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Tech&Games

Graveyard Keeper: bello ma non si applica

Published by
Alan Pasquali

Gli studenti prima di Graveyard Keeper:
The Guild 3 – Crusader Kings – Vermintide 2 – Tomb Raider – Frostpunk – Ancestors Legacy – Kingdom Come: Deliverance – Monster Hunter: World – World of Warcraft: Battle for Azeroth – Pathfinder: Kingmaker – Darksiders 3 – For The King – Metro: Exodus – Warhammer 40,000: Inquisitor Martyr – My Time at Portia – Mutant Year Zero: Road to Heaven – The Council – Warhammer 40,000 Mechanicus – World of Warcraft: ClassicThe Outer Worlds


Graveyard Keeper è un titolo che per i nostri standard odierni potrebbe sicuramente apparire come antico. Pubblicato nel lontanissimo 15 agosto 2018 da tinyBuild e sviluppato da Lazy Bear Games, Graveyard Keeper ha solo recentemente acquisito fama, anche se ormai la sua casa di sviluppo si è già dedicata a un altro titolo, Swag and Sorcery. L’unico vero filo conduttore che unisce tutti i titoli di Lazy Bear Games è la squisita grafica pixel, ovvero l’ormai famosissimo stile in 2D che contraddistingue molti indie, anche all’interno del genere stesso, da titoli come Graveyard Keeper. Che sia stata proprio l’eccessiva vicinanza di Graveyard Keeper a videogiochi come Stardew Valley a tenerlo così in ombra? Può effettivamente la tempistica di Lazy Bear Games essere stata sfortunata? Sicuramente in parte, ma Graveyard Keeper non manca certo in difetti.

Graveyard Keeper back

Graveyard Keeper ha una partenza che di per sé è quasi assurda. Come Stardew Valley, critica infatti il logorio della vita moderna e il suo lento incedere, immutati giorno per giorno. La soluzione però non sarà in questo caso regalataci da una fortunata eredità che ci trasporterà in un mondo migliore, bensì dalla nostra stessa morte. Una macchina in corsa e delle strisce pedonali sono infatti l’unico reale incipit di cui Lazy Bear Games ha bisogno per trasportarci direttamente in una versione del nostro gioco di farming preferito ambientato direttamente nel medioevo. Certo, parliamo di un medioevo fantasy e fittizio, con cui la realtà ha decisamente poco a che fare. Come fare quindi ad ambientarci in un universo così particolare e ben caratterizzato? Facendoci incontrare immediatamente con una testa di scheletro parlante, che ci dispenserà tutti i primi consigli di cui avremo bisogno. Questi consigli saranno però particolarmente scarsi, sia in quantità che in qualità. Graveyard Keeper manca infatti di una vera e propria guida, risultando molto dispersivo sin dai primi minuti di gioco. Graveyard Keeper non è particolarmente impegnato neanche nello spiegarci il nostro ruolo: semplicemente qualsiasi personaggio con cui interagiremo accetterà di buon grado la nostra giustificazione, che non sarà letteralmente nulla di più di un semplice: «Sono il nuovo guardiano del cimitero».

Durante lo svolgersi dei nostri doveri avremo però diversi compiti, che ci aiuteranno a stabilire una routine ben articolata e precisa. Il nostro primo compito sarà infatti quello di riportare il nostro nuovo dominio, una chiesa in rovina con alcune tombe annesse, alla gloria. O almeno, a sostituire le lapidi completamente distrutte per renderla quantomeno decente. Pur mancando stranamente del tenere per mano il giocatore, come molti titoli odierni fanno, Graveyard Keeper riesce anche a essere decisamente poco chiaro dal punto di vista dello sviluppo della sua storia: potremmo infatti essere portati a pensare di poter sviluppare il nostro cimitero e le nostre linee di produzione come meglio crediamo, per poi affrontare le varie missioni in totale semplicità. Graveyard Keeper non è però d’accordo, e l’accesso a molte risorse che potrebbero esserci utili o necessarie fin da subito sarà infatti impossibile fino al completamento di diverse missioni.

 

Portare la chiesa al massimo dell’espansione e decorare l’intero cimitero finirà con il portarci a una situazione simile. Arrivarci è una vera prova di forza.

Da una parte, ci troviamo quindi di fronte a uno sviluppo non lineare e molto spesso poco chiaro, caratteristica tipica dei titoli gestionali di questo genere, che hanno come limite quasi solo la fantasia del giocatore. Dall’altra abbiamo però allo stesso tempo un sezionamento molto importante delle possibilità che il giocatore ha senza raggiungere determinati punti di controllo, cosa che rallenterà il percorso verso l’autosufficienza, soprattutto se non si è a conoscenza di determinate parti del gioco stesso. A complicare questa situazione già stramba, abbiamo l’inserirsi di prepotenza di un sistema di ricerca tanto brillante e libero quanto deleterio per lo sviluppo del gioco stesso: i rami tecnologici saranno infatti ben distinti e completamente a disposizione del giocatore. L’unico dettaglio? Le risorse per sbloccarlo saranno unificate e universali. Parliamo di tre diverse tipologie di punti, distinti tra loro dal colore: i punti rossi, ottenuti dal personaggio principale tramite i lavori fisici, come il tagliare assi di legno, squadrare pezzi di pietra o il solo abbattere alberi; i punti verdi, acquisiti dal giocatore esplorando tutto ciò che riguarda il mondo naturale, comprendendo ma non limitandosi alla raccolta di fiori, funghi o bacche, lo sviluppo di una fattoria o il semplice sradicamento dei ceppi di albero abbattuti precedentemente; i punti blu, che rappresentano la comprensione del mondo scientifico e teologico, che potremo ottenere tramite l’alchimia, la creazione di scritti o semplicemente esplorando le meraviglie del corpo umano un’autopsia alla volta.

