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Tech&Games

Sei videogiochi da recuperare in quarantena

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Enzo Noviello

Per un videogiocatore incallito, abituato a lunghe sessioni di gameplay nei giorni liberi dal lavoro o dallo studio, questi giorni di quarantena nei quali si sta a casa tutto il giorno potrebbero sembrare quasi “normali”. Inoltre le recentissime uscite di Doom Eternal e di Half-Life Alyx (per quei pochi che possiedono un sistema VR), nonché le prossime dei remake di Resident Evil 3 e di Final Fantasy VII, non lasceranno certo con le mani in mano i tanti appassionati in questi giorni di lockdown.

Tuttavia questo periodo di segregazione forzata comunque difficile per tutti può essere l’occasione per recuperare titoli di qualche anno fa, di quelli in fondo al backlog delle proprie librerie fisiche e digitali (in quest’ultime magari perché tempo fa furono distribuiti gratuitamente o in forte sconto per un periodo limitato). Non solo: può presentarsi ai neofiti l’occasione di avvicinarsi a questo media, con titoli non banali nella struttura di gioco e decisamente più complessi degli scacciapensieri da app store. Sono titoli dal ritmo lento e che non richiedono particolari abilità di coordinazione e di tempo di reazione, quanto più di concentrazione e di capacità di risoluzione, magari attraverso pensiero laterale.

Infine, i videogiochi proposti sono tutti single player e sono accomunati da un senso di solitudine e di straniamento all’interno dell’universo di gioco, quindi si prestano molto per essere giocati in un periodo di quarantena.

The Talos Principle (2014)

L’ambiente tanto dettagliato quanto vuoto di The Talos Principle amplifica il senso di solitudine provocato dai quesiti introspettivi, di cui il gioco abbonda.

Accolto al tempo oltremodo positivamente dalla critica, ma snobbato dalla maggioranza del pubblico che non perdonò alla Croteam l’abbandono in corso d’opera dello sviluppo di Serious Sam 4 (ripreso in seguito e annunciato in uscita entro la fine dell’anno) in favore di una nuova IP, The Talos Principle è un puzzle narrativo, sulla falsariga di altri titoli dell’epoca come Antichamber e Portal 2, che prende spunto dalla mitologia ellenica e dal mito cristiano della creazione dell’uomo.

Nei panni di un androide senziente si dovrà esplorare il vasto ambiente di gioco e risolvere gli oltre cento enigmi disseminati tra virtuali rovine romane, egizie o medievali. A ogni enigma ambientale risolto si avrà in premio un “sigillo” a forma di pezzo del Tetris. I sigilli, combinati insieme, permettono di sbloccare l’accesso a nuove aree o la possibilità di utilizzare nuovi strumenti per la risoluzione degli enigmi, fino al raggiungimento di uno dei tre finali possibili, basati sulle nostre scelte morali compiute all’interno del gioco.

The Talos Principle, infatti, è molto di più di una serie di enigmi sempre più complessi. È una sequenza incessante di quesiti sulla natura dell’uomo e della sua coscienza posti al giocatore attraverso espedienti narrativi come i terminali con cui è possibile “chattare” con una IA chiamata Milton (nome non casuale) o gli audiolog della dottoressa Drennan a capo di un progetto correlato con l’esistenza dello stesso androide, oltre alla voce fuori campo di Elohim che guida l’androide nel corso dell’avventura.

Questo e molto altro rendono The Talos Principle un vero e proprio saggio interattivo sul materialismo e sull’esistenzialismo, che interrogherà il giocatore sulla sua stessa persona e sulla percezione che ha di essa, denudandone la fragilità senza edulcorazioni. Il consiglio di giocarlo proprio in questo periodo di quarantena nasce proprio dall’opportunità di trarre giovamento dalle risposte ai quesiti esistenziali proposti dalla trama e di applicarne gli insegnamenti quando tale periodo finirà tornando alla vita sociale così come l’abbiamo conosciuta.

