Lo scorso 15 Gennaio, il Parlamento Europeo, riunito in seduta plenaria a Strasburgo, ha approvato la proposta della Commissione sull’European Green Deal. Le istituzioni europee stanno muovendo i primi passi, anche se timidi, verso l’attuazione dell’ambizioso programma ambientale lanciato dalla Commissione insediatasi a Novembre. Nei prossimi anni, dunque, sentiremo spesso parlare del cosiddetto Green New Deal, in quanto sarà posto al centro del dibattito pubblico europeo e dell’agenda della maggior parte degli incontri tra i leader dei nostri paesi.
Cosa prevede l’European Green Deal
L’obiettivo principale dell’European Green Deal è quello di far diventare l’Europa il primo continente climaticamente neutrale entro il 2050, ovvero di ridurre a zero le emissioni inquinanti nette. «È il nostro uomo sulla Luna» aveva detto la Presidente della Commissione, Ursula von Der Leyen, dopo l’adozione del documento finale. A sottolineare l’importanza, ma anche la difficoltà del raggiungimento degli obiettivi previsti dal piano. Un piano così ambizioso, infatti, prevede non solo un’ingente mobilitazione di risorse finanziarie, ma l’intera riconversione del sistema industriale ed economico, con annesse ripercussioni negative soprattutto in ambito sociale.
Nello specifico, la Commissione si propone di aumentare il taglio delle emissioni di gas serra nei prossimi dieci anni dal quaranta ad almeno il cinquanta percento rispetto ai livelli del 1990. Le misure da adottare riguarderanno l’adeguamento climatico di infrastrutture ed edifici, la riconversione del settore industriale e la sua decarbonizzazione. Grande importanza verrà data ai progetti di “economia circolare”, a nuovi mezzi di trasporto più “puliti” e all’educazione dei cittadini a un uso più consapevole delle risorse energetiche. Un’altra strategia chiave sarà la cosiddetta Farm to fork strategy che ha l’obiettivo di rendere più sostenibile il settore alimentare e dell’agricoltura. Non solo riduzione dell’inquinamento causato dalle grandi imprese agricole e dall’uso di pesticidi e fertilizzanti chimici, ma anche abbattimento dello spreco alimentare. Importante sarà anche l’introduzione di una “tassa di frontiera” per i beni stranieri che entrano nel mercato europeo, ma prodotti da aziende con catene di produzione poco “pulite”. Un provvedimento necessario per proteggere il settore produttivo europeo contro la concorrenza di aziende estere che, avendo standard ambientali più bassi, possono permettersi di vendere i propri prodotti a prezzi più competitivi.
Per ora, lo stanziamento di fondi della Commissione prevede di utilizzare un quarto del budget dell’Unione nella lotta contro il cambiamento climatico, investendoli in innovazione e crescita sostenibile. Circa mille miliardi in dieci anni, da ricavare tramite risorse dal bilancio europeo, fondi e investimenti privati e finanziamenti da parte della Banca Europea degli Investimenti (BEI). L’intenzione è quella di trasformare completamente il ruolo della BEI e farla diventare la “banca per il clima dell’Europa”. Il presidente Werner Hoyer ha già annunciato che dal 2021 la banca non finanzierà nessun progetto che preveda l’utilizzo di combustibili fossili e che, al contrario, la maggior parte delle risorse sarà dedicata ai progetti green. La mobilitazione delle risorse finanziarie avverrà, inoltre, tramite le entrate provenienti dal Sistema di scambio delle quote di emissioni dell’UE (ETS) che verranno reinvestite nel processo di transizione verso la neutralità climatica.
