L’emergenza da Covid-19 può anche essere l’occasione che tutti noi aspettavamo per fare quello che abbiamo sempre procrastinato. Un album da ascoltare, un film da guardare o un libro da leggere: le cose più banali che si possono fare nel tempo libero, ora si possono finalmente completare senza sensi di colpa. Per quanto però possa sembrare scontato il fatto stesso di guardare un film o di leggere un libro – in realtà oggi non lo è affatto –, quest’epidemia è stata una manna dal cielo per quelle persone che non riescono a trovare un momento libero o un’occasione per rilassarsi nella vita di tutti i giorni. Abbiamo scelto cinque libri che riteniamo un must per affrontare il coronavirus. Si tratta perlopiù di narrativa, soprattutto classici, ma non vogliamo precludervi l’opportunità di riflettere sui temi storico-politici di grande attualità. Ecco, quindi, la top cinque di libri da leggere assolutamente col coronavirus secondo theWise:
Lasciateci vivere per sempre, in salute e in malattia, deboli di carattere, decrepiti, senza denti, pieni di macchie, ipovedenti, con le allucinazioni. Chi decide queste cose? Che cosa c’è là fuori? Chi sei tu?
Non potevamo non cominciare da questo. Rumore Bianco (White Noise) è forse il capolavoro di Don DeLillo, scrittore italoamericano vincitore nel 2013 del premio Library of Congress Prize for American Fiction, un premio assegnato dalla Libreria del Congresso degli Stati Uniti al miglior autore di narrativa americana. Rumore Bianco è un libro che affronta la risposta di una società, quella del Ventesimo Secolo, che è prodotto di un consumismo esasperato, alla morte. Il protagonista Jack Gladney è il fondatore e coordinatore del corso di Hitler studies all’università College-on-the-Hill.
La trama è la storia della sua vita, una vita che va piuttosto bene, fino a quando una fuoriuscita di materiale radioattivo da una ferrovia non porta alla formazione di una nuvola tossica che costringe Jack e la sua famiglia ad abbandonare College-on-the-Hill. Dopo aver evacuato la zona, Jack entra in uno stato di psicosi caratterizzata dallo sviluppo di un delirio cronico, incoerente, che evolve lentamente lasciando integre le restanti funzioni psichiche.
Jack è quasi incosciente delle sue azioni e, in balia delle sue stesse paranoie, riesce paradossalmente a cogliere la consapevolezza della sua morte, di cosa significherebbe per gli altri e del suo contributo alla società. Per contro, DeLillo aggiunge al contesto della trama elementi di notevole rilevanza sociale. La saturazione dei media e la narrazione della paura che essi promuovono è un ritratto inquietante della nostra contemporaneità.
La folla urlò in continuazione e buttò pezzi di pane nell’arena, poi cuscini e fiasche da vino di cuoio, continuando a fischiare e a gridare. Alla fine il toro era troppo stanco, dopo tanti colpi di spada dati male, e piegò le ginocchia e si adagiò sulla sabbia e uno della cuadrilla si chinò sopra il suo collo e lo uccise col puntillo. La folla scavalcò la barrerà e circondò il torero e due uomini lo agguantarono e lo tennero stretto e qualcuno gli tagliò il codino e lo agitava in aria e un ragazzo lo afferrò e fuggì portandoselo via. Più tardi lo vidi nel caffè. Era molto basso, con un viso olivastro, e ubriaco fradicio, e diceva dopo tutto è già successo prima. Veramente io non sono un torero molto in gamba.
Ernest Hemingway è stato uno dei più grandi romanzieri del Novecento, un giornalista innovativo, ma, purtroppo, anche un uomo problematico. Morto suicida in Idaho dopo gli ultimi anni passati tra alcol, depressione ed elettroshock, Hemingway ha lasciato in eredità alla letteratura mondiale opere immortali. Se Il vecchio e il mare e Per chi suona la campana sono considerati i suoi testi più famosi, I quarantanove racconti è probabilmente una gemma nascosta. Stroncato dalla critica subito dopo la sua uscita, quest’opera ha il pregio di essere il romanzo migliore dell’autore dal punto di vista stilistico.
Del resto, non è da tutti catturare l’attenzione del lettore utilizzando quattro o addirittura cinque proposizioni coordinate di fila senza sembrare prosaici e pretenziosi. La struttura del libro è anomala, dal momento che è stata raccolta tutta la produzione artistica di Hemingway dal 1921 al 1938 in un unico libro. Il narratore è Nick Adams, alter ego dell’autore, che racconta le storie di uomini vinti dalla vita che non sempre riescono a lasciare il segno. Le nevi del Kilimangiaro, La breve vita felice di Francis Macomber e Colline come elefanti bianchi sono i racconti più caldamente consigliati.
La questione del colore, no, non poteva essere elusa; anche se Victoria aveva pensato, e la si poteva scusare, che per gli Staveney, tranne Thomas certo, il colore non facesse differenza, perché qualunque cosa – disgraziatamente – fosse successa in passato, non aveva più peso nelle umane cose.
Il Premio Nobel per la letteratura Doris Lessing ha raccontato meglio di chiunque altro l’Africa Britannica post-coloniale. Se finire nei libri di antologia delle scuole medie mentre si è ancora in vita è sinonimo di grandezza, allora si può pacificamente sostenere che Doris Lessing è stata una gigantessa della letteratura. Le nonne, da cui è stato tratto il film Two Mothers con Naomi Watts e Robin Wright, è una raccolta di tre racconti.
