Questo è l’ultimo articolo di “Sememeotica: perché il meme dominerà la politica”. Un viaggio nella storia dei meme, dalla rivoluzione comunicativa di Internet al loro impatto sulla politica e sulla nostra vita. L’autrice, Laura Valentini, è laureata in Scienze della Comunicazione – curriculum politico-istituzionale all’Università di Roma Tor Vergata. La presente serie prende spunto dalla sua tesi di laurea.
Gli articoli precedenti:
– Parte prima: la rivoluzione Internet
– Parte seconda: l’epidemia social
– Parte terza: il meme, linguaggio della Rete
– Parte quarta: il Meme Politico
– Parte quinta: l’Alt-Right e la politica online
– Parte sesta: il fenomeno Gamergate
– Parte settima: Pepe the Frog è morto, viva Pepe!
– Parte ottava: l’opinione pubblica online
– Parte nona: il mematore come opinion leader
Il meme ormai non è più l’immagine nonsense che rimandava a pratiche interne a una community, ma è diventato portatore di significati ricchi di alta cultura e references all’attualità globale, mostrando una potenza comunicativa davvero fuori dal comune. Basti pensare alla diatriba avvenuta tra l’admin di Logo Comune e Alessandro Di Battista, o alla presenza di Gianni Pittella al convegno dei Socialisti Gaudenti, o ancora agli endorsement pubblici di Donald Trump nei confronti dei suoi sostenitori online. Persino la politica si è piegata alla logica del meme e, inconsapevolmente o meno, non può che sottostarvi e fungere da perenne benzina per il fuoco dell’ironia.
Se addirittura quella che noi siamo abituati a considerare élite è caduta in un mero gioco ironico, questo sta a ribadire la potenza del codice comunicativo dei meme e la gravità delle conseguenze di un suo uso sbagliato (basti pensare ai meme alt-right, capaci addirittura di ribaltare un risultato elettorale. Con buona pace di Alessandro Borghese).
L’Opinione Pubblica 2.0 e i meme necessitano quindi di una loro élite politica, culturale e sociale imperniata sulla gestione e propagazione di questo codice. Manuel Castells, in Comunicazione e Potere, parla di “società in rete globale”, ovvero «una società la cui struttura sociale ruota attorno alle reti attivate da tecnologie dell’informazione e della comunicazione elaborate digitalmente e basate sulla microelettronica».
Una definizione certamente utile, che può chiarirci alcune dinamiche di funzionamento della nuova società globale che sta sorgendo, ma non nel definire con chiarezza il punto in cui tale lavoro vuole arrivare. Del resto, appare difficile definire un’élite in base a un concetto così aleatorio come quello di un codice comunicativo. Siamo abituati da sempre a pensare che i veri detentori del potere siano le persone che possiedono soldi, fama ed abbastanza soldati da potersi permettere di “esportare la democrazia”.
Senza contare che l’intento di Castells non è assolutamente quello di definire l’esistenza di una nuova élite del potere. Secondo lui, in una società in rete globale, tale entità non deve esistere: le reti stesse devono essere in grado di far lavorare in sinergia gli attori politici, economici e militari della scena globale. Per fare questo, devono essere necessariamente libere da ogni controllo e i loro gestori devono tenersi il più lontano possibile dalla scena politica.
Come asserisce Castells, infatti, «progetti e valori alternativi portati avanti dagli attori sociali che mirano a riprogrammare la società devono anch’essi passare attraverso le reti di comunicazione per trasformare la consapevolezza ed i punti di vista nella mente delle persone perché contestino i poteri costituiti».
Il meme è stato capace di generare davvero una nuova società online costituita da una sua cultura, la quale è costantemente in divenire ed è una cultura di protocolli di comunicazione, fatta «non di contenuti, ma di processi». Una società in cui il vero potere detenuto è quello di comunicare.
Ma cosa vuole comunicare al mondo questa nuova élite attraverso il codice dei meme? È stato precisato, nel secondo articolo di questa serie, che il meme non ha altro fine se non sé stesso e la sua propagazione. Gli avvenimenti che hanno caratterizzato gli ultimi anni, come la corsa elettorale e la vittoria di Trump, lasciano pensare che ormai esso abbia abbandonato il suo carattere afinale per assumere una funzione molto più alta, e i filoni culturali nati in Italia ce lo stanno dimostrando ampiamente.
