Il 5 marzo 2020 lo scenario siriano ha visto un punto di svolta che sembrava ormai insperato: Vladimir Putin e Recep Erdoğan hanno firmato un cessate il fuoco. In termini tecnici l’accordo pone fine all’uso di armi sul territorio, ma in termini sostanziali ha una valenza molto più profonda. Idlib rappresenta un nodo attorno cui si intrecciano i fili di una ragnatela geopolitica ampia, che parte dall’Africa per arrivare nel cuore del Golfo.
Quali sono le forze in campo? Le già note Turchia e Russia, la Libia, gli Emirati Arabi Uniti (EAU), Assad. Senza dimenticare sullo sfondo l’eterna presenza degli Stati Uniti. Non è dunque difficile arrivare alla conclusione che la posta in palio sia molto più grande del predominio nella terra siriana. Purtroppo, chi paga lo scotto di questa partita a scacchi è solamente la popolazione, ritrovatasi a dover sopravvivere in mezzo alle bombe. Una volta identificati i giocatori e le pedine in campo, bisogna andare ad analizzare le mosse in questo scacchiere per capire le strategie. Qual è il fine di questa partita?
L’interruzione delle ostilità di Idlib offre un fermo immagine che va osservato con uno sguardo di ampio raggio. Chi ha tratto vantaggio da questa situazione? Sicuramente Putin e la Russia emergono nuovamente come attori fondamentali, confermandosi l’ago della bilancia nella regione. Erdoğan sembra aver ammesso la sconfitta, constatando lucidamente che fermarsi a riflettere era la scelta più appropriata prima di un no turn point del conflitto. Lo scudo di primavera lanciato da Ankara a inizio marzo in risposta all’uccisione di 36 militari turchi ha mostrato la portata del conflitto che stava velocemente degenerando.
Leggi anche: L’eredità della guerra civile in Siria e il summit di Istanbul.
Bisogna sottolineare che l’intervento russo si è reso necessario in conseguenza delle azioni della vera controparte di Erdoğan, Bashar Hafiz al-Assad. L’attuale presidente siriano è il vero obiettivo della Turchia, che vuole eliminare una figura manifestamente oppositrice delle mire regionali di Ankara. La resistenza del regime siriano non è solitaria, ma è forte dell’appoggio economico e politico di un altro attore che è interessato a una disfatta turca: gli EAU.
È trapelata in questi giorni la notizia che il principe Mohammed bin Zayed abbia immesso ingenti somme di denaro nelle casse di Damasco per proseguire la resistenza contro Ankara. Nel mese di febbraio alcuni emissari del principe hanno portato in Siria una somma pari a un miliardo di dollari, seguita poi da un’ulteriore somma promessa ad Assad, pari a due miliardi di dollari. Assad avrebbe guadagnato questa sontuosa somma in cambio della violazione dell’accordo del 5 marzo, con la conseguente ripresa delle ostilità. Questa informazione ha fatto scattare i sensori del Cremlino, portando Putin ad inviare il Ministro della difesa Sergej Šhojgu in missione a Damasco per far desistere il presidente siriano.
Leggi anche: Turchia, Siria e l’offensiva su Afrin.
È questo l’elemento che fa allargare la ragnatela della strategia: perché questa condotta da parte degli Emirati? È rinomato l’impegno della Turchia, come quello degli EAU stessi, in un altro noto fronte. Si tratta di quello della Libia, dove Ankara è aperta sostenitrice dell’attuale governo di al-Sarrāj. Altrettanto noto è il fronte opposto di Haftar e del sostegno nei suoi confronti proprio da parte del Paese arabo. Conseguentemente, è una manovra tattica quella di voler impegnare al massimo le forze turche sul fronte di Idlib per distogliere l’attenzione da una possibile nuova avanzata del fronte di Haftar.
