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Economia

Iowa caucus, cos’è successo? Dialogo con la redazione di Elezioni USA 2020

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Gianluca Lo Nostro

Martedì 3 febbraio negli Stati Uniti d’America sono ufficialmente iniziate le elezioni primarie per decidere chi saranno i candidati del Partito Democratico e del Partito Repubblicano. In Iowa, dal 1972 il primo Stato al voto, si sono svolti i cosiddetti caucus, delle riunioni che si tengono in palestre, biblioteche, bar, ma anche in case private. I sostenitori dei vari candidati, chiamati captain o volunteer, cercano di convincersi a vicenda a votare per il loro candidato. Ciascun caucus elegge un determinato numero di delegati statali in maniera proporzionale, ma solo se viene raggiunta la soglia del 15%, altrimenti si attiva il meccanismo tipicamente maggioritario del winnertakesall.

Il risultato dei caucus repubblicani era abbastanza scontato: il presidente Donald Trump ha vinto con il 97% dei voti, aggiudicandosi tutti i delegati. Gli avversari di Trump erano l’ex governatore del Massachusetts Bill Weld e l’ex deputato Joe Walsh, che a urne chiuse ha poi annunciato: «Non c’è più spazio per quelli come me nel Partito Repubblicano». Una settimana trionfante per il presidente Trump, che si è affermato nelle primarie repubblicane, ha tenuto il discorso sullo Stato dell’Unione ed è stato scagionato dal Senato, dopo essere stato messo in stato d’accusa dalla Camera dei Rappresentanti.

I Democratici, invece, hanno dovuto fronteggiare difficoltà tecniche che ne hanno impedito la pubblicazione dei risultati definitivi. Secondo i risultati preliminari, l’ex sindaco di South Bend Pete Buttigieg sarebbe in testa a pari merito con il senatore Bernie Sanders, entrambi al 26%. Dietro di loro, la senatrice Elizabeth Warren otterrebbe il 18% dei delegati statali, mentre l’ex vicepresidente Joe Biden raggiungerebbe per un soffio la soglia di sbarramento del 15%. Ottimo risultato per la senatrice del Minnesota Amy Klobuchar, che si fermerebbe al 12%. Tutti gli altri candidati sarebbero sotto l’1%.

Per quale motivo allora il presidente Trump si è fatto beffa delle difficoltà organizzative dei Democratici in Iowa? TheWise Magazine l’ha chiesto a Daniele Angrisani e Lorenzo Ruffino, i fondatori della pagina Facebook Elezioni USA 2020, un progetto social con 45.000 follower su cui dal 2016 vengono condivisi aggiornamenti in tempo reale sulla politica americana e che conta 13 persone all’interno della sua redazione.

Iniziamo: cos’è successo in Iowa?

DA: «Il caos totale, qualsiasi cosa che poteva non andare non è andata. Prima l’app che doveva riportare i dati che non ha funzionato, poi la difficoltà a reperire le informazioni su carta di backup – anche se non è stato dichiarato ufficialmente, ma pare che diversi caucus abbiano perso o smarrito le informazioni e i dati siano stati parzialmente recuperati anche attraverso le foto sugli smartphone – e quindi alla fine gli errori dei giornalisti che hanno sottostimato il dato dei satellite caucus (una novità di questo anno) e assegnato impropriamente la vittoria a Buttigieg inizialmente. Sta di fatto che siamo a giovedì ormai, e ancora non abbiamo i dati definitivi».

Pensate che i ritardi nella pubblicazione dei risultati siano dovuti alla catastrofica applicazione che avrebbe dovuto trasmettere i risultati, oppure si è trattato di un episodio che si verifica spesso con i caucus? Nel 2012, il Repubblicano Rick Santorum venne dichiarato il vincitore dopo diverse settimane.

LR: «I caucus repubblicani sono molto più semplici di quelli Democratici. Qui il problema è stata la disorganizzazione e incompetenza dei funzionari locali. Non erano davvero preparati per l’eventualità che l’applicazione non funzionasse e si sono trovati a dover recuperare 1700 fogli senza essere organizzati per farlo. O ad esempio hanno tabulato male parte dei risultati nel quarto aggiornamento attribuendo i voti di Sanders a Steyer e Patrick. Se ne sono accorti al New York Times perché la proiezione non aveva senso. Poi, situazione caotiche con i caucus succedono, ma questa volta si sono raggiunti livelli impressionanti».

Come ne esce il Partito Democratico da questa débâcle amministrativa? Il presidente Trump ha irriso l’opposizione su Twitter. Ne ha tratto vantaggio?

