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Anche (e soprattutto) per la stampa, libertà deve fare rima con responsabilità

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Claudio Agave

Dal 1993 festeggiare la Giornata mondiale della libertà di stampa non è soltanto una ricorrenza da celebrare, ma offre anche la possibilità di analizzare sul serio sia il mondo in cui viviamo sia le condizioni attuali di questo mestiere. Dall’istituzione (sacrosanta) di questa giornata molto è cambiato nell’informazione. Internet non solo ha sparecchiato la tavola ma l’ha fatto pure con il famoso gioco della tovaglia. Il problema è che, nel mentre, qualche bicchiere è caduto e i vetri si sono rotti. Nel frattempo la carta stampata ha attraversato (e continua ad attraversare) un calo pesantissimo; una sentenza che ha il sapore di cambiamento.

Anche (e soprattutto) per la stampa, libertà deve fare rima con responsabilità

Ogni anno le novità abbondano. I progetti spuntano come funghi, la concorrenza è sempre in aumento. Ciò che non cambia, però, sembra essere la difficoltà di poter compiere questo lavoro in sicurezza. I giornalisti morti continuano ad aumentare. C’è chi perde la vita perché ha osato far emergere verità che dovevano restare nascoste. Chi invece viene sotterrato da pallottole e bombe nel tentativo di raccontare una realtà cruda. Molti sono aggrediti, tanti altri denunciati e querelati soltanto per temporeggiare e per colpire il portafoglio. Un dato, quest’ultimo, molto rappresentativo del momento attuale.

Basti pensare, per esempio, che nel dicembre 2018 il Ministero della Giustizia e un dossier dell’osservatorio Ossigeno per l’Informazione hanno fatto emergere come il 90% delle querele presentate contro i giornalisti siano infondate e utilizzate semplicemente come bavaglio per la stampa. Questo accade nel nostro Paese che, tutto sommato, non vive una situazione drammatica come altre nazioni. Ma certamente ha alcuni punti oscuri che dovrebbero essere chiariti e risolti con maggiore forza. In tutto questo, la figura del giornalista trova sempre meno riferimenti e protezioni nell’ambito lavorativo. Le garanzie scarseggiano, i profitti diminuiscono; le pressioni esterne, invece, aumentano.

Leggi anche: Giornalismo, dove sei? Cronaca di una crisi senza fine.

Le responsabilità dell’informazione

D’altro canto, una giornata come questa serve anche a fare un’autocritica costruttiva di quello che la stampa – cartacea e online – può fare. In un mondo in cui conta arrivare prima degli altri, spesso le notizie vengono date con superficialità e scorrettezza, violando talvolta un codice non solo etico e morale ma pure deontologico pur di pubblicare uno scoop.

In generale, molti continuano a credere di poter scrivere un po’ ciò che gli pare, finendo non solo per generare rancore nei confronti di quella che oramai viene vista al pari di una casta (con una pesante disaffezione nei confronti degli organi di informazione) ma pure per smantellare indegnamente il lavoro di tanti giornalisti capaci, corretti ed equilibrati. La stessa pandemia di coronavirus ha generato, a tratti, risultati negativi se non addirittura disturbanti, con realtà editoriali anche importanti che hanno fatto della disinformazione il loro cavallo di battaglia, aizzando le folle e cavalcando le già presenti discriminazioni, territoriali e non.

Perciò, il 3 maggio dev’essere anche il giorno in cui ricordare che – soprattutto per il nostro mestiere – la parola “libertà” può e deve fare rima con “responsabilità”. Il giornalismo prevede tante impostazioni ma di certo non la manipolazione della realtà, che invece andrebbe raccontata in maniera fedele, anche se non per forza asettica. Ogni volta che un qualsiasi prodotto editoriale di informazione finisce nelle mani del lettore, inevitabilmente finirà per condizionarlo. Ma se sulle pagine troverà spazio il racconto dei fatti, il lavoro non sarà vano o scorretto. In un mondo pieno di eventi, quella di informare correttamente gli altri è diventata la responsabilità più grande. Qualcuno, però, sembra essersene dimenticato ormai da tanto tempo.

Leggi anche: Il coronavirus del giornalismo italiano.

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Claