Il 19 gennaio di quest’anno si è tenuto uno degli incontri internazionali più attesi e necessari degli ultimi anni, Conferenza di Berlino: questo summit, tenutosi per l’appunto nella capitale tedesca, ha riunito le grandi forze europee e internazionali, le quali si sono sedute al tavolo per discutere le modalità per sviluppare una transizione pacifica verso la cessazione del conflitto in Libia. Proprio lo scenario del paese nordafricano è al centro di questo dibattito, una guerra civile scoppiata oramai da quasi un’anno. Le ostilità sono iniziate il 4 aprile del 2019, quando il generale Khalifa Haftar con le sue milizie è partito per una marcia spedita verso Tripoli, sede dove risiede il Governo Nazionale del Primo Ministro Fayez al-Sarraj. Da quel momento si sono stabilite delle zone di posizionamento delle due forze in campo, in cui la zona della capitale è presieduta dagli uomini di Sarraj, mentre la zona occidentale della Libia è controllata dall’esercito di Haftar. Cosa si è deciso dunque in questa Conferenza di Berlino?
Le influenze esterne che complicano la situazione e le posizioni delle potenze dopo la Conferenza di Berlino
Il summit, dopo lunghe ore di trattative, ha portato alla produzione di un documento di 55 punti, che ricalca la bozza già girata prima del vertice, strutturato su cinque capitoli: cessate il fuoco, embargo sulle armi, avvio di un processo politico, riforma delle istituzioni economiche e finanziarie del Paese, diritti dell’uomo e situazione umanitaria. Uno dei punti salienti di questo documento sancisce l’impegno di non ingerenza nel conflitto libico:
«We commit to refraining from interference in the armed conflict or in the internal affairs of Libya and urge all international actors to do the same».
La cancelliera tedesca Angela Merkel ha manifestato una grande soddisfazione per questo piccolo successo, poiché è risaputo che il conflitto libico è diventato sempre più critico, con un’escalation di scontri militari sempre più grande, perché attorno alle due milizie in conflitto vi sono gli interessi e i consecutivi interventi di potenze estranee ed esterne alla Libia: alla Conferenza di Berlino erano difatti presenti i rappresentanti di Germania, Francia, Italia, Russia, Turchia, Regno Unito, Stati Uniti, Algeria, Cina, Egitto, Repubblica del Congo ed Emirati Arabi, oltre agli alti rappresentanti delle Nazioni Unite, dell’Unione Africana, dell’Unione Europea e della Lega degli Stati arabi. I paesi più coinvolti nel conflitto libico sono Turchia, Russia, EAU ed Egitto: Erdogan e Putin hanno sviluppato una politica interventistica molto forte, schierandosi dalla parte di Sarraj (anche l’Italia è presente in questo schieramento in maniera minore), dove invece gli emiri e Il Cairo appoggiano il generale Haftar (la Francia, anche se ha sempre ufficialmente smentito, è schierata apertamente con gli insorgenti).
L’impegno di Mosca è stato intenso nel percorso verso questo summit: difatti, prima della Conferenza di Berlino, Mosca aveva già ospitato una discussione con le due parti della Libia in conflitto. Il Cremlino si aspettava un accordo-chiave che però non è mai arrivato. Il Ministro degli Esteri russo Lavrov ha sottolineato come la Russia abbia avuto un ruolo centrale nel convincere la Germania a ospitare questo summit e come abbia prodigato i suoi sforzi diplomatici per invitare tutti gli attori necessari per questa complicata situazione:
It was thanks to our insistence that the [German] organizers retreated from their original plan to convene a meeting without the Libyan parties and invited the Libyan leaders to the conference […] “The number of participants from among Libya’s neighbors increased also at our initiative.