FEZ (2012)

La meccanica della rotazione della prospettiva è alla base dell’esperienza di gioco in FEZ (notare il poster su un lato, citazione ad un grande classico)

Oggi ricordato con disonore a causa del suo sequel cancellato per ripicca dal suo creatore, quel Phil Fish (al secolo Philippe Poisson) noto per le sue assurde polemiche su Twitter, FEZ è in realtà un gioco che andrebbe ricordato per ciò che di molto valido offre come esperienza di gioco e come soggetto proposto. Oltre a grandi classici come i The Legend of Zelda in 2D, Paper Mario, Myst e ICO, nonché da Flatlandia di Edwin Abbott, FEZ prende ispirazione dalle teorie del multiverso e da elementi delle geometrie non euclidee, come le superfici di Riemann o il nastro di Möbius. L’incipit del gioco è questo: Gomez, contattato da un vecchio abitante del suo villaggio bidimensionale, entra in contatto con un’entità divina chiamata Metatron che si manifesta come un grande cubo dorato. Riceve in dono da quest’ultima un fez che gli rileva una terza dimensione spaziale, per poi vederla esplodere in mille cubetti, dilaniando lo spaziotempo del gioco (con un finto crash del gioco e conseguente riavvio). Da lì in poi parte l’avventura della bianca creatura in giro per l’universo di gioco alla ricerca dei pezzi di Metatron, necessari per preservarne il piano esistenziale.

L’esperienza di gioco è basata sulla meccanica della rotazione della prospettiva: ogni area del mondo di FEZ è un cuboide di cui si osserva solo la proiezione su una delle quattro facce laterali. Per poter vederne le altre occorre ruotarlo di novanta gradi sull’asse longitudinale in entrambi i sensi (con un pad XBox attraverso i due grilletti dorsali). Per recuperare i cubi di Metatron e gli altri collezionabili è necessario esplorare l’universo di gioco “girando l’angolo” ogni volta sia necessario, creando così passaggi o appigli attraverso il gioco di prospettive.

Inoltre, molti di essi si manifestano solo dopo aver impartito a Gomez una serie di comandi codificati secondo i pezzi del Tetris, codice da scoprire e “rompere” nel corso del gioco. Non basta: andando avanti si scopriranno anche un alfabeto e un sistema di numerazione necessari per la risoluzione di ulteriori enigmi. Questi, oltre a recuperare altri cubetti, sveleranno via via la lore del bizzarro universo pixelloso di FEZ.

Visuale in prima persona in FEZ della stessa area di prima, la casa di Gomez.

Alla fine della prima run verrà sbloccata una nuova modalità di gioco. Oltre alla rotazione della prospettiva sarà possibile osservare l’ambiente di gioco anche in prima persona (il gioco inizia con la stessa scena di prima, ma al posto del fez Gomez riceverà da Metatron degli occhiali da sole), svelando così nuovi arcani e nuove informazioni sulla storia del mondo di FEZ. Magari in questi giorni di quarantena si arriverà all’effettiva soluzione all’ultimo enigma del monolite nero (citazione ovvia). Fino ad oggi è nota solo la corretta combinazione di comandi da impartire a Gomez, scoperta all’epoca attraverso una ricerca brute-force, ma non il processo analitico per giungere ad essa. FEZ non mette il giocatore in panico contro nemici da sconfiggere, né in ansia con un cronometro che sta per scadere, rendendolo ideale per lunghe sessioni in tranquillità. Occorrono solo tanta pazienza, acume e carta e penna per tenere traccia dei codici e dei segreti scoperti.

Alwa’s Awakening (2017)

I livelli di Alwa’s Awakening spesso possono essere superati combinando in sequenza le abilità sbloccate in precedenza.

