Dell’arrivo del Coronavirus SARS-CoV2 (da qui semplicemente coronavirus) in Italia, che ha portato più perdite economiche che umane, se ne sono accorti ormai tutti e, in particolar modo, giornalisti e politici. I titoli dei giornali, ad oggi, sono leggermente più confortanti rispetto quelli che hanno caratterizzato i primi giorni di “panico”: fino a non molte settimane fa, infatti, ogni singolo articolo sembrava un bollettino di guerra e le prime pagine delle maggiori testate italiane una gara al titolo più sensazionalistico. Anche i politici, dal canto loro, hanno sguazzato in questo clima traendone un vantaggio personale, in termini di consensi o, ancora, richiedendo i più disparati provvedimenti e, fra questi, è ritornato in auge il sempre verde “porti chiusi”. Ciò nonostante, i fatti più recenti di cronaca hanno dimostrato come la politica della totale chiusura al mondo esterno sia stata effettivamente adottata ma… nei confronti degli italiani.
Tanto premesso il Governo non è rimasto inerme e, senza provvedere a decisioni drastiche, è intervenuto con una serie di provvedimenti diretti al contenimento del nuovo, invisibile, nemico. Questi si traducono principalmente nella quarantena o, che dir si voglia, nell’isolamento dei focolai ossia di quelle comunità dove si è sviluppato e diffuso il virus senza che vi sia conoscenza dell’origine della trasmissione o che questa, in ogni caso, non sia ascrivibile ad una persona proveniente da un’area già oggetto di contagio. Le limitazioni alla libertà personale degli individui appaiono, alla luce delle citate misure di sicurezza, più che evidenti. Ma simili interventi di legge che hanno portato, fra l’altro, al coinvolgimento della forza pubblica sono consentiti o si traducono in una lesione delle libertà fondamentali dell’uomo?
La libera circolazione e la salute
La libertà di circolazione è una delle libertà fondamentali dell’uomo e, in particolare, trova espresso riconoscimento e tutela nell’art. 16 della Costituzione. Sulla lettera del predetto articolo, ciascun soggetto è libero di circolare e soggiornare all’interno del Paese senza alcuna limitazione, salvo ragioni di sicurezza o sanità ma comunque, in nessun caso, per ragioni politiche. Questa tutela, peraltro, viene ribadita anche a livello sovranazionale dall’art. 21 TFUE e dall’art.45 della Carta Fondamentale dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea. Analizzando ulteriormente la normativa europea acquistano particolare rilievo, poi, gli accordi di Schengen che sanciscono, quale libertà fondamentale dei cittadini, la libera circolazione attraverso tutti gli Stati aderenti alla stessa. Questi ultimi accordi sono stati oggetto di diverse critiche, soprattutto con riferimento ai temi dell’immigrazione ma ora, anche, con riferimento alla necessità di contenere proprio il nuovo coronavirus. Al di là delle facili critiche mosse, gli accordi di Schengen garantiscono, come anticipato, la libera circolazione dei soggetti e sono oltretutto essenziali per garantire la piena libertà della persona. Ogni singolo cittadino, infatti, non è più il soggetto passivo di un’autorità massima, rappresentata dal proprio Stato di appartenenza, non necessità quindi di alcuna autorizzazione da parte di un ente “superiore” per potersi muovere e spostare da un Paese all’altro. La libera circolazione delle persone, così come quella delle merci, rappresenta un’applicazione concreta del Trattato sulla pace perpetua di Kant anche se una su prima, concreta, applicazione, avverrà solamente con l’istituzione della Comunità Europea in riferimento alle merci. La tutela è stata poi gradualmente estesa alle persone partendo dai lavoratori nelle miniere fino ad arrivare, come la conosciamo oggi, a ogni cittadino di uno Stato membro.
Tanto premesso, appare chiaro che la libera circolazione dei soggetti è un diritto fondamentale dell’uomo garantito su più fronti. Tuttavia i principi fondamentali di un ordinamento giuridico non operano mai singolarmente. Ognuno di questi dialoga con tutti gli altri principi generali al fine di creare una sorta di equilibrio fra diritti e obblighi di ogni individuo.
Come anticipato, infatti, il fondamentale diritto alla libera circolazione dei soggetti può subire delle restrizioni se queste siano dovute a ragioni di ordine, sicurezza pubblica o, appunto salute. Anche la salute, infatti, rappresenta un diritto fondamentale dell’individuo e trova anch’essa tutela costituzionale per il tramite dell’art. 32. Con diritto alla salute si intende, in primis, il diritto della singola persona ad essere sana, in pieno benessere non solo fisico ma anche psicologico. Il diritto alla salute si estrinseca come particolarmente ampio, esso, infatti, spazia dalla necessità dell’uomo di vivere in un ambiente salubre fino all’accesso per chiunque alle cure gratuite essenziali. Titolari del diritto alla salute, poi, sono tanto i singoli individui presenti sul territorio nazionale quanto la comunità intesa nel suo complesso. Proprio nell’interesse collettivo trovano giustificazione diversi provvedimenti come l’obbligo vaccinale o i trattamenti sanitari obbligatori ma anche, come nel caso di specie, le limitazioni ad altri diritti fondamentali come quello della libera circolazione.
