«Ci fanno andare in guerra con la fionda!» Così ha proclamato Sebastiano Musumeci, detto Nello, presidente della Regione Sicilia, in un collegamento con Barbara d’Urso a Pomeriggio Cinque. La polemica in studio è nata dal ritardo dello Stato nella fornitura del materiale sanitario richiesto dalla regione per fronteggiare la battaglia contro il coronavirus. Non è però la prima volta che Musumeci paragona l’emergenza alla guerra: l’ha fatto anche in diretta su La7, a Omnibus. In quel caso, cercava di allontanare ogni sospetto dichiarando: «Ci sono stati degli errori iniziali di cui adesso è bene non si parli, perché in tempo di guerra non si fanno processi». L’utilizzo di una tale terminologia bellica è ormai all’ordine del giorno. Nella crisi cui stiamo assistendo, la possibilità di valicare il confine della misura sembra essere più concreta che mai.
Musumeci ha riaffermato la necessità di vincere questa battaglia con più mezzi di quelli che ha a disposizione, per alcuni invocando pieni poteri. Da quando è iniziata l’emergenza coronavirus, il Presidente della Regione Sicilia si è reso protagonista di un attivismo normativo senza precedenti. In alcuni casi, ha tentato di anticipare o scavalcare i contenuti dei decreti del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Addirittura il 19 marzo, una lettera di quarantatré sindaci all’Assemblea Regionale Siciliana (ARS) premeva per più controlli sulla popolazione attiva, anche tramite l’utilizzo dell’Esercito per controllare le strade. Una richiesta che il presidente Musumeci aveva già fatto al Ministero dell’Interno. La necessità di misure più stringenti sembra quindi essere condivisa da più parti.
In realtà, la polemica sui pieni poteri è nata proprio dalla proposta dell’inquilino di Palazzo d’Orléans di applicare l’articolo 31 dello Statuto siciliano. Una norma che non è mai stata attuata in 74 anni e che consentirebbe al Presidente della Regione Sicilia il controllo diretto delle forze della Polizia di Stato e dell’Esercito di stanza nella regione.
Luca Sammartino, parlamentare regionale di Italia Viva, pensa che risorse e poteri derogatori siano già nelle mani del Presidente Musumeci dallo scorso 27 febbraio, grazie a un decreto del Capo della Protezione Civile Nazionale. In più, l’autorizzazione del Ministero dell’Economia all’utilizzo di contabilità speciale risale al 6 marzo. Anche se, precisa, le migliaia di mascherine necessarie agli ospedali siciliani sono state acquistate dopo parecchie settimane. A quanto dicono le opposizioni, dal PD ai 5 Stelle, i poteri speciali c’erano già, ma sono stati usati in ritardo.
Davanti all’accusa di voler militarizzare la Sicilia, Nello Musumeci fa notare come altre regioni abbiano preso misure intransigenti per il contenimento del contagio, con la Campania in testa. Eppure, con 250.000 lavoratori che richiederanno la cassa integrazione e il 90% dei cantieri siciliani fermo, l’emergenza mostra un carattere più sociale ed economico. Il 7 aprile, l’ARS ha deliberato misure a sostegno delle imprese e delle famiglie in difficoltà, in una finanziaria che attinge le proprie risorse dai fondi destinati al risanamento della finanza pubblica. Una congiuntura economica da guerra, come ricorda Musumeci.
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A prendere le sue parti, tra gli altri, l’assessore all’agricoltura della regione, Edy Bandiera, che dichiara: «Di fronte a una situazione straordinaria, servono poteri straordinari». Eppure, accuse al presidente arrivano direttamente dal segretario generale del sindacato di polizia USIP, Vittorio Costantini. «Provare ad attuare una norma dello Statuto Siciliano che prevede espressamente l’assunzione della direzione dei servizi di pubblica sicurezza da parte del presidente della Regione rappresenta un’incredibile istanza di cui, soprattutto in questo particolare momento, non si sentiva di certo la necessità».
Non è solo la necessità del momento a far apparire superflua la richiesta del presidente Musumeci di poteri speciali, ma anche la tempistica in cui questi potranno essere assicurati. L’iter dell’applicazione dell’articolo 31 prevede un confronto col governo centrale in Conferenza Stato-Regioni. Subito dopo, un passaggio in parlamento e un decreto ad hoc del Presidente del Consiglio, che sarà poi firmato dal Presidente della Repubblica. Con il picco di contagi nell’isola previsto per la metà di aprile, l’attuazione dello Statuto potrebbe arrivare a emergenza già conclusa.
In più, il tenore della norma deliberata in Consiglio regionale per l’attuazione dell’articolo 31 è quantomeno interessante. Nel caso in cui la norma fosse attuata, il Presidente della regione Sicilia potrebbe emettere ordinanze contingibili e urgenti, in deroga alle disposizioni di legge. E questo, tutte le volte che il Governo dovesse dichiarare lo stato d’emergenza con riguardo al territorio dell’isola. Non solo: le ordinanze contingibili e urgenti potranno essere disposte dalla Giunta regionale per motivi di salute e di “sicurezza”. Quali potrebbero essere le motivazioni di una richiesta così urgente, non è dato sapere, soprattutto laddove l’articolo 31 dello Statuto si limita a dire: «Al mantenimento dell’ordine pubblico provvede il Presidente della Regione a mezzo della Polizia di Stato».
Anche il presidente della commissione regionale antimafia Claudio Fava si domanda a cosa servirebbero i poteri speciali invocati da Musumeci. L’emergenza non può e non deve essere l’alibi per compromettere le libertà e i diritti personali dell’individuo. Nella regione più corrotta d’Italia, forse il presidente Musumeci potrebbe indirizzare i propri sforzi per contrastare la mafia siciliana, che da quest’emergenza sta traendo i primi frutti. I siciliani si aspettano sicuramente più coesione e meno terrorismo psicologico. Lo stesso Claudio Fava ha invitato a fare presto, perché le periferie del Sud stanno diventando autentiche polveriere sociali. I sindaci, senza gli strumenti adeguati, non possono fronteggiare l’emergenza da soli. C’è bisogno dell’aiuto concreto, e condiviso, della regione e del governo. In questo momento più che mai, non bisogna gettare benzina sul fuoco della disperazione.
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