Gli strumenti legislativi previsti
Innanzitutto, la Presidente della Commissione von Der Lyen ha espresso la volontà di tradurre la proposta sul clima in legge europea entro marzo 2020, così da rendere vincolante per gli Stati Membri l’obiettivo di riduzione delle emissioni entro il 2050. Dunque, la Commissione in questi anni prevede di adottare circa 50 strumenti legislativi nell’ambito dell’European Green Deal. Tra questi, il più importante è senza dubbio il Meccanismo coretto di transizione (Just Transition Mechanism). Uno dei tre “pilastri” di questo strumento, il Just Transition Fund, è in corso di adozione. Il fondo, di circa 100 miliardi di euro, è stato progettato per permettere anche ai paesi maggiormente dipendenti dal carbone di implementare le nuove politiche ambientali, aiutandoli ad attenuare i costi economici e sociali della transizione verso un economia più sostenibile. Gli aiuti si concentreranno, principalmente, sul supporto alla costruzione e al miglioramento delle infrastrutture, sulla riqualificazione dei lavoratori e sui nuovi investimenti climaticamente sostenibili. Quindi, ci sarà particolare attenzione nei confronti delle regioni particolarmente vulnerabili, ma saranno tutti i paesi a ricevere risorse finanziarie da destinare allo sviluppo del nuovo sistema green.
Inoltre, Il Piano europeo per gli investimenti sostenibili, adottato dalla Commissione, prevede una revisione della normativa europea sugli aiuti agli Stati, in modo da adattarla alle nuove esigenze degli stati in vista dell’adeguamento della legislazione alle regole previste dal Green Deal. È stato lo stesso Commissario all’economia, Paolo Gentiloni, a spiegare che sicuramente ci sarà una discussione su come considerare gli investimenti sostenibili nell’ambito dei bilanci pubblici degli Stati Membri, in modo da incentivarli, senza però discostarsi troppo dalle regole di bilancio dell’Unione.
L’accordo tra gli Stati membri dell’UE
Mentre il Parlamento ha adottato l’European Green Deal senza eccessive resistenze, il provvedimento non era invece passato all’esame del Consiglio Europeo dello scorso dicembre. Infatti, tutti i paesi si erano dichiarati d’accordo, con più o meno intensità, al raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050, tranne la Polonia. L’economia e il settore industriale di quest’ultima, infatti, si basano per l’80 per cento su fonti energetiche derivanti dal carbone, sostanza molto inquinante e abbandonata da anni da molti stati europei. Per cui, il Premier polacco aveva annunciato l’impossibilità per il suo paese di impegnarsi nel raggiungimento degli obiettivi previsti dal Green Deal, in quanto implicherebbe sforzi economici e sociali troppo ingenti. Resistenze in Consiglio erano state avanzate anche sulla questione del nucleare. Alcuni stati avevano chiesto infatti l’inserimento di una “clausola di adattamento” che consentisse ad ogni paese di scegliere le proprie fonti di energia rinnovabile, includendo tra di esse l’energia nucleare. La proposta non è stata però accolta: il nucleare è stato escluso dal Just Transition Fund, in quanto l’impatto ambientale delle scorie rilasciate dalle centrali non la rendono una “fonte energetica pulita”. Le scontro in Consiglio sottolinea l’evidente “cortina di ferro” che ancora esiste tra Est e Ovest. Gli Stati orientali, entrati con l’allargamento dell’Unione del 2004, fanno fatica a stare dietro alle nuove regole ambientali. Sono spesso dipendenti dal carbone e fanno grande uso dell’energia nucleare, il che costituisce un importante gap con gli stati occidentali più ricchi, che già da anni stanno investendo sulla riconversione dei loro sistemi produttivi verso il green.
Sicuramente, in Europa stiamo assistendo ad una mobilitazione per il clima che non ha pari nel mondo. I leader e l’opinione pubblica europea hanno preso ormai consapevolezza del problema dell’emergenza climatica, ma le azioni intraprese sul piano pratico non sono assolutamente sufficienti ad affrontalo. Inoltre, nei prossimi anni, l’opposizione non mancherà di far sentire la sua opinione anche in questo campo. Nonostante siano pochi gli espliciti “negazionisti del clima”, molti partiti, anche con ruoli importanti all’interno dei governi nazionali, non hanno una chiara posizione sul tema ambientale. Questo potrebbe portare ad un rallentamento importante nell’adozione delle misure necessarie per raggiungere gli obiettivi previsti nel Green Deal Europeo.