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Spettacolo

Jojo Rabbit: avere Hitler come amico immaginario

Published by
Andrea Damiano

A ridosso della Giornata della Memoria nascono spesso diatribe circa i modi con cui trattare e raccontare la tragedia avvenuta nel secolo scorso. Se da un lato la ricerca di tatto e buon gusto nei confronti dell’Olocausto deve ritenersi legittima e rispettosa, non si può certo pretendere di limitare la creatività di autori che, in maniere più o meno politically correct, trattano lo spinoso tema dello sterminio degli ebrei. Quest’anno a sorprendere, soprattutto in positivo, è Taika Waititi, regista neozelandese di commedie e film leggeri, che con Jojo Rabbit confeziona una storia di formazione all’interno della Germania nazista, osservando proprio il punto di vista di un giovane “balilla” alle prese con la formazione militare e con un bislacco amico immaginario, Adolf Hitler.

Leggi anche: Maus, l’orrore dell’Olocausto a fumetti.

Johannes Betzler, detto Jojo, è un ragazzino tedesco che, come molti suoi coetanei di metà anni Quaranta, passa le giornate allenandosi nella Gioventù Hitleriana ed esibendosi in compiti come il bruciare libri e studiare la biologia degli odiati “mostri ebrei”. Nonostante una madre, Rosie Betzler, poco favorevole alla guerra e al regime, il giovane cresce come un vero e proprio fanatico del dittatore tedesco, allenandosi ogni mattina nel saluto «Heil Hitler!». Jojo, a differenza degli altri ragazzi, ha una particolarità: il suo amico immaginario è una versione distorta e amichevole di Hitler in persona, che lo esorta a compiere le azioni più avventate, fino a ferirsi con l’esplosione di una granata. Costretto al riposo a casa, Jojo scoprirà un’intrusa nascosta nelle mura, la giovane Elsa, ragazzina ebrea nascosta dalla madre alle autorità naziste. Tra i due nascerà dunque un rapporto di diffidenza, che, man mano, andrà a sciogliersi fino a diventare amicizia.

Jojo Rabbit è liberamente ispirato al romanzo “Come semi d’autunno” di Christine Leunens.

Taika Waititi, regista della commedia parodistica What We Do In The Shadows, che riprende e stravolge i topoi del vampiro letterario e filmico, e di Thor Ragnarok, pellicola Marvel che allo stesso modo decostruisce e ridicolizza l’epico dio norreno, confeziona un film misurato. La commedia di stampo demenziale riesce nel suo intento e, grazie anche all’inusualità dell’applicare questo tipo di umorismo a un periodo storico drammatico, diverte senza mai scadere nell’oltraggioso. Da lodare è però la capacità di Waititi, rispetto ai suoi lavori precedenti, di destreggiarsi tra toni anche drammatici, senza risultare posticcio o maldestro, ma calibrando bene l’alternanza di scene più serie con i momenti comici. La storia e le vittime della dittatura non vengono tradite o denigrate dal film, che tutt’al più dileggia la stupidità e l’ottusità di un popolo che si lasciò obnubilare da una tremenda dottrina d’odio. La scelta dello sguardo innocente del piccolo Jojo permette di vivere gli inganni e le false grandezze promesse da un impero costruito sulle bugie e sull’esaltazione della figura di Hitler, che il ragazzo stesso idealizza come un proprio amico con cui confidarsi e vivere avventure.

Leggi anche: Il ritorno dell’antisemitismo: quando la Storia non basta.

Attraverso personaggi grotteschi e lunatici, Waititi esplora temi poco trattati e figure degne di una rappresentazione per il pubblico mondiale: Rosie Betzler (Scarlett Johansson) è una tedesca anti bellica e anti nazista, che cerca di crescere un figlio succube del regime e influenzato dalla mancanza del padre assolvendo ai ruoli di entrambi i genitori, il tutto mentre cerca di proteggere una bambina ebrea, rischiando così la propria vita e quella del figlio. Il film ricorda che non tutti i tedeschi appoggiavano Hitler e che spesso anche membri dell’esercito ne erano in contrasto: il Capitano K (Sam Rockwell) è un militare congedato che desidera solo avere una morte gloriosa con i propri commilitoni, mostrando inoltre disappunto per le pratiche messe in atto dalla Gestapo e dai più fedeli al regime. I due bambini sono infine le due facce di una giovinezza a cui è stata rubata l’infanzia. Jojo (Roman Griffin Davis) è stato, come molti, corrotto e spinto a pulsioni antisemite per puro dogma, mentre Elsa (Tomasin McKenzie) ha subito una crescita accelerata e vissuto esperienze traumatiche per una giovane della sua età. Riusciranno però, tramite il confronto e la fiducia, a migliorare la propria posizione e sopravvivere durante la caduta del nazismo.

La versione di Adolf Hitler immaginata da Jojo è interpretata da Taika Waititi stesso.

Jojo Rabbit è un’ode alla libertà, alla spensieratezza e alla crescita. Le esperienze, anche fortemente drammatiche, permettono al piccolo di diventare adulto e superare i traumi e le obbligazioni inflitte dal regime. La doppia natura drammaturgica rende il film un prodotto ottimo, poiché nasconde all’interno di una ben congeniata commedia i temi e la gravità che ci si aspetta da una trattazione sull’argomento Olocausto, pur proponendo punti di vista inediti.

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Andrea Damiano

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