Potremo spendere questi punti per avanzare lungo uno qualsiasi dei diversi rami di sviluppo di Graveyard Keeper, senza però sapere mai quale potrebbe essere fondamentale per consentirci di svolgere le missioni successive. Potrebbe anche infatti accadere di ritrovarci di fronte alla frustrazione di sbloccare l’accesso a una tecnologia che riteniamo importante, solo per poi scoprire di non essere in grado di sfruttarla poiché manchiamo nei prerequisiti di un altro ramo, rendendo di fatto la nostra eccessiva libertà nient’altro che un problema nella nostra lunga strada volta a diventare i gestori di cimiteri più quotati del circondario. Missione semplice, essendo anche noi gli unici.

Potrebbe mai in un titolo del genere mancare il minigioco di pesca? Certo che no, ed è anche prevedibilmente simile a quelli di tutti i suoi concorrenti.

Come se già questo non bastasse, Graveyard Keeper aggiunge un’ulteriore risorsa, limitata principalmente dal solo passare del tempo, che costringerà il giocatore a dare priorità a determinate cose piuttosto che ad altre: parliamo dei punti fede. Una volta che avremo infatti riportato il cimitero circostante a uno stato leggermente migliore di quello iniziale (pietoso a dir poco) ci verrà consentito l’accesso all’edificio principale, la chiesa. Non solo questo avanzamento sarà la chiave di volta dell’intero proseguimento di Graveyard Keeper, ma sarà anche l’unico modo a nostra disposizione per raccogliere i famigerati punti fede: una volta a settimana potremo infatti esibirci in uno spettacolare sermone, in grado di polarizzare l’opinione e l’attenzione dei nostri fedeli, che oltre alle loro congratulazioni ci faranno anche dono di punti fede, commisurati alla qualità delle nostre capacità oratorie. Sfortunatamente, la iniziale scarsità e necessità di accumulare questi punti diventerà assolutamente irrilevante nelle ultime fasi di gioco tanto quanto sarà necessario utilizzare saggiamente i pochissimi punti iniziali. Le uniche parti di automazione rilevanti saranno infatti completamente basate sull’utilizzo dei punti fede, dettaglio che non scopriremo fino a quando non avremo a disposizione le ricerche necessarie, e momento in cui sarà troppo tardi per tenerne da parte il giusto quantitativo. Anche il sistema utilizzato per l’alchimia non è da meno: i materiali sono limitati, la ricerca di per sé non ha nulla di intuitivo e molte pozioni o derivati alchemici saranno un gradino necessario per lo sviluppo della propria produzione di fede. Un sistema spesso troppo convoluto che più che a usare il proprio tempo porta a sprecarne.

Graveyard Keeper avrà però anche qualche lato positivo? Certamente, diversi a dir la verità, ma la cosa che più spicca all’interno di tutto il gruppo è senza dubbio la particolare ironia che ci accompagnerà per tutte le missioni: dalle caricature della Santa Inquisizione fino ai crani parlanti ubriaconi, finendo di gran carriera con un rituale demoniaco che avrà come evocazione finale un pollo, Graveyard Keeper riesce comunque a intrattenere il giocatore con la giusta dose di serietà e ironia, in un mix davvero carino da morire.

Serve una comoda immagine, per nulla complicata, che riassuma perché l’alchimia in Graveyard Keeper sia davvero da mal di testa? Presa direttamente da una delle guide di Steam.

Morte Prematura

Per quanto quindi Graveyard Keeper abbia deciso di infondere tanto, tantissimo impegno nel cercare di distinguersi dai suoi concorrenti, lo fa purtroppo nelle parti che non lo rendono un gioco particolarmente piacevole. Se andiamo a osservare infatti i suoi diretti concorrenti, come per esempio il già citato Stardew Valley o anche solo un altro titolo già trattato in questa rubrica, My Time At Portia, notiamo immediatamente come Graveyard Keeper sia decisamente troppo simile al primo. La sola ambientazione medioevale non è sufficiente a giustificare Graveyard Keeper nel suo complesso, ma non si tratta dell’unico punto in cui questo titolo si trova in difetto rispetto ai suoi predecessori. Nel lungo ripetersi delle stagioni di Stardew Valley abbiamo infatti una differenziazione molto ben specifica, sempre colma di eventi e di cose diverse da fare per ogni periodo dell’anno. Graveyard Keeper non offre niente di tutto ciò, limitandosi principalmente a un calendario settimanale che riuscirà a offrire ben poco da questo punto di vista, finendo col far confondere al giocatore un giorno con l’altro. L’unica reale differenza sarà infatti nella presenza dei personaggi, che non possiedono specifiche routine come fanno in altri titoli, e nel sermone settimanale, rendendo quindi l’aspetto che riguarda il passare del tempo assolutamente carente rispetto a ciò che la concorrenza è tranquillamente in grado di offrire. Aggiungendo a questi dettagli il fatto che l’automazione su Graveyard Keeper sia un obiettivo difficile e lento da raggiungere, che le missioni non sempre siano chiare e che l’alchimia come sistema risulti quasi totalmente alieno, se non direttamente una colossale perdita di tempo senza l’aiuto di qualche guida, la conclusione appare quasi scontata: Graveyard Keeper non è un videogioco pessimo e sicuramente merita di essere goduto nel suo particolare e frustrante metodo prova ed errore. Manca tuttavia di quel poco in più che basterebbe a farne uno dei capisaldi del genere, il che è davvero un peccato. Graveyard Keeper si sarebbe dovuto applicare giusto un poco di più.

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Alan Pasquali

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