Il meme è capace di stimolare nel pubblico una riflessione profonda, e ce lo dimostra il fondamento stesso su cui questo particolare codice nasce, ovvero il concetto di ironia.
Il dizionario ci descrive l’ironia come «alterazione paradossale allo scopo di sottolineare la realtà di un fatto mediante l’apparente dissimulazione della sua vera natura o entità». La scena della psicologia e della medicina mondiale è piena di studi su come comprendere battute ironiche o sarcastiche sia sintomo di una profonda intelligenza e serenità interiore.
È una ricerca pubblicata sullo Smithsonian Magazine a rivelarci questo collegamento. Il cervello, per capire il sarcasmo, deve necessariamente essere conscio del contesto in cui la battuta è inserita e di ciò che le manca per scatenare quella reazione. Il cervello quindi è costretto a elaborare un processo in più per la comprensione della battuta, rafforzandosi e velocizzando i propri processi ordinari. Inoltre, un articolo di Elisabetta Intini ci rivela come le persone più inclini ad apprezzare il black humor siano quelle che rispecchiavano un profilo sereno ed allegro, confutando il luogo comune che associa atteggiamenti sadici e di chiusura mentale a chi apprezza questo genere di comicità.
Ne consegue quindi che il buonumore e la serenità interiore sono il perfetto conduttore per la comprensione e la trasmissione dell’ironia, e che le persone capaci di tali processi decodificativi sono quelle più propense a conversazioni di livello culturalmente e intellettualmente superiore.
Il meme, visto in quest’ottica, assume una nuova funzione: il suo fine non è presentare una realtà alternativa, ma destabilizzarla sottolineandone le caratteristiche peggiori in una luce ironica, cercando di strappare un sorriso all’utente e stimolando infine non solo la sua capacità di decodificazione ma anche il suo apprendimento culturale. Tale processo chiarifica la profondità intellettuale dei memers e dei facenti parte dell’Opinione Pubblica 2.0, e rende il meme il veicolo di informazioni più intelligente e articolato che si sia mai visto.
Da questo ultimo assunto possiamo capire come mai i detentori del codice memetico abbiano così a cuore la sua preservazione contro l’orda di normie che tutto distrugge, appiattendo i layers di ironia e facendo scadere tale veicolo comunicativo nella standardizzazione in nome della comprensione di tutti, rendendolo sostanzialmente mediocre.
Ma c’è da dire, in difesa della marmaglia, che senza l’eterno conflitto tra “autistici” e normie contro la morte prematura dei memi non esisterebbe nemmeno il meccanismo di funzionamento del codice stesso. Sono proprio questi ultimi che stimolano al rinnovamento del database memico facendone morire alcune parti, spingendo i mematori alla creazione e al tracking di nuove unità.
Ciò spinge a rivalutare il ruolo dei normaloni nel gioco comunicativo della Rete – pur tenendoli ai margini della Società 2.0 in quanto meri consumatori avidi di meme – e a fare un ulteriore passo nella comprensione del motivo che ha spinto i mematori più aficionados a rivalutare nel tempo la pratica dello shitposting, trasformandola da un termine che connota in maniera negativa un comportamento ossessivo e fastidioso all’interno di un forum a una prassi memetica addirittura fondante della diffusione dei fad online.
È ovviamente chiaro, in ogni caso, che i tre tipi di opinione pubblica non ragionano a compartimenti stagni. Sono tutte parti del gioco dei mass media globalizzati, e ognuna gioca la sua partita a modo proprio, veicolando la propria rete di significati al proprio pubblico.
Ma è inevitabile che su Internet questi tre tipi finiscano per interrelarsi e confrontarsi tra loro, portando le idee di una nelle meccaniche comunicative dell’altra. Ne consegue quindi che il dialogo tra le opinioni pubbliche in rete si trasforma in una battaglia comunicativa, in cui la posta in gioco diventa il monopolio delle menti.