I provvedimenti adottati dal Governo
Arrivando, ora, a parlare degli interventi intrapresi per il contenimento dell’epidemia da coronavirus, hanno fatto particolarmente discutere due libere iniziative da parte della regione Marche e di Ischia che hanno preceduto, cronologicamente parlando, il primo decreto Legge adottato dal Governo il 23/02/2019 e le successive integrazioni. In particolare Ischia aveva previsto il divieto di accesso per chiunque fosse residente in Veneto e Lombardia o, semplicemente, vi avesse soggiornato negli ultimi 15 giorni. La regione Marche, invece, aveva adottato la chiusura delle scuole e Università fino al 4 marzo 2020. Con riferimento a questi provvedimenti, la decisione della Regione Marche è stata impugnata dal Governo mentre, per quanto riguarda la particolare iniziativa di Ischia, questa, praticamente nell’immediato, è stata annullata dalla Prefettura in quanto ritenuta, giustamente, eccessiva facendo riferimento a due intere Regioni e prescindendo dalle zone realmente colpite.
Per ciò che concerne, invece, le disposizioni stabilite in modo organico dal Governo, il punto cruciale di ogni intervento è riconnesso al decreto legge n. 6 del 23 febbraio 2020. Il provvedimento più rilevante che ne ha conseguito è senz’altro quello delle misure di contenimento che possono essere adottate proprio in quelle che sono definite “zone rosse” ossia i focolai di infezione del nuovo virus. Fra queste rientrano il divieto di manifestazioni pubbliche, di accesso ai musei, cinema, luoghi di aggregazione, la sospensione dell’attività scolastica, l’obbligo di comunicare il rientro da zone a rischio alla propria Azienda Sanitaria di competenza, la sospensione di trasporti o di alcune tipologie di lavoro fino ad arrivare al divieto di accesso e di uscita da particolari aree geografiche o Comuni. L’attuazione di dette misure spetta al Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della Salute e sentiti i Presidenti delle Regioni interessate. In alcuni casi, caratterizzati da una particolare urgenza e necessità, i provvedimenti potranno essere adottati direttamente dagli organi regionali o locali.
In un primo momento, specifici interventi sono stati intrapresi solo da alcune regioni come Veneto e Lombardia che, appunto, hanno previsto, la sospensione di attività di aggregazione (come attività scolastiche, messe, libero accesso agli uffici pubblici o ai musei) nonché le classiche raccomandazioni per prevenire le normali patologie invernali (lavarsi le mani, evitare i contatti diretti, tossire e starnutire nell’incavo del gomito e via dicendo). Per quanto riguarda, invece, le due aree focolaio presenti in Italia, quelle del padovano e del lodigiano, sono state adottate misure più severe ossia quelle della quarantena. Essa, di fatto, prevede la creazione di un sistema di controlli lungo il confine dell’intera area diretta ad evitare entrate o uscite dalla zona salvo emergenze e istituendo, altresì, appositi corridoi per il transito di farmaci ed alimenti.
Tali misure sono state sostanzialmente riprese ed ampliate, a livello nazionale, dai due recenti interventi della presidenza del Consiglio dei Ministri di inizio marzo in forza del precedente provvedimento. In maniera specifica, infatti, è prevista la sospensione dell’attività scolastica, di ogni ordine e grado, fino al 15 marzo 2020 così come la chiusura, fino all’8 marzo, di discoteche, locali notturni, concerti, cinema e teatri nonché le celebrazioni religiose. I due decreti, poi, prevedono particolari limitazioni per diversi servizi come gli uffici pubblici, l’accesso agli ospedali, le piscine, le palestre e i musei dove dovrà essere garantita la distanza di un metro fra le persone e, per gli ospedali, non è consentito agli accompagnatori fermarsi in sala d’attesa. Del tutto peculiare, poi, quanto previsto per bar ed eventi sportivi: i primi possono servire i clienti solo ai tavoli i secondi, invece, vengono consentiti ma “a porte chiuse” ossia senza pubblico. Vengono infine adottate una serie di precauzioni come l’introduzione, nei pubblici uffici, di dispenser di gel lavamani, viene consigliato di evitare luoghi affollati, abbracci, strette di mano e, per i soggetti sopra i 65 anni, limitare le uscite di casa allo stretto necessario.
