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Fenomenologia dell’Esselunga

Published by
Andrea Braschayko

A chi si stia domandando come diavolo possa venire in mente di dedicare un intero articolo all’Esselunga (per giunta con un titolo tanto pretenzioso), rispondiamo che l’idea deve esserci balenata leggendo su internet un brano estratto dal libro di Gian Piero PirettoIndirizzo: Unione sovietica. 25 luoghi di un altro mondo, intitolato Очередь (Coda). «Cominciamo con un paradosso. I cittadini sovietici, ed è stata un’amica russa a darmi questa lezione alcuni decenni fa, erano contenti quando, uscendo per la spesa, vedevano le code davanti ai negozi. Nell’ambito di quell’economia così particolare, coda significava prodotti disponibili, a costo di una lunga e non sempre fortunata attesa; si trattava di un’opzione sempre preferibile alla mancanza cronica o assoluta di beni di consumo, segnalata dall’assenza di aspiranti compratori e delle onnipresenti file. Quasi assurdo e inattendibile per un occidentale nato e cresciuto nel consumismo, ma in fondo ragionamento ineccepibile e addirittura condivisibile, seppure a costo di qualche riflessione e di alcune rinunce alle proprie scontate categorie culturali. Operazione forse ancora più difficile per un italiano abituato all’assoluta mancanza di disciplina dei propri connazionali su questo fronte e disavvezzo all’idea di occupare pazientemente un posto dietro altre persone che mirano a una meta comune, dall’autobus alla cassa di un supermercato».

Oggi – in concorrenza con farmacie, ospedali e tabacchini – il supermercato è diventato il luogo di aggregazione (metaforica) più allegro a cui ci è consentito accedere per i prossimi tempi. È anche un po’ sollevante pensare per noi italiani, noi occidentali che per la prima volta ci troviamo a fronteggiare una situazione di questo tipo, che la coda – l’attesa – per comprare e mettere sotto i denti del cibo, oppure per riservarlo a tempi duri, è una dinamica del tutto umana. Anche dell’uomo moderno e globalizzato.

Sì, ma perché proprio l’Esselunga?

A Novara un centinaio di persone in fila per accedere a un Esselunga.

Se la Lombardia è l’epicentro e la regione più tragicamente ferita dalla pandemia più grave che le nostre generazioni abbiano conosciuto, il supermercato che storicamente e quasi antropologicamente rappresenta i lombardi è la catena fondata a Milano nel 1957 da Bernardo Caprotti insieme a Nelson Rockefeller (discendente della famosa famiglia) e diventato in pochi decenni un simbolo della quotidianità meneghina. In tempo di pace, da quanti milanesi avete sentito esaltazioni metafisiche dell’Esselunga: «Ah, ma noi facciamo la spesa solo lì anche se è un po’ più lontana»? Oppure, se siete meridionali, il classico: «Come fate a vivere voi terùn senza?». Le uniche Esselunga a sud dell’Emilia-Romagna si trovano a Roma e ad Aprilia, infatti. Per chi come tanti universitari è cresciuto al Sud e poi si è spostato al Nord dopo le superiori, probabilmente la prima conoscenza con questo brand è avvenuta intorno ai vent’anni. Sopra il Po, invece, è quasi un’istituzione religiosa fin dall’infanzia.

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Nonostante sia l’azienda del settore della grande distribuzione organizzata con il fatturato più alto (circa 7,9 miliardi di euro nel 2018) dell’intera Italia, ben 97 dei 147 punti vendita si trovano in Lombardia. E, lungi dal giudicare in questo articolo la legittima paura di milioni cittadini spesso malinformati dagli stessi mass media, a metà febbraio è tristemente diventata il simbolo di scaffali saccheggiati e code interminabili a Milano, Lodi e Bergamo, prima che il fenomeno si estendesse anche ad aree del Paese non baciate dal sole dell’Esselunga.

L’Esselunga rispecchia perfettamente l’immaginario della vita milanese

Concentrati in poche ma megalomani strutture, con la compulsiva ossessione per i dettagli e la produttività dei propri dipendenti, i supermercati Esselunga fanno sentire i consumatori lombardi e non solo a casa (dove sempre più spesso casa è uguale a lavoro). La rassicurante visione di migliaia di scaffali (fino a un mese fa) sempre pieni e perfettamente assortiti, la familiarità dell’architettura razionale e delle luci artificiali che rimandano a quella degli uffici da dove sono appena usciti gran parte di coloro che si apprestano a fare la spesa.

