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Curiosità

Quando il rap incontra il disegno – theWise intervista Ernesto Anderle

Published by
Lorenzo Tecleme

Qualche mese fa Murubutu, il rapper famoso per il suo taglio cantautorale e i suoi testi colti e commoventi, annunciava in un’intervista alla nostra testata l’imminente arrivo di una graphic novel basata sui suoi testi. Quel progetto si è concretizzato in Murubutu – RAPconti illustrati, edito da Becco Giallo e disponibile in tutta Italia a partire da oggi. A curare le illustrazioni è Ernesto Anderle, fenomeno del web con le pagine Roby il Pettirosso e Vincent Van Love che – dopo aver impreziosito il tour del rapper emiliano con impressionanti live paintings – si è dedicato a tradurre su carta i suoi brani più significativi. Oggi theWise lo ha incontrato per parlare di musica, del libro in uscita e del complesso rapporto tra china e hip-hop.

«Come nasce l’amicizia con Murubutu e qual è la genesi di questo libro?»

«Il primo incontro con Murubutu lo devo alla rete: ho illustrato una sua canzone – I marinai tornano tardi – e l’ho pubblicata sulla mia pagina Facebook. Murubutu ha condiviso dalla sua, è piaciuta al suo pubblico e mi ha chiesto di illustrare per lui altre canzoni. In quel modo ci siamo conosciuti, e dopo poco mi ha proposto di seguirlo nel tour come visual artist. Fin dal principio avevamo in realtà l’idea del libro, ma a lungo l’abbiamo tenuta in cantina. Non appena il tempo ce lo ha permesso ci siamo messi al lavoro e ora, finalmente, siamo pronti alla pubblicazione».

«Come ti sei appassionato ai brani di Murubutu?»

«Stavo cercando della musica come la sua, canzoni che raccontassero e trasmettessero qualcosa. Ho sempre amato i grandi cantautori italiani – De André, Guccini, De Gregori – e in Murubutu ho visto la prosecuzione di questo filone. Quando un cantante ti racconta una storia non è sufficiente sentire il pezzo una volta sola, perché a ogni ascolto ti dice cose diverse. Il primo incontro con Murubutu avvenne con La collina dei pioppi [uno dei brani illustrati nel libro, N.d.R.] che mi entusiasmò subito».

«Tu ascolti rap?»

«Ho due fratelli di pochi anni più piccoli, e ricordo che in casa si ascoltava in continuazione: in camera mettevo De André, ma appena uscivo c’eran Bassi Maestro, gli One Mic, Ensi e Fabri Fibra. Non è un mondo estraneo per me».

«Oltre a Murubutu quali artisti senti più nelle tue corde?»

«In primis De André, al quale ho dedicato – sempre per Becco Giallo – la graphic novel Ridammi la mano. Poi, sicuramente De Gregori: all’inizio pensa, mi stava un po’ antipatico, ma un mio amico me lo fece vedere da un altro punto di vista durante i nostri viaggi e lì ho imparato ad apprezzarlo. Anche Guccini mi piace, benché non sia un fanatico. E con loro tutti i grandi: Lucio Dalla, Gaber… Son cresciuto con questi nomi, e ascoltando i cantautori gli altri artisti mi sembravano una perdita di tempo. Crescendo ho imparato a fare a meno di questi paragoni, e mi si è aperto un mondo. Ora ascolto un po’ di tutto: apprezzo molti i Beirut, un gruppo statunitense che per due anni sono stati quasi il mio unico ascolto, e ultimamente sto iniziando ad appassionarmi alla musica lirica».

«C’è qualcuno tra questi che ti piacerebbe portare su carta?»

«Penserei volentieri a De Gregori. Io tendo a lavorare su temi che conosco, e la sua produzione sento di padroneggiarla senza alcun problema».

La copertina del libro | fonte: BeccoGiallo

«Torniamo al libro. Com’è avvenuta la selezione delle canzoni? Avete scelto le più rappresentative della sua discografia o le più adatte alla trasposizione?»

«Ho scelto io, raccogliendo quelle che sentivo essere più parte di me. Ho avuto carta bianca in questo, e ho potuto scegliere i brani più potenti».

«In coda al libro ti confronti con Le invasioni barbariche, un pezzo precedente agli altri che illustri e che ci riporta verso un Murubutu più duro, ritmato, street. Com’è stato l’approccio a questo brano e questo stile musicale?»

«In tutti i miei libri cerco di cambiare colori e tratto in base al brano, per aiutare il lettore a immergersi nella giusta atmosfera. Nel caso de Le invasioni barbariche ricordo che mi trovavo a Firenze, comprai una china marrone e buttai giù il disegno a mo’ di bozza, come fosse il diario di un legionario. Mi sembrava l’opzione stilistica migliore per questo genere di canzone».

«Chi pensi sia il tuo lettore ideale? Chi già conosce le canzoni di Murubutu in musica o chi le scopre tramite i tuoi disegni?»

«Come anche per il libro di De André, non è un’opera pensata solo per i fan e – anzi – forse ci ho lavorato più pensando a chi non conosce l’autore. Il senso di un lavoro simile è anche condividere, e mi interessava avvicinare chi non conosce ancora la sua scrittura al mondo di Murubutu. Ma chiaramente, anche chi già ha familiarità con i brani credo possa trovare un punto di vista nuovo».

«Quale pezzo è stato più difficile da tradurre in immagini, e quale ti ha dato più soddisfazione?»

«A darmi più filo da torcere credo sia stato Notti bianche: non volevo usare lo stile degli altri brani, volevo una linea semplice e seria nel contempo. Ho dovuto fare parecchie prove prima di scegliere, ma ora devo dire che sono soddisfatto del risultato. Molto più facile invece è stato il lavoro su I marinai tornano tardi, perché l’ho ascoltata per mesi e le illustrazioni si erano già tutte create nella mia testa. Dovevo solo metterle su carta».

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Lorenzo Tecleme

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