Roma-Barcellona 3-0. Sono passati due anni da quella che si può definire a mani basse una delle più grandi rimonte della storia del calcio italiano. Sia per la grandezza dell’avversario sia per quella che è stata la prestazione in sé da parte della Roma al cospetto del Barcellona dei fenomeni. Sì, anche perché in quel Barça – oltre a Messi – giocavano Andrés Iniesta, Ivan Rakitić e Luis Suàrez. Sebbene il croato adesso sia finito ai margini del progetto blaugrana, nella stagione 2017/18 era quasi centrale nelle rotazioni dell’allenatore Ernesto Valverde.
Roma-Barcellona è ancora più assurda come partita perché nel match di andata dei quarti di finale della Champions League di quell’anno, la Roma perse per 4-1 contro i catalani nella cornice gremita del Camp Nou. Due partite effettivamente diverse se analizzate singolarmente. Nella prima il Barcellona è stato assoluto dominatore della contesa, con quella rete di Džeko che sapeva quasi di contentino, di gol “della bandiera”, ma che nell’economia del confronto andata e ritorno assume un valore pesantissimo, eccome.
Ci fu una stessa dinamica anche negli ottavi di finale, sebbene l’avversario fosse più “ragionevole” rispetto ai mostri sacri del Barcellona. Nella partita in Ucraina contro lo Shakhtar Donetsk la Roma aveva perso per 2-1, anche grazie a un clamoroso salvataggio di Bruno Peres su un gol praticamente fatto per gli ucraini. Nella partita di ritorno giocata all’Olimpico si completa la rimonta con la vittoria per 1-0 firmata da Džeko. Era quasi impossibile pensare che si potesse rimontare un risultato così pesante come un 4-1 contro il Barcellona. Ma la Roma ci ha insegnato che, finché l’arbitro non decreta i consueti tre fischi, nel calcio può accadere di tutto.
Al di là di quella che è la partita in sé, Roma-Barcellona dà spunti di riflessione su entrambe le squadre. Da una parte i giallorossi, che nonostante la grande impresa non sono riusciti a migliorare il proprio status. Dall’altra, i blaugrana, che si riprendono dal primo grande “trauma” europeo, in attesa di quella che sarà l’altra rimonta subita, dal Liverpool di Jürgen Klopp.
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Due anni dopo, la Roma è cambiata molto…
In due anni, sono cambiate tantissime cose. Gli allenatori e molti giocatori hanno lasciato le squadre di cui facevano parte, mentre altri non sono più determinanti come lo erano in quel periodo di due anni fa. Un esempio è Eusebio di Francesco. Dopo la splendida stagione che ha disputato nella Champions del 2018, l’anno successivo non è riuscito a ripetersi, rescindendo il contratto subito dopo la sconfitta ottenuta per mano del Porto.
Per Valverde, invece, il rapporto con il Barcellona è durato fino al gennaio 2020, in seguito alla sconfitta in Supercoppa di Spagna. Se da una parte, Andrés Iniesta ha dato tutto quello che poteva dare ai colori blaugrana, dall’altra alcuni calciatori della Roma come Alisson Becker e Kostas Manōlas sono stati ceduti nel momento migliore della loro carriera. Questo vale soprattutto per il portiere brasiliano, che è diventato un punto fondamentale nel Liverpool di Klopp, rendendosi più volte decisivo per le sorti dei Reds.
La Roma paga la poca programmazione in seguito all’impresa di Roma-Barcellona, prevista dall’allora direttore sportivo Monchi. Un personaggio fondamentale in quel di Siviglia, che è riuscito a risollevare le finanze societarie dei rojiblancos, rendendo la squadra una vera e propria realtà rispetto ai mostri sacri del calcio spagnolo. A Roma, però, Monchi non è ricordato per i grandi acquisti. Durante la sua gestione ci sono stati sì dei giocatori interessanti che fanno parte della squadra attuale. Ci sono però stati anche arrivi di calciatori che non sono esattamente tra i preferiti dei tifosi giallorossi.
