Il coronavirus del giornalismo italiano

Sia chiaro: in questa specifica sede non tratteremo il coronavirus in quanto argomento medico. Chi scrive non può che ammettere di non possedere le giuste conoscenze e le corrette informazioni dettagliate per poter dare consigli o profetizzare imposizioni. Ai professionisti del settore la responsabilità e l’attenzione di spiegare cosa è giusto e cosa non lo è. Certamente, se si ragiona in questi termini, si può però analizzare il lato giornalistico della vicenda.

Perché ancora una volta, nonostante un’ipocrita chiamata al buonsenso, proprio dai mezzi di informazione che dovrebbero (per l’appunto) informare correttamente i cittadini arrivano titoli isterici, battaglie alla Don Chisciotte contro i mulini a vento e un generale aumento di quel senso di inadeguatezza che da troppo tempo si respira nel giornalismo nostrano.

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Il coronavirus del giornalismo italiano

Anche in questo caso una precisazione è dovuta: nessuno pontifica. Ma dare un ritratto della situazione è corretto. E in questi giorni ne abbiamo lette e sentite di tutti i colori. C’è chi ha deciso di spremere il succo coronavirus fino alla sua ultima goccia, con articoli costanti e continui, rendendolo – di fatto – la colonna portante della sua linea editoriale. Perchè «È l’attualità, baby». Ma pure l’attualità, quando necessario, va trattata giocando di sottrazione. Altrimenti diventa la solita, futile, corsa alla notizia.

Oppure c’è chi ha voluto utilizzare il coronavirus per scopi politici (ma guarda un po’, nessuno se lo sarebbe mai aspettato!). Al di là dello sciacallaggio mediatico che da sempre riguarda alcuni personaggi senza senso del pudore, fin troppi sensazionalismi sono stati letti. Di base, peraltro, regna l’assoluta incoerenza. Una comune influenza, certo. Però, al tempo stesso, stiamo apparecchiando una strage. I campionati non si devono fermare! Ma occhio, vanno evitate manifestazioni sportive e ludiche. Manteniamo la calma, niente panico! Diciamo però che si sta facendo troppo poco per affrontare il problema…

Una narrazione migliorabile

Come tanti altri problemi, eventi, personaggi prima di lui, il coronavirus non è altro che un pretesto per credere di fornire informazione soltanto per ambire in realtà a qualche click in più. L’occasione per qualche pseudo-collega di portare avanti un report distruttivo e disarmante della società, quando – giocoforza e per tutti – la vita continuerà e deve continuare. Si dice spesso che l’Italia stia diventando un popolo di ignoranti. La verità è che molta di questa responsabilità è anche di un’informazione di livello genericamente medio-basso. Che preferisce allarmare mentre fintamente rassicura. Che pretende di trasmettere emozioni e sensazioni – per cui servirebbero mille parole – in poche, confuse frasi. E che vuole per forza dire la sua, anche quando non ne ha le competenze. Sfociando dunque in una tragica irresponsabilità.

Il ruolo del giornalista risiede, molto spesso (ma non sempre), quasi unicamente nel racconto dei fatti, che sono supremi e incontrovertibili. Il giornalista accompagna chi lo legge o ascolta a una conclusione, senza per questo influire direttamente sul contesto. La narrativa moderna di questo mestiere però assomiglia più a una soap-opera che a un film autoriale, con una sceneggiatura sempre più controversa. Il giornalismo italiano è sì malato di coronavirus. Speriamo solo si tratti davvero di una fase passeggera. Altrimenti, per tanti anni ancora, molti saranno giustificati dal dover indossare una mascherina.

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