DA: «Ovviamente la campagna di Trump ha tutto l’interesse a sfruttare a suo vantaggio una situazione del genere, ci sono commenti sia che evidenziano l’incapacità del Partito di organizzare i caucus in Iowa – ‘e questi vorrebbero governare il Paese?’ – sia che soffiano sul vento delle teorie cospirative di un Partito che starebbe facendo di tutto per indebolire e boicottare Sanders. Sia Parscale [il manager della campagna elettorale di Trump, N.d.R.] che Donald Jr. hanno parlato infatti di brogli anti-Sanders, spirando il vento sul fuoco delle divisioni interne nel Partito Democratico».

LR: «Secondo me sarà dimenticato nel giro di non troppo, ma certamente è una figuraccia. Martedì tutti i giornali avevano in prima pagina il fallimento del Partito Democratico. E nonostante fosse un problema del partito locale ci sono state dure accuse anche al Comitato Nazionale Democratico. Per aggiungere caos al caos, i candidati Democratici sconfitti (Biden e Warren) hanno messo in dubbio l’affidabilità del partito locale e statale. Dal loro punto di vista forse hanno fatto anche bene, ma in vista delle elezioni generali e di primarie divisive non è una buona idea mettere in dubbio l’affidabilità del tuo partito. Si fa il gioco di Donald Trump».

Tra una settimana si voterà in New Hampshire, il secondo Stato al voto. Data la mancanza di copertura mediatica per via dei ritardi nella comunicazione dei risultati, pensate che il New Hampshire possa rimpiazzare l’Iowa e fare da trampolino di lancio per chi potrebbe vincere la nomination?

LR: «Secondo me sì. Il New Hampshire è l’Iowa del 2020. Normalmente l’Iowa screma i candidati, chi va male si ritira. Approfittando del caos Biden, Warren e Klobuchar sono rimasti in corsa, così come Gabbard, Yang e Steyer. Dopo il New Hampshire sarà difficile però far finta di nulla di fronte a una seconda sconfitta. Gli elettori del New Hampshire inoltre ci tengono molto al loro ruolo e quest’anno probabilmente hanno capito che possono essere decisivi. Quindi sì. Mi aspetto ritiri dopo martedì e un boom per il vincitore».

Joe Biden per mesi è stato considerato da tutti il frontrunner Democratico. Pensate che dopo il pessimo risultato in Iowa possa esserci un’altra pesante sconfitta per l’ex vicepresidente? Se sì, quant’è realistico pensare a un ritiro della candidatura prima del Super Martedì?

DA: «Un ritiro della candidatura prima del Super Martedì per Joe Biden lo escluderei anche se dovesse collassare in South Carolina. Prima del Super Martedì è ipotizzabile un ritiro di Klobuchar o di Warren in caso di dati non eccezionali, invece. Ma Biden penso proprio che resterà in campo almeno fino al Super Martedì. E comunque non darei per morta la sua campagna elettorale, giusto poco fa ho visto che ha ottenuto l’endorsement del sindacato dei lavoratori elettrici. Ed è pur sempre un ex vicepresidente».

LR: «La sua candidatura si reggeva su due fattori: l’essere stato il vicepresidente di Barack Obama e l’essere visto come un vincente. Tolto uno dei due pilastri è difficile andare avanti. In caso di un’altra grande sconfitta in New Hampshire passerebbe come il perdente. Lui si era candidato in parte perché certo di vincere secondo i retroscena pubblicati in primavera. Secondo me potrebbe ritirarsi se capisce che rischia una figuraccia. Sarebbe un brutto colpo, ma sempre meglio che passare alla storia come colui che non si è ritirato e ha perso malamente le primarie».

Bernie Sanders è adesso il favorito per vincere la nomination, secondo il modello statistico del sito FiveThirtyEight. Che risultati dovrebbe ottenere nelle prossime tornate per assicurarsi la nomination?

LR: «Deve assolutamente vincere bene il New Hampshire e poi il Nevada. Dai risultati in Iowa sappiamo che è andato molto bene nella comunità ispanica, quindi in Nevada dovrebbe fare un buon risultato. In New Hampshire molto dipende dalla spinta che riceverà Buttigieg da questa specie di vittoria in Iowa. Se vince questi due e anche se poi dovesse perdere la South Carolina, cosa più che possibile se Biden dovesse essere in corsa, sarebbe il favorito per il Super Martedì. Se vince lì, ha la nomination in tasca».

DA: «È ancora troppo presto per dirlo, checché ne dica il modello di Nate Silver. Sanders diventa davvero avvantaggiato secondo me se: a) vince nettamente e chiaramente in New Hampshire (le aspettative contano, ricordiamocelo); b) ottiene un risultato migliore del previsto; c) Warren si ritira e da il suo appoggio a lui, mentre Biden, Buttigieg e Bloomberg si dividono il voto moderato nel Super Martedì. Questo sarebbe lo scenario da sogno per Sanders».