Il gesto del principe ha destato scalpore soprattutto per la mancata notifica a Washington, con cui ha stretti rapporti politici ed economici. Gli Stati Uniti, essendo geograficamente distanti dalla regione, hanno nel tempo intrapreso dei rapporti con alcuni attori regionali così da poter comunque far sentire la loro presenza. La posizione statunitense è tuttavia molto controversa, dato il rapporto sempre più ambiguo con Ankara. È proprio la posizione della Turchia l’altra chiave di lettura di questa partita a scacchi. Trump sostiene il fronte di Erdoğan in Siria. Lo fa però solo formalmente, dato il crescente avvicinamento tra Putin e Erdoğan. L’intento, oramai non più velato, del leader turco è rendersi progressivamente sempre più indipendente dalla presa statunitense.
Negli ultimi anni Washington ha millantato varie minacce per questa nuova posizione di Ankara, che si è tutelata con l’acquisto di armi russe. Ecco dunque che si scopre anche la strategia del Cremlino. Questo vede nella Turchia l’arma principale per estirpare qualsiasi tipo di interferenza statunitense nella gestione di quello che considera il suo “giardino di casa”. Trump ha reagito subito utilizzando una strategia di pressione. Pochi giorni fa è arrivata la “conferma” formale da parte del Dipartimento di Stato americano all’accusa, risalente al 2017, nei confronti di Assad di aver utilizzato armi chimiche contro la popolazione. L’obiettivo degli Stati Uniti è creare una crepa in questa nuova “alleanza” russo-turca, visto il concreto rischio di essere estromessi dalle decisioni nell’area MENA.
L’accordo del 5 marzo non ha di certo illuso i protagonisti di questa partita, ben consapevoli che le dinamiche possono nuovamente cambiare. Il risvolto più plausibile, in termini probabilistici, potrebbe non essere positivo. Le posizioni delle forze in campo compongono una situazione di stallo più che una vera e propria tregua, date le opposte mire russe e americane e nel mezzo le ambigue intenzioni turche. Il conflitto di Idlib ha un equilibrio ancora più precario anche e soprattutto per il diretto collegamento con quello dello scenario libico. Il filo che unisce questi due snodi geopolitici è retto da un’altra grande partita in corso, quella del gas.
Erdoğan nutre particolari interessi nei risvolti nordafricani in funzione del suo progetto di creare una ZEE in prossimità delle acque libiche. Ciò donerebbe una posizione strategica alla Turchia nel Mediterraneo. La farebbe inoltre diventare lo snodo principale del trasporto del gas russo. Contrapposta a questa visione c’è la posizione dell‘Egitto. Il Cairo vuole invece ridurre la dipendenza dalla Russia creando un gasdotto EastMed, in accordo con Grecia, Cipro e Israele (opzione appoggiata anche dall’Italia). Estrometterebbe così anche la leadership turca dalla regione.
Avendo due fronti di guerra temporaneamente fermi ma strettamente interconnessi, come gli stessi interessi delle grandi potenze in gioco, la regione MENA è in questo momento sistemata come un domino. Basterà una leggera pressione da parte di uno dei giocatori (scenario molto plausibile per i tantissimi punti critici). Allora si scatenerà un effetto cascata in grado di investire non solo Idlib, ma tutta la regione. Si arriverebbe, in questa prospettiva, alla fine della partita a scacchi. Ma senza però un vincitore, dati gli immensi costi che tutti andrebbero a pagare.
I fondi di investimento sono strumenti finanziari piuttosto variegati, i quali consentono di disporre di…
Avere a disposizione gli strumenti giusti per navigare la rete in sicurezza è certamente un…
L'iPhone 13 è uno degli smartphone più venduti ancora in questo momento, nonostante tutti gli…
Stiamo vivendo un'era di profondi cambiamenti, legati soprattutto al digitale e alle nuove tecnologie. Ogni…
Whatsapp, con questo metodo potrai trasformare i tuoi vocali in testo e leggerli, invece di…
TikTok ha deciso di introdurre un'importante novità ripresa da YouTube. Un cambio di rotta per…