa il contributo mensile di trecento euro, o decidere di spegnere i server e con essi il Movimento, da lui rifondato nel 2017 con Di Maio. Uno dei due partiti di Governo è, dunque, nelle mani di un’associazione privata di natura commerciale su cui il Movimento non ha alcun controllo.
Casaleggio non è un semplice prestatore di servizi, e lentamente l’ormai ex capo politico se ne stava accorgendo.
A far emergere lo scontro tra Davide e Luigi Di Maio è stata la decisione di nominare Enrica Sabatini, una dei quattro soci di Rousseau, come responsabile dell’organizzazione del team del futuro. Per non parlare del fatto che, tra i ringraziamenti per il contributo all’elaborazione del piano per l’innovazione tecnologica e digitale del Paese, il ministro per l’Innovazione Paola Pisano abbia citato proprio Casaleggio. Che sia interlocutore di governo su temi che intrecciano i suoi affari privati e la consulenze della sua azienda dovrebbe essere sufficiente per far emergere almeno un paio di dubbi sull’esistenza o meno di un conflitto di interessi. Senza contare che Casaleggio andò anche all’Onu per conto dell’Italia a parlare di Rousseau e democrazia digitale. E forse senza la telefonata a Zingaretti l’intesa per l’esecutivo giallo-rosso quest’estate non si sarebbe trovata. Questi fatti tornano alla mente di Di Maio, il quale, nonostante le nomine – capo politico del Movimento, Ministro degli Esteri – spesso si ritrova a restare a guardare. Non c’è molto altro da dire, a questo punto, su chi abbia avuto un reale ruolo di controllo sul Movimento. Sicuramente non Di Maio.
L’agenda di Di Maio e quella di Casaleggio non coincidono nemmeno. Quella di Casaleggio incrocia la sua linea imprenditoriale: voto elettronico, intelligenza artificiale, identità digitale, cittadinanza digitale. Tutti temi importanti e di cui fa bene parlare, ogni tanto, in un paese pigro come l’Italia che poco investe in innovazione e futuro. Ma, intanto, i Cinque Stelle sono troppo presi dal taglio di parlamentari e stipendi per occuparsene, a differenza del loro “prestatore di servizi”, senza contare che forse non possiamo rischiare che il Governo deleghi i temi dell’innovazione a un imprenditore privato che gestisce un movimento politico.
A tal proposito, una delle ultime proposte della ministra Pisano, appunto, ha fatto gelare il sangue a molti utenti. Prima annunciata su Twitter, poi ritirata, la proposta di legge della ministra dell’Innovazione Tecnologica e della Digitalizzazione riguardava l’uso di credenziali date direttamente dallo Stato e utilizzate per accedere anche a servizi privati, come il conto in banca o per comprare su Amazon. Significherebbe avere una sola password che colleghi le attività private con quelle che riguardano lo Stato, come le tasse e gli atti pubblici, condividendo tutta la nostra vita privata con una trasparenza che fa in fretta a cadere nell’ansia di un Grande Fratello che possa spiarci tutti. La ministra, che ha già fatto dietrofront, abbiamo visto essere coinvolta in un possibile conflitto di interessi di Casaleggio. Cosa ne pensi il Movimento e, in particolare, Di Maio, non ci è dato saperlo, ma probabilmente non è con il capo politico che la Ministra si è consultata.
Tutti questi fattori, cosa significano? Che Casaleggio è un uomo cattivo con l’obiettivo di spiarci e instaurare una dittatura informatica? Certamente no. Che il grande, il bel sogno della cittadinanza digitale attraverso Rousseau sia più il modo di rendere la scatola nera del Movimento fonte di guadagno per la sua azienda? Può darsi. Che sia solo l’ennesimo elemento da aggiungere al confuso rebus che realizza l’immagine vaga dei Cinque Stelle e che nemmeno Di Maio sa risolvere? Sì. E di fronte a tale impotenza sarebbe stato inopportuno non dimettersi.
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