Alwa’s Awakening è un action-platform in 2D a schermate fisse concepito, sviluppato e distribuito dalla Elden Pixels con la chiara intenzione di rendere omaggio all’era primordiale di questo genere videoludico, ossia quella dei computer e delle console 8 bit. Videogiochi storici di riferimento sono ad esempio Zelda II: Adventures of Link, Ys III – Wanderers from Ys, Faxanadu o Knightmare II: The Maze of Galious. Non solo veste grafica in pixel art e palette di colori limitata e musiche chiptune, ma soprattutto un gameplay essenziale che fionda direttamente nell’avventura del gioco, senza tutorial o livelli introduttivi. L’unico ausilio è il manuale di gioco, uguale come formato e grafiche a quelli delle cartucce NES. La protagonista di Alwa’s Awakening è Zoe, una giovane maga che è chiamata a salvare la terra di Alwa dal solito cattivone di turno. Zoe all’inizio dell’avventura può solo usare il suo bastone come arma bianca. Nei vari anfratti della mappa potrà scoprire tre gemme che le permetteranno di compiere altrettante azioni: far comparire un blocco verde da usare come scudo per i proiettili o come supporto per saltare più in alto, creare una bolla d’aria da usare come piattaforma sospesa in aria per scavalcare muri o pareti di roccia e lanciare un fulmine per attaccare i nemici o aprire particolari pareti. Inoltre è possibile recuperare anche dei potenziamenti grazie ai quali Zoe può per esempio rendere il blocco galleggiante sull’acqua e usarlo così a mo’ di zattera per superare fossati e corsi d’acqua.

Oltre alle gemme e ad altri collezionabili, sparse per la mappa sono presenti varie sfere blu per un totale di novantanove, estremamente utili per sconfiggere i boss. Più ne sono state raccolte, più debole sarà il boss da affrontare. Inoltre, la mappa di gioco è unica, con aree interconnesse tra loro da più percorsi, di cui alcuni attraversabili solo dopo aver conseguito l’opportuno potenziamento. Ciò rende Alwa’s Awakening un metroidvania 2D a tutti gli effetti, sebbene sia meno complesso e longevo rispetto ad altri titoli dello stesso sottogenere usciti negli ultimi anni, quali Axiom Verge, La-Mulana o Unepic.

Nonostante ciò, Alwa’s Awakening è consigliato durante questa quarantena perché è comunque appagante portarlo a termine con tutti i collezionabili raccolti. Inoltre, l’atmosfera retrò lo rende ideale per chi vuole vivere un’avventura “nostalgica” ma totalmente nuova o vuole mostrare ai propri figli o nipotini “come si giocava una volta” senza tirar fuori vecchie console dallo scantinato o smanettare con gli emulatori.

The Witness (2016)

L’elemento principale del gameplay di The Witness: i puzzle collegati tra loro attraverso dei lunghi cavi.

Seconda e al momento ultima fatica di quel Jonathan Blow che deliziò il pubblico mondiale con Braid quasi quindici anni fa, The Witness è un particolare open world in cui l’unica cosa da fare è esplorare l’ambiente di gioco e risolvere gli innumerevoli puzzle che ci si pareranno davanti, necessari per proseguire il viaggio. Anche The Witness segue il canovaccio dei giochi à la Myst, nel quale l’anonimo protagonista si trova catapultato senza alcuna spiegazione pregressa su una grande isola piena di costruzioni, infrastrutture e sentieri ma soprattutto una sequenza interminabile di enigmi basati sul gioco del labirinto.

Il gameplay di The Witness si fonda su due meccaniche principali: l’esplorazione dell’ambiente di gioco e l’interazione con dei pannelli luminosi sui quali bisogna tracciare una linea continua che sia coerente alla particolare conformazione del pannello stesso. Ad esempio si possono trovare pannelli a griglia con incroci evidenziati, sui quali è necessario tracciare il percorso continuo che li colleghi tutti, oppure altri pannelli con puntini di colore diverso la cui soluzione è tracciare una linea che crei aree che contenga solo i puntini dello stesso colore. Si possono incontrare anche dei puzzle ambientali, nei quali la soluzione è da tracciare facendo percorrere al protagonista l’opportuno percorso.

La particolarità di The Witness è che ogni puzzle è sempre collegato in qualche modo ad altri, già risolti o ancora da scovare. Non sono rari inoltre enigmi direttamente vincolati ad altri, anche a larga distanza tra loro, ad esempio da un qualche principio di simmetria. Ogni area dell’isola è sovrastata da un monte. Per potervi accedere è necessario risolvere tutti gli enigmi principali delle varie aree. Quando un’area dell’isola è stata completamente coperta si attiverà una torretta gialla posta in cima e si sbloccheranno nuovi puzzle opzionali generati proceduralmente utili per scoprire informazioni sulla storia dell’isola.