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Molti dei consumatori abituali, ad alto tasso di fedeltà e lealtà per il brand, giurano di aver visto più volte nel proprio negozio di fiducia il patron Bernardo Caprotti sistemare e ordinare gli scaffali in prima persona (la filosofia principale è che la prima fila deve essere sempre piena, di difficile attuazione in questo periodo), soprattutto nei punti vendita nei dintorni del centro di Milano.
Addirittura secondo leggende metropolitane molti punti vendita diventano un ritrovo per single milanesi al sabato sera. Nel gennaio del 2016 in centinaia si erano riuniti, prima che arrivassero altrettanti giornalisti a rendere imbarazzante la situazione.

Un ambiente caratteristico e fedele al territorio, difficile da affermare in altri contesti come quello dell’Italia meridionale, dove continua a reggere, anche se a fatica, la tradizione del piccolo negozio di alimentari e del mercato o – per spostarci di poco – anche in Emilia Romagna, più a suo agio con l’ambiente pacato e comunitario delle Coop, con cui Caprotti ha intrapreso e vinto una lunga battaglia legale per concorrenza sleale (scrivendoci anche un libro dal simpatico titolo Falce e carrello). Una dedizione alla propria azienda (ha fatto persino causa ai propri figli per difenderla) da parte di Caprotti che rischia di offuscare le accuse e condanne per tangenti alla Guardia di Finanza e comportamenti antisindacali quando non apertamente di mobbing ai dipendenti, ai quali in alcuni casi veniva addirittura impedito di andare in bagno. Il nome di Caprotti, morto nel 2016, è oggi inciso nel Cimitero Monumentale del Pantheon di Milano.

Un’aura di supremazia legata anche alla musica (e ai meme): da OEL a Salmo

Un legame, quello tra Esselunga e presunta arte, che molti assoceranno al virale quanto brutto pezzo trash-trap di OEL del 2017 Le focaccine dell’Esselunga, che segna oltre due milioni di views su YouTube. Ma l’azienda lombarda è anche l’unica della grande distribuzione a “possedere” una pagina di meme (anche piuttosto all’avanguardia, pur se calante di livello negli ultimi mesi) su Facebook, con oltre quindicimila fan. Si tratta di ESSE/lunga/ shitposting, ovviamente con molti meme sulle “buonissima focaccine” («Sì, sono buonissime»), ma non solo.

Un meme dalla pagina con Reato di TT, responsabile del sopracitato giudizio non completamente positivo alla pagina.

Il contributo dello sconosciuto OEL non è l’unico dato dall’ambiente culturale italiano nell’ultimo decennio a Esselunga. Non ci sono solo forme di marketing diretto. Ad esempio, la catena e il proprietario Caprotti sono stati protagonisti del cortometraggio di Giuseppe Tornatore Il mago di Esselunga, distribuito gratuitamente nel 2011 in cinque milioni di copie ai clienti. C’è anche un marketing – non si sa bene in che misura – indiretto da parte dell’ambiente rap/trap di Lombardia e dintorni, ma non solo. Anche artisti di ambienti musicali diversi come Brunori Sas, Ex-Otago e Baustelle hanno citato Esselunga in alcune loro canzoni. Tornando al rap, tra i nomi che inseriscono Esselunga tra le loro strofe è difficile districarsi (Wikipedia ha addirittura una sezione in merito). Possiamo citare Two Fingerz, Fedez, J-Ax, Space One, GIALLORENZO e il recente COVID FREESTYLE di Lazza. I versi che useremo per concludere questo confuso articolo sono però di Ensi in Tutto il mondo è quartiere.

La mia faccia sopra i soldi, niente Esselunga
Invece pure oggi frate qui è una giungla.

Ma la giungla richiama subito Salmo:

Fai la fuga nella giungla, con le buste, Esselunga
Dieci grammi, complimenti.

Il titolo è ovviamente HO PAURA DI USCIRE (anche per fare la spesa).

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Andrea Braschayko

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