Quali sono le sue chance contro Trump?

DA: «Il mainstream afferma che un candidato centrista ha più chance di Sanders contro Trump, in quanto la campagna del presidente lo massacrerebbe facendo leva sul sentimento anti-socialista degli americani. Possibilissimo. Però non ne sono troppo sicuro vedendo i dati. Uno degli assunti è che gli indipendenti siano in buona parte moderati e fuggirebbero dal Partito Democratico se Sanders fosse candidato. Ebbene qui mi attendo che il risultato in New Hampshire mostri come il supporto principale per Sanders provenga proprio dagli indipendenti che intendono votare per i democratici. Inoltre altra questione è l’affluenza al voto per le presidenziali: tutti i modelli – ma proprio tutti – si basano su un’affluenza nella media delle presidenziali degli ultimi anni. Due candidature come Sanders e il presidente Trump che si scontrano potrebbero portare ad una elezione con l’affluenza più elevata della storia superando anche quella del 2008. In tal caso dipende davvero da chi andrà al voto. In sintesi, è troppo difficile dire ora se la candidatura di Sanders sia un errore o meno in vista dello scontro con Trump, secondo me».

LR: «Difficile da dire ora. Nella Rust Belt potrebbe fare un ottimo risultato, ma la Sun Belt è difficile da conquistare con lui come candidato. Molto dipenderà anche da come esce il partito da queste primarie. Una riedizione del 2016 non sarebbe d’aiuto. Trump ha un basso tasso di approvazione, ma neanche quello di Sanders è particolarmente buono. Con la polarizzazione politica che c’è negli Stati Uniti gli elettori di un partito odiano il candidato dell’altro partito e viceversa. Il meno odiato è il favorito a quel punto, un po’ come è successo nel 2016».

Pete Buttigieg si è dichiarato ‘vittorioso’ dopo i caucus in Iowa, nonostante si sia trattato sostanzialmente di un pareggio. Quali sono le sue aspettative? L’ex sindaco di South Bend durante i suoi comizi afferma con sicurezza di poter ottenere la nomination.

DA: «Buttigieg fa bene a dichiararsi vittorioso in ogni caso anche se dovesse perdere per poco il conteggio dei delegati. Infatti viste le aspettative per lui è comunque un risultato migliore del previsto, e si è già imposto come portabandiera dei democratici moderati negli Stati del nord. Il suo problema resta e rimane uno solo: la sua – per ora ancora forte – incapacità di convincere l’elettorato non bianco (afroamericani in primis, ma anche ispanici) della sua candidatura. Senza un netto passo in avanti da questo punto di vista, non avrà chance dopo il New Hampshire. Soprattutto nel Super Martedì. Direi che vedremo se la sua candidatura si sgonfierà o meno in Nevada e South Carolina, a prescindere da come finirà in New Hampshire».

LR: «Ha probabilmente fatto bene dal suo punto di vista. Anche se rischia un contraccolpo notevole adesso che si sa che è un pareggio.Il problema di Buttigieg è che va bene solo in Iowa e New Hampshire. Se non riesce a recuperare voti nelle minoranze e negli altri stati al voto è messo male. E attualmente non c’è un chiaro percorso verso una sua nomination. Dopo una vittoria in New Hampshire potrebbe avere comunque una spinta notevole e le cose potrebbero capovolgersi. Ma al momento mi ricorda un po’ il Sanders del 2016 con la differenza che a contendersi i voti dei bianchi ci sono già diversi candidati».

Terminiamo l’intervista con una domanda sul progetto Elezioni USA 2020. L’idea è nata nel 2016, per seguire le elezioni presidenziali dello stesso anno. Adesso la pagina conta quasi 45.000 like e ha un canale su Telegram seguitissimo. Cosa ne sarà di Elezioni USA 2020 dopo, appunto, le elezioni del 3 novembre 2020?

LR: «Quando l’anno scorso, in questo periodo, siamo ripartiti l’idea era di chiudere dopo il giuramento del nuovo (o vecchio) presidente e riaprire magari per le midterm. L’idea per ora rimane quella, ma si può anche valutare di continuare a seguire la politica statunitense con aggiornamenti meno frequenti in cui si spiega cosa sta succedendo. O magari inventandoci qualche nuova forma per raggiungere chi ci segue. Vediamo come evolvono le cose e ne riparliamo fra un anno».

DA: «Confermo quanto dice Lorenzo, l’intenzione al momento è quella di proseguire fino al giorno del giuramento del prossimo presidente, 20 gennaio 2021. Comunque continueremo a seguire ed aggiornare costantemente anche dopo l’altra pagina che stiamo gestendo, GPN Media Center, per seguire gli avvenimenti in tutto il mondo».

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Gianluca Lo Nostro

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