Infatti essa, sebbene sia completamente deserta, è dotata di tante strutture di creazione umana ed è disseminata di statue raffiguranti figure umane dedite nelle azioni più disparate. Sparsi nella mappa sono presenti dei contenitori di messaggi audio e in un punto specifico è presente un piccolo cinema in cui è possibile osservare alcuni filmati, tra i quali la scena finale di Nostalghia di Andrei Tarkovsky. La longevità e il senso di alienazione generato dallo stile grafico dai colori accesi e sfumati rendono The Witness un ottimo gioco da mood di quarantena.

RIME (2017)

La volpe magica sarà l’unico companion da seguire per tutta l’avventura in RIME.

In principio sarebbe dovuto essere un action-RPG con un sistema di crafting e con la difesa della propria base nelle ore notturne da pubblicare nel 2013, ma l’idea fu rigettata da Microsoft prima e da Sony poi. In un secondo momento Tequila Works riprese mano sia ai diritti che al progetto, trasformandolo in un action-adventure con elementi puzzle. RIME è ispirato come stile grafico (con un leggero cel shading) e come gameplay a tutti quei videogiochi basati sul tema del viaggio in terra incognita, come ad esempio ICO, Journey o The Legend of Zelda: The Wind Waker, ma anche nel gameplay dagli action-adventure delle scorse generazioni, come ad esempio i capitoli di Legacy of Kain, il primo Uncharted o Okami. Inoltre, il design richiama lo stile della matita di Hayao Miyazaki, nonché l’astrattismo di Salvador Dalì e di Giorgio de Chirico.

Il protagonista di RIME è Enu, un ragazzino naufrago su un’isola misteriosa, sovrastata da una torre bianca molto alta. Spinto dalla visione di un uomo con un mantello rosso simile al suo in cima a quest’ultima e guidato da una volpe magica, Enu scoprirà che l’isola è composta da varie aree molto diverse tra loro e che dovrà esaminarle tutte per cercare di comprendere cosa gli stia succedendo. Durante l’esplorazione dell’isola si possono incontrare degli enigmi ambientali da risolvere attraverso l’interazione con oggetti come blocchi di pietra da trascinare in un punto specifico o artefatti da poggiare opportunamente. Ogni capitolo del gioco è intitolato come una delle cinque fasi dell’elaborazione del lutto secondo il modello Kübler-Ross, con l’ambiente che segue in qualche modo ognuno dei sentimenti descritti dal modello. Più avanti nel gioco si scoprirà che la visione in cima alla torre è identica al padre di Enu, che lo crede morto a seguito del naufragio. Questo lo spingerà a cercare con ogni mezzo di rincontrarlo, fino al finale del gioco. Sebbene le meccaniche di gioco sappiano “di già visto”, RIME è consigliato per affrontare questa quarantena per la sua atmosfera rilassante e a suo modo coinvolgente, grazie anche a una pregevole colonna sonora.

Celeste (2018)

Farewell è davvero duro, esattamente come dirsi addio nella realtà.

Celeste fu già ampiamente recensito qui su theWise Magazine poco dopo la sua uscita, per cui vi rimandiamo alla recensione per una descrizione esaustiva del soggetto e delle meccaniche di gioco. Da allora, però, sono state aggiunte nuove modalità di gioco come il time attack e soprattutto è stato rilasciato lo scorso settembre un DLC gratuito con un epilogo bonus, Farewell. Un nome che è tutto un programma. Matt Thorson, ideatore e capo produttore di Celeste, ha annunciato che non ha intenzione di svilupparne un seguito e ha concentrato gli sforzi su una nuova IP. Il level design di Farewell è ancora più contorto e cinico dei capitoli precedenti, aumentando ulteriormente così il livello di difficoltà già bello alto di suo. Farewell inoltre introduce la tecnica avanzata del wavedashing, che permette di coprire una distanza maggiore rispetto al normale dash. L’invito per la quarantena è quindi duplice. Per chi non l’ha mai giocato finora si prospetta l’occasione di mettere mano a uno degli indie più acclamati e premiati degli ultimi anni. Chi invece lo ha giocato e apprezzato in passato ma ha perso l’uscita di Farewell può concludere degnamente l’avventura introspettiva della piccola Madeline.

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