Dunque dalla prospettiva di Mosca, la Germania ha avuto un ruolo centrale solo per iniziativa del Cremlino, poiché in questo quadro regionale doveva confrontarsi necessariamente con l’UE, anche perché la cancelliera era l’unico baluardo europeo rimasto a poter arrogarsi questa responsabilità (è stata già ribadito l’opposto schieramento di Roma e Parigi, che non sono ultimamente in buoni rapporti). Dal canto suo Erdogan, invece, ha impegnato le sue forze attivamente nel territorio libico, sia con la decisione della condivisione dei confini marittimi con Tripoli, poi con il forte dispiegamento di forze militari da Novembre a oggi. È emerso che la Turchia sta da tempo arruolando membri dell’esercito siriano per andare a combattere in Libia per conto di Ankara; questa divisione del Sna (Esercito nazionale Siriano), composta da circa 500 uomini, è inviata in Libia per lottare per la fazione del Governo di al-Sarraj, fatto che ha scaturito proteste dalle potenze regionali, Egitto su tutte. Il presidente turco sa che una caduta di Tripoli verso Haftar potrebbe compromettere le sue mire verso le risorse di gas naturale scoperte di recente nella zona tra la Turchia meridionale e la Libia settentrionale, dove vuole porre una sua ZEE. Anche per questo motivo alla Conferenza di Berlino è stato dichiarato un embargo sulle armi per Egitto ed EAU, le quali finanziano Haftar; ma non è passato inosservato l’atteggiamento di Erdogan, al cui sono susseguite diverse dichiarazioni, tra cui quella del Presidente cinese Xi Jinping, che ricalcano la necessità di un immediato cessate-il-fuoco, allineandosi con la posizione delle potenze anglo-americane.
Nel dettaglio, infatti, all’interno del documento firmato sono risaltati tre principali per porre fine ad un conflitto che ha portato la morte di 3000 persone e l’evacuazione di oltre 200.000 cittadini tripolitani: «to redouble their efforts for a sustained suspension of hostilities, de-escalation and a permanent ceasefire»; to ‘unequivocally and fully respect and implement’ the UN arms embargo; and to support UN-backed negotiations with military, political and financial tracks». Oltre agli embarghi enunciati, è stata anche formata una joint 5+5 Military Committee, un organo tecnico di sostegno che serva a monitorare che la tregua sancita con la Conferenza.
Gli eventi post-Berlino e le prospettive per lo scenario libico
La conferenza di Berlino ha nella sostanza prodotto un’intesa non ben specificata e labile, che non tocca nel dettaglio i punti più spinosi. Il fatto che non si sia voluto interpellare le due parti del conflitto (Haftar e Sarraj erano fisicamente presenti a Berlino, ma come osservatori, rimasti in camere d’albergo separate senza mai partecipare attivamente a nessun passaggio del dibattito), e le diverse bozze proposte senza mai arrivare a un documento dettagliato, mostrano la debolezza di questo processo. Soprattutto, il documento finale non contiene nessun meccanismo preciso per l’attuazione dei principi espressi, né sono state stabilite sanzioni per chi dovesse violare i principi. In questo senso, i risultati del summit possono essere scavalcati con facilità dalle azioni militari sul territorio. Se dovessero riprendere le ostilità, nessuna forza in gioco avrebbe qualche strumento diplomatico per impedire il regolamento della questione attraverso la forza armata.
Subito dopo la conferenza, di conseguenza, il Primo Ministro Sarraj ha mostrato diffidenza e cautela nei confronti di questa tregua:
Abbiamo un ottimismo cauto dopo la conferenza di Berlino, perché la controparte non rispetta gli impegni e non abbiamo un vero partner per avanzare in un processo di pace in Libia.
Le parole sono state quasi premonitrici, poiché una settimana fa Haftar ha portato avanti un attacco che è avvenuto a Shurfat Al Milah, nei pressi dell’aeroporto Mitiga di Tripoli, causando un morto e tre feriti. A questo evento sono susseguite varie dichiarazioni che mostrano quanto sia fragile e incerto il futuro dello scenario libico: la dichiarazione della missione dell’ONU in Libia, l’Unsmil è stata forte, dove afferma che «si rammarica profondamente per le continue e palesi violazioni dell’embargo sulle armi in Libia, anche dopo gli impegni assunti al riguardo dai Paesi interessati durante la Conferenza internazionale sulla Libia a Berlino». Sono poi arrivate le parole di Erdogan, che ribadisce l’illegittimità delle azioni di Haftar e soprattutto la sua intenzione di impedire la sua vittoria; Macron al contrario punta il dito verso la Turchia e la sua continua interferenza, mentre Sarraj stesso accusa gli Emirati di intromissione negli affari nazionali della Libia.
Questo quadro dipinto mostra una situazione tutt’altro che stabilizzata, anzi un equilibrio pronto a spezzarsi definitivamente e con un effetto a catena che coinvolgerà tutti gli attori della Conferenza di Berlino, divisi in due fazioni con atteggiamenti non allineati, dove solo una parte sta rispettando i termini della tregua. Bisognerà attendere le prossime mosse di Haftar, ma soprattutto l’atteggiamento delle potenze esterne, per capire se la Conferenza di Berlino sia stata solo una mera illusione.