Su un differente piano si pone, invece, la particolare forma di quarantena con sorveglianza attiva per chiunque abbia avuto contatti con un caso accertato di coronavirus. Tale misura risulta applicata dalle ASL territoriali nei confronti di chi, appunto, è entrato in contatto con casi confermati di malattia o che abbia soggiornato nelle aree interessate dall’epidemia. Una sorta di quarantena “domestica” per semplificare. Appare opportuno precisare che detti provvedimenti non lasciano il tempo che trovano e, anzi, il mancato rispetto degli stessi porta a conseguenze dal punto di vista penale. Essi, infatti, sono interventi emanati dall’autorità, dati da ragioni di sicurezza o di ordine pubblico e, come tali, la loro violazione è riconducibile all’art. 650 del codice penale. Il predetto precetto penale comporta, in caso di violazione di simili provvedimenti, l’arresto fino ai 3 mesi o l’ammenda fino a € 206,00.
Appare evidente, a questo punto, che il diritto alla salute, nella sua particolare connotazione di salute collettiva, trova tutela massima da parte dello Stato anche a discapito di altri fondamentali diritti dell’uomo come, appunto, quello alla libera circolazione. La particolarità della situazione attuale, però, è un’altra. Certo, tutte le misure contenitive sono corrette e comprensibili soprattutto data la rapida diffusione del virus a livello globale e, d’altra parte, l’assenza di un vaccino specifico diretto all’arginarla o comunque a proteggere le fasce di popolazione più deboli. Ciò che non è condivisibile, in nessun caso, è il comportamento tenuto, soprattutto nella fase iniziale, da parte della stampa e della politica. Il marciare sul panico delle persone, per acquisire consensi o qualche vendita in più, ha portato a diverse situazioni fuori controllo culminate, a livello interno in episodi violenti e discriminatori e, all’estero, nel credere che l’Italia, ormai, sia totalmente “contaminata” e da isolare tanto come Paese quanto come produttore. Nella speranza che tutte queste sgradevoli situazioni si possano risolvere nel minor tempo possibile appare il caso, in questa sede, di ricordare che un giornalista, così come un politico, soggiace a particolari obblighi di natura, principalmente, morale. Mentre il politico deve avere come primo obiettivo la tutela e la salvaguardia del Paese che rappresenta, il giornalista deve diffondere semplicemente informazioni o, che dir si voglia, la verità e non svendersi alla facile isteria di massa. Diversamente il rischio è quello di dover raccogliere, come sempre, ciò che si semina.
*** AGGIORNAMENTO AL 10/03/2020 ***
Il recentissimo Dpcm del 09/03/2020, entrato in vigore ufficialmente il 10/03/2020, impone alcune importanti precisazioni sui provvedimenti di tipo restrittivo previsti dal Governo per far fronte alla diffusione del coronavirus.
Questo intervento, di fatto, estende quanto già previsto per la Regione Lombardia ed alcuni comuni del Veneto, la così detta “zona rossa” a tutta l’Italia (l’art. 1 del precedente decreto). Ne consegue, allora, che gli spostamenti sull’intero territorio nazionale sono consentiti unicamente per ragioni di salute, di lavoro o per altre necessità come, ad esempio, l’acquisto di beni essenziali. Tali motivazioni dovranno essere rese, tramite un generico modulo di autocertificazione (generalmente ogni Comune lo rende disponibile sul proprio sito), in caso di controlli da parte della polizia che verranno avviati a campione. In caso di ingiustificato motivo il rischio, come già anticipato, è quello dell’applicazione delle sanzioni previste dall’art. 650 del codice penale. Vengono poi estese una serie di limitazioni per i bar: limiti di apertura dalle 6 del mattino alle 18, divieto di servire al bancone e, in ogni caso, l’obbligo di garantire la distanza minima di un metro fra gli utenti. Viene disposta la chiusura delle scuole, di ogni ordine o grado, di piscine, palestre, sale scommesse, sale giochi, discoteche, locali notturni, concerti, manifestazioni ed eventi, cinema, teatri e celebrazioni religiose nonché concorsi pubblici. Resta fermo il divieto di assembramento, per qualsiasi ragione, in luoghi pubblici o privati siano essi chiusi o aperti. Vengono da ultimo sospesi gli eventi e le competizioni sportive di ogni ordine o disciplina, gli impianti risultano utilizzabili unicamente per attività di allenamento se queste corrispondono ad interesse nazionale.
Il Governo, data la genericità delle disposizioni adottate ha, comunque, predisposto un’apposita pagina in cui rientrano tutte le domande più comuni e le relative risposte.