Nel primo due amiche s’innamorano ciascuna del figlio adolescente dell’altra, dando inizio a una storia che va avanti fintanto che i due figli non si sposano, ma non rinunciano al loro rapporto privilegiato con le loro madri. La seconda storia narra le vicende di Victoria, una ragazza di colore, orfana e povera, che resta incinta di un ragazzo ricco, bianco, di famiglia progressista, con cui intrattiene una breve relazione. Nell’ultimo racconto un soldato britannico che sbarca a Cape Town durante la Seconda guerra mondiale è ossessionato dal pensiero di aver concepito un bambino. Ciò porta il protagonista a vivere una tormentosa crisi esistenziale che lo logorerà lungo tutto il racconto. Lessing affronta nelle sue opere il disagio e l’imbarazzo nell’Africa post-coloniale, la condizione umana di fronte alla drammaticità psicologica di personaggi indelebili.
La forza di Zanna Bianca dava l’impressione di riassumerne le qualità, ma nonostante ciò lui soffriva di una debolezza assillante: non sopportava di essere deriso dagli uomini. Era una cosa odiosa. Potevano ridere di qualsiasi cosa volessero, tra di loro, a lui non interessava; ma non potevano deriderlo perché, se si prendevano gioco di lui, lui si infuriava terribilmente. Lui era serio, dignitoso, tenebroso: una risata lo mandava fuori di sé sino al ridicolo. Lo faceva indignare al punto da farlo comportare per ore come un demonio. E guai al cane che in quei momenti compiva una scorrettezza.
La notizia è passata in sordina, ma la trasposizione cinematografica del libro di Jack London, Il richiamo della foresta, è al cinema in questi giorni. Un flop di incassi e non solo, a quanto pare. Un film che starebbe macchiando la reputazione di London, morto la prima volta per overdose nel 1916 e la seconda nel 2020 dentro la tomba, mentre cercava di rivoltarsi per insultare chi ha avuto la pessima idea di girare quel film. Non sarà di certo l’ennesimo tonfo di Hollywood a distruggere la fama di uno scrittore senza tempo. Tuttavia, sembra quasi doveroso ricordare al pubblico il genio letterario di Jack London, autore del summenzionato Il richiamo della Foresta e del suo «libro compagno», così definito dallo stesso London, Zanna Bianca.
La storia è incentrata su Zanna Bianca, il cucciolo di lupo grigio nato da Kiche e One Eye. Zanna Bianca si dimostra diverso dagli altri cuccioli della sua cucciolata e diventa subito molto aggressivo e cupo. Alcuni dei suoi maestri, come Gray Beaver e Beauty Smith, non gli mostrano alcuna gentilezza. Impara a obbedire al bastone che viene usato dai suoi padroni, diventando violento, ringhiando contro animali ed esseri umani. Zanna Bianca vuole essere lasciato sempre solo, ma è nato per combattere cani, lupi e persino linci. Questi combattimenti non fanno che alimentare il suo odio verso ogni creatura vivente.
Jack London si ispira parecchio alle idee di Darwin, aspetto che si ravvisa in particolare in Zanna Bianca. Il processo di “selezione naturale” significa che solo i più forti, i più brillanti e in grado di adattarsi di una specie sopravviveranno. Quest’idea è incarnata dal protagonista, Zanna Bianca. Fin dall’inizio, è il lupo più forte, l’unico della cucciolata a sopravvivere alla carestia. La sua forza e la sua intelligenza lo rendono il cane più temuto dell’accampamento. Il trionfo del darwinismo sociale.
Il racconto di Shin toglie il sonno a chi pensava di avere già sentito tutto.
Fuga dal Campo 14 è la biografia di Shin Dong-hyuk, l’unico uomo nato in un campo di prigionia della Corea del Nord ad essere riuscito a scappare. La sua storia è arrivata perfino alle Nazioni Unite, che hanno deciso di istituire una commissione d’indagine sui campi di prigionia nordcoreani. Si tratta di un bestseller tradotto in 28 lingue che ha ispirato un documentario vincitore dell Premio della critica al Toronto Film Festival.
Il Campo 14 non è un campo come tutti gli altri. Grande quanto Los Angeles e visibile su Google Maps, il Campo 14 è un campo di concentramento dove i cittadini nordcoreani rei delle colpe più stravaganti vengono schiavizzati e seviziati quotidianamente. Nel caso di Shin, il crimine giudicato imperdonabile dal governo è avere uno zio che negli anni Cinquanta è fuggito in Corea del Sud. Shin non conosce il mondo esterno, non sa cosa sia il K-Pop né tantomeno un hamburger. La sua esistenza prosegue quasi per inerzia, tra un lavoro forzato e un altro. La reclusione si interrompe grazie all’aiuto di un compagno che tenterà la fuga insieme a lui, riuscendo a raggiungere a piedi la Cina, da cui poi partirà alla volta degli Stati Uniti.
La storia di Shin Dong-hyuk ha sconvolto il mondo e fatto luce sui crimini contro l’umanità della Corea del Nord. Sebbene alcuni fatti pare siano stati alterati per necessità editoriali, Shin Dong-hyuk è a tutti gli effetti il simbolo della lotta alla dittatura nordcoreana. La sua fuga è diventata un caso internazionale grazie al lavoro del giornalista del Washington Post, Blaine Harden. «Le fonti primarie di informazione continuano a essere i rifugiati – spiega Harden -, ma alcuni sopravvissuti si rifiutano di parlare a meno che non li si paghi in anticipo e in contanti, addirittura altri ripetono aneddoti succosi che hanno sentito raccontare». Un libro prezioso per comprendere meglio il sottobosco della Corea del Nord.
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