A simboleggiare la poca programmazione, sicuramente, Patrik Schick: calciatore più pagato di sempre da parte della Roma, che ha avuto una resa pressoché nulla. Non solo il ceco però. Maxime Gonalons, Gerson, Steven Nzonzi, Javier Pastore e altri compaiono tra le meteore passate da Roma che non hanno avuto l’impatto che ci si aspettava da loro. L’acquisto più emblematico è certamente Robin Olsen, il sostituto di Alisson. Di pari passo con le cessioni, la magia di quella Roma capace di piegare in due il Barcellona è venuta sempre meno. I giallorossi sono infatti scivolati fino al sesto posto in classifica nel campionato scorso.
Seppure Olsen sia un buon giocatore non ha minimamente saputo mantenere le aspettative nei suoi confronti. In ventisette presenze giocate, sono stati subiti quarantadue gol, una media di un 1,5 reti concesse a partita. Un dato talmente alto che ha portato la squadra giallorossa a impiegare Antonio Mirante per il resto della stagione – una volta subentrato Claudio Ranieri – e soprattutto a investire altro capitale su un nuovo portiere, Pau López.
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Roma-Barcellona, il trauma europeo dei Blaugrana
Cambiando punto di vista, il Barcellona nel corso delle stagioni successive ha iniziato a dimostrare grandi debolezze che sono state messe in luce per la prima volta dopo quella storica rimonta subita in Roma-Barcellona 3-0. Riguardando un po’ la situazione che ha coinvolto Ernesto Valverde poco prima del suo esonero, il rapporto del tecnico con la tifoseria blaugrana era pressoché nullo.
Immedesimandosi nel culé, il tifoso del Barcellona, il gioco di Valverde non ha mai entusiasmato né convinto. Soprattutto perché, nel corso degli anni, gli appassionati del calcio hanno associato la filosofia del tiki taka alla squadra di Messi e compagni. Un gioco arioso, con tanti cambi da una parte all’altra del campo che metteva in luce i grandi talenti prodotti dal rinomato settore giovanile blaugrana. Valverde, così come Gerardo Martino, ai suoi tempi giocava un calcio diverso rispetto a quello cui sono stati abituati i culé nel corso degli anni.
Sebbene Valverde abbia ottenuto due vittorie della Liga, Roma-Barcellona macchia inevitabilmente la stagione vincente dei blaugrana. Questa partita ha sollevato parecchi dubbi sulla capacità del tecnico, soprattutto perché in Roma-Barcellona i blaugrana avevano tre gol di vantaggio.
Prima della rimonta subita ad Anfield Road, la partita giocata contro i giallorossi è stata diversa, quasi rinunciataria, non da Barcellona. Anche perché dagli anni Duemila in poi i catalani sono diventati quasi cultori di un calcio diverso, espressivo, fatto di fantasia – talvolta anche troppa, con azioni interminabili – che ha appassionato fan di tutte le generazioni. Invece, all’Olimpico, il Barcellona ha giocato in maniera diversa, o perlomeno non come farebbe di solito.
Il riassunto della partita si potrebbe avere guardando i minuti successivi al 2-0 segnato da Daniele De Rossi. Una squadra con giocatori che farebbero invidia a chinque, arroccata, a chiudere la difesa sperando di uscirne indenne. Un atteggiamento rinunciatario che si è ripetuto anche un anno dopo a Liverpool. Oggi non è dato sapere se le cose sarebbero andate in meglio o in peggio, dato che i campionati sono fermi e chissà se ripenderanno per completare questa stagione.
Una cosa è certa. Partite come questa sono la bellezza del calcio. Si può dire come spesso una partita possa riscattare una stagione o condizionare in peggio quelle che saranno le sfide future. Tutto può cambiare nel giro di pochi secondi, come l’impulso, il guizzo di un calciatore che approfitta di un’occasione, come Manolas su quel calcio d’angolo in Roma-Barcellona.
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