La chiusura delle sale e lo stop della distribuzione dei film, tranne alcune pellicole rilasciate in noleggio online, ha fatto focalizzare l’attenzione degli appassionati e degli spettatori in generale sui prodotti rilasciati dalle piattaforme di streaming. Netflix, a marzo, ha introdotto nel suo catalogo Tiger King, docuserie incentrata sul mondo degli zoo e dell’allevamento dei felini in America. L’eccentricità dei personaggi coinvolti e le situazioni talmente assurde da sembrare inscenate hanno reso la serie un fenomeno mediatico, trascinando spettatori e star americane, già in quarantena, a emulare il bizzarro stile del protagonista, Joe Exotic.
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Netflix ha di recente rilasciato un ulteriore episodio, in forma di talk con presentatore e ospiti, che è a tutti gli effetti uno dei primi prodotti destinati al commercio e alla diffusione su piattaforme a pagamento realizzati interamente durante l’emergenza Covid-19, adottando modalità e formati imposti dal distanziamento sociale.
Tiger King non si propone come indagine ma come racconto narrativo sul mondo dei possessori di grandi felini negli Stati Uniti. Le didascalie iniziali spiegano infatti come, tristemente, ci siano più felini in cattività in America che liberi nel mondo. Quella per tigri e leoni è una passione che spinge un mercato multimilionario, di cui fanno parte i proprietari di grandi parchi e allevamenti protagonisti della serie.
Il primo è Joe Exotic, nome d’arte del principale personaggio della serie, il “re delle tigri”, un uomo folle e bizzarro che gestisce uno zoo al di fuori di molte legalità. Poi c’è Doc Antle, guru spirituale, a capo di un harem di diverse mogli, possessore di centinaia di animali esotici. Infine Carol Baskin, gestore di un centro per il recupero di animali, nemica di Joe e accusata di aver dato in pasto il marito scomparso alle tigri. Questi sono solo alcuni dei folli personaggi della serie che, attraverso interviste a collaboratori e materiali quasi interamente reperibili sui social, popolano una bizzarra ricostruzione di un’America rurale e ancorata ai retrogradismi, fondata sulla difesa della propria libertà anche attraverso metodi violenti.
Gli elementi sono talmente variegati da toccare argomenti e generi diversi. Si va dalla ricostruzione quasi d’inchiesta sulla sparizione del marito della Baskin ai momenti di genuino trash riguardanti Joe e la sua corte, gli svariati fidanzati, gli sballati aiutanti e, sempre in maniera minore, gli animali.
Tiger King, nonostante gli elogi pressoché universali, ha infatti ricevuto alcune critiche sulla rappresentazione della denuncia ai maltrattamenti degli animali. Questi passano in secondo piano, a favore delle vicende comiche e grottesche degli umani. Il progetto, nato appunto in origine come inchiesta animalista, ha deviato verso una trasposizione della realtà degli Stati Uniti che hanno eletto Donald Trump presidente, rendendo Tiger King un’interessante analisi e teca di fenomeni e caratteri dell’americano medio e dalle bizzarrie e follie che il Paese a stelle e strisce produce.
Il successo di Tiger King è stato tale che Netflix ha realizzato un ulteriore episodio, distribuito a posteriori. La puntata si svolge in forma di talk show. Un presentatore, l’attore comico Joe McHale, dialoga da casa sua con diversi testimoni protagonisti della serie. Discute con loro della vita dopo la “fama”, delle impressioni sulla riuscita e sulla veridicità del documentario e del rapporto con Joe Exotic. Alla luce dell’interesse di Hollywood per la storia, si mormora già circa la realizzazione di un film sulle vicende. Addirittura, nel corso delle interviste, a ognuno viene chiesto quale attore sia adatto a interpretare sé stesso.
La peculiarità del recente episodio di Tiger King è però un’altra. Si tratta infatti di uno dei primi prodotti “istituzionali” realizzati interamente durante la quarantena, seguendo e mantenendo le direttive di isolamento e distanziamento sociale. Il format dell’intervista diretta con presentatore non era infatti parte delle prime puntate. I produttori lo hanno scelto per ovviare ai problemi che stanno attualmente fermando molte produzioni. Il linguaggio si è, in questo caso, adattato alle necessità della contemporaneità. Netflix sembra intenzionata, visto anche il bisogno di fornire costantemente nuovo materiale, a realizzare diversi progetti in tale maniera. Ha da poco rilasciato il trailer di Coronavirus, Explained, serie che, sempre tramite interviste, approfondirà le realtà dietro la pandemia.
In Italia, la Rai ha prodotto una serie per la sua piattaforma online Rai Play, Tanto non uscivo lo stesso. Qui l’ensemble comico The Jackal racconta con ironia dinamiche e comportamenti degli italiani ai tempi del virus attraverso videochiamate con ospiti a tema. Nel panorama cinematografico invece, due grandi registi si sono mossi, seppur in direzioni differenti. Gabriele Salvatores fece già un’operazione simile con Italy in a Day. Questa volta ha chiesto agli italiani di inviargli video realizzati durante la quarantena, che verranno selezionati e inseriti nel futuro documentario Viaggio in Italia. Gabriele Muccino ha invece annunciato di essere al lavoro su un soggetto che sarà ambientato proprio durante il periodo di chiusura sociale, prendendo spunto dalle esperienze inviategli.
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I progetti del cinema hanno però il cruccio di essere legati alla incerta data di riapertura dei set e delle lavorazioni. Questo elemento avvantaggia i servizi streaming online, capaci di poter modificare le forme e gli spazi delle opere che propongono, intercettando un neonato immaginario costruito sulla auto narrazione delle videochiamate e delle riprese casalinghe. Questa possibilità offre nuovi spunti agli autori, e di fatto a chiunque stia vivendo il momento e abbia un’idea da affermare filmandosi. Si rischia però anche un grosso danno di immagine, oltre che economico, al cinema. Dalle grandi produzioni all’art house, è ormai bloccato in un limbo di assenza forzata fino al termine delle limitazioni.
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