Castells sostiene che il potere nella società in rete è il potere di comunicare, e chi detiene la padronanza del codice comunicativo di riferimento all’interno del gruppo sociale detiene il potere. Ma cosa si intende per potere? È sempre il sociologo a dare una definizione del termine, stavolta perfettamente calzante al punto a cui tale serie intende arrivare:
Il potere è la capacità relazionale che permette a un attore sociale di influenzare asimmetricamente le decisioni di altri attori sociali in modo tale da favorire la volontà, gli interessi e i valori dell’attore che esercita il potere. Il potere è esercitato con mezzi di coercizione (o con la possibilità di ricorrervi) e/o con la costruzione di significato sulla base dei discorsi attraverso i quali gli attori sociali guidano la loro azione.
Influenza è la parola chiave in questo gioco di potere. Ogni attore vuole imporre la propria logica sull’altro per veder prevalere il proprio universo di valori, trasformando quindi a proprio piacimento le mentalità dei singoli individui. L’Opinione Pubblica di Massa vuole influenzare il mondo con le proprie fake news e visioni distorte in nome di un’improbabile verità. L’Opinione Pubblica di Divulgazione vuole spingere le persone ad assumere un atteggiamento critico nei confronti dell’informazione, invitando a confrontare le fonti. L’Opinione Pubblica 2.0 mira alla decostruzione della fonte in nome della dissoluzione della logica stessa del potere mainstream, imponendo il suo codice comunicativo alle altre in un’eterna lotta tra dank e normie. Riuscendoci.
Ricordiamo ormai che qualsiasi entità online, dalle organizzazioni politiche ai brand, fino ad arrivare all’ultimo blog complottista, deve sottostare alla narrazione memica per far sì che il suo messaggio possa arrivare a più persone possibili; tale narrazione fa perno sull’eterna lotta tra normaloni e mematori incalliti in cui gli uni si affidano agli altri per far propagare e morire il codice in un Eterno Ritorno dell’Uguale.
È la Società 2.0 a permettere tutto questo, un’élite composta da arguti ragazzi e dai loro seguaci occupati all’arricchimento del codice per il solo fine di mantenerlo in vita, cosicché possa continuare ad imporsi su ogni gruppo sociale influenzando il suo modo di comunicare, fornendo un’infinita riserva di benzina ironica per poter consentire la sua diffusione.
Certo, il meme avrà perso definitivamente il suo carattere afinale, ma il suo propagarsi ha comunque mantenuto lo scopo originario prospettato da Richard Dawkins, ovvero il monopolio delle menti. Ma ora esso ha in più l’essenza di veicolo comunicativo manifestante la superiorità di una nuova élite sociale e culturale, quella dell’Opinione Pubblica 2.0, capace di imporre con forza la Meme Magic anche negli ambienti più impensati e tradizionalmente sinonimici di rigorosità, come la politica, la quale ora non può far altro che sottostare alla logica del linguaggio della Rete se vuole far arrivare i suoi messaggi a più persone possibili.
Un’élite capace di autoselezionare i suoi membri più eminenti proprio grazie al veicolo comunicativo che la rende tale, in quanto solo le persone con un certo grado di intelligenza e apertura mentale sono capaci di comprendere l’ironia intrinseca dei meme.
Un’élite che va oltre la rigidità delle classi sociali mainstream, in quanto basta semplicemente una connessione Internet a portata di mano e un certo grado di buona volontà per capire i layers di ironia in un meme e quindi ampliare la propria cultura generale.
Un’élite che va oltre la rigidità delle preferenze politiche, in quanto il meme vive di confronto ironico con realtà diverse da quelle del suo creatore; una élite che è stata in grado di capovolgere le sorti del Paese più potente del mondo con delle “immaginette buffe” arrivate alla mente e al cuore di tutto il popolo della Rete, il quale ha legittimato il meme come sua unica forma di espressione e comunicazione.
Se volessimo però guardare avanti nel tempo, allo stato attuale nessuno è in grado di stabilire o prevedere come andranno le cose: la realtà del Web è in costante evoluzione, e con essa anche quella dei memes e della società attorno a essi imperniata. È quindi necessario che giovani memers, teorici e professori di tutto il mondo uniscano le forze per avviare una ricerca politica e sociale che sia costantemente aggiornata, al fine di monitorare il cambiamento generale e, chissà, fornire delle linee teoriche finalizzate a guidarlo per il meglio.
Le vecchie categorie politiche e sociali stanno vacillando, lasciando il posto ad una nuova società globale in cui l’ironia la sta facendo da padrone, una Società 2.0. E inevitabilmente, allora, un meme ci seppellirà.
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