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Economia

L’Ungheria e i migranti: un rapporto conflittuale

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Stefano Cavallini

Il 30 marzo il parlamento ungherese ha votato per estendere lo stato d’emergenza in risposta al problema coronavirus, dando pieni poteri al primo ministro. In questo modo Orbán potrà legiferare per decreto senza bisogno del parlamento. Potrà anche estendere in maniera indefinita il proprio mandato e proibire elezioni e referendum. Sono previste pene fino a cinque anni di carcere per chi pubblica notizie “false” o che possano allarmare il popolo. Il governo ungherese non è nuovo a questo tipo di procedimento. Nel 2015 aveva prorogato lo stato di emergenza, estendendolo ogni sei mesi, per la crisi dei migranti, che dopo il Covid costituiscono il nodo più pressante per l’Ungheria e il maggior motivo di contrasto con l’Unione Europea.

La situazione in Ungheria per i migranti

A causa della sua posizione geografica, l’Ungheria è uno dei maggiori Paesi di transito per immigrati regolari e irregolari versi altri Stati dell’Unione Europea. Per bloccarli, ha eretto un muro di filo spinato lungo cento chilometri al confine con Serbia e Croazia, pattugliato da tredicimila poliziotti e soldati. La rotta balcanica occidentale (che passa per Turchia, Grecia, Macedonia e Serbia) è la più frequentata dai migranti.

Nel giugno 2018, su proposta del partito del primo ministro Orbán Fidesz, l’Ungheria ha approvato la legge stop-Soros. La legge prevede la criminalizzazione dell’immigrazione clandestina e il carcere per le persone o le organizzazioni che la favoriscono. La pena è fino a un anno per chi «fornisce aiuti finanziari o di altro tipo per un ingresso e per la permanenza illegale nel Paese». La legge descrive le ONG come «rischio per la sicurezza nazionale» e il premier ha il potere di vietarne l’attività. Inoltre, è punita la stampa di volantini con informazioni utili per i richiedenti asilo, come ad esempio offerte di cibo o consigli legali.

Leggi anche: I migranti che passano per le Alpi.

Nei discorsi pubblici, i migranti sono spesso considerati una minaccia per lo Stato e associati al terrorismo. Ciò ha provocato l’adozione di provvedimenti stringenti. L’ex ufficio immigrazione e asilo ha cambiato nome in Direzione nazionale per la polizia degli stranieri e metà del personale è ora costituito da poliziotti.

Nelle zone di transito

Al loro arrivo, i migranti irregolari privi di documenti devono vengono confinati nelle zone di transito, che assomigliano a luoghi di detenzione. Dal 2015 sono attive due zone di transito, Röszke e Tompa, sul confine dell’Ungheria con la Serbia. Secondo González Morales, il relatore speciale sui diritti umani dei migranti delle Nazioni Unite,

I migranti sono descritti come pericolosi nemici sia nei discorsi pubblici che ufficiali in questo Paese, ma quello che ho visto durante la mia visita è stato un gruppo di uomini, donne, ragazzi e ragazze disperati, traumatizzati e indifesi, confinati dietro la recinzione di filo spinato nelle zone di transito. Ero a Röszke e Tompa. Le aree di confine erano tranquille. Non ho visto un singolo migrante avvicinarsi all’Ungheria dal lato serbo del confine. Invece, ho incontrato i richiedenti asilo, tra cui donne incinte, bambini di otto mesi e minori non accompagnati tra i quattordici e diciotto anni. Le severe restrizioni alla libertà di circolazione dei richiedenti asilo, così come l’ambiente carcerario nelle zone di transito, si possono qualificare come detenzione in natura.

Nelle zone di transito

Ravina Shamdasani, portavoce dell’OHCHR, ha descritto la situazione di ventuno migranti in attesa di trasferimento nelle zone di transito, a cui è stato negato il cibo per cinque giorni. Secondo la legge, solo dalle zone di transito è possibile fare richiesta per le domande di asilo, per un numero di dieci al giorno lavorativo. Ciò fa sì che i migranti, comprese le famiglie coi minori, siano costretti a restare nelle zone di transito per tutta la durata della procedura.

Nel 2018, ottenere l’asilo è più complicato. Le richieste provenienti da chi ha attraversato la Serbia, ritenuta Paese sicuro, sono state considerate inammissibili. I migranti sono rigidamente divisi in settori. Gli spostamenti da un settore all’altro sono molto limitati, un’ora al giorno su richiesta, e sono sorvegliati da guardie armate.

Un medico è presente solo poche ore al giorno. Non ci sono né ginecologi, né pediatri, anche se molti richiedenti asilo sono donne e bambini. A marzo 2018 l’Assemblea Nazionale ha approvato un pacchetto di leggi che prevedono la detenzione automatica di tutti i migranti nelle “zone di transito”, compresi i minori, per l’intera durata dei processi di asilo, e l’espulsione sommaria di tutti i migranti irregolari trovati sul territorio ungherese.

Il rapporto con l’Europa

La gestione dei migranti ha ridotto al minimo storico i rapporti con l’Europa e altri organismi internazionali. L’Ungheria, insieme agli Stati Uniti, è anche l’unico Paese a uscire dal Global Migration Agreement delle Nazioni Unite, un accordo globale per gestire i flussi migratori e garantire i diritti dei migranti. Inoltre il Paese, pur beneficiando degli aiuti economici europei, continua a rifiutarsi di ricollocare le sua quota minima di 1294 migranti e di aderire ad altri meccanismi regionali di solidarietà. Dal canto suo, la reazione dell’Europa è stata per ora inefficace. L’Unione Europea ha denunciato l’Ungheria alla corte di giustizia per la legge stop-Soros, e pensa di attuare misure per i Paesi che violano lo stato di diritto.

Leggi anche: LGBTI: perché dall’Africa si fugge.

Le misure dell’Europa

Le misure al vaglio dell’Unione Europea sono due. La prima è quella prevista dall’articolo sette del Trattato di Lisbona, che permetterebbe di attuare una serie di sanzioni, come la possibilità di perdere il diritto di voto nelle istituzioni europee. Il problema è che il procedimento per attuarle è piuttosto farraginoso. Queste devono infatti essere approvate dai due terzi del Parlamento Europeo ed essere votate all’unanimità (cosa impossibile, visto che la Polonia sostiene l’Ungheria) dagli altri ventisette Paesi.

La seconda prevede invece di sospendere l’erogazione dei fondi europei, di cui l’Ungheria è uno dei maggiori beneficiari, ai Paesi che non rispettino lo stato di diritto. La proposta, che non è ancora entrata in vigore, approvata il diciassette gennaio 2019, si basa sull’articolo 322 del trattato sul funzionamento della UE, secondo cui spetta al Parlamento approvare «le regole finanziarie che stabiliscono in particolare le modalità relative alla formazione e all’esecuzione del bilancio», ovvero dei fondi europei.

Il procedimento sarebbe molto più agile di quello previsto dall’articolo 7, perché questa volta la votazione sarebbe a maggioranza qualificata e non all’unanimità. In questo modo, Paesi come Polonia o Ungheria non avrebbero modo di porre il veto e bloccare la procedura.

Quale che sia la misura adottata, l’Europa deve agire in fretta, se vuole conservare un minimo di credibilità e continuare a salvaguardare i diritti umani dei suoi cittadini.

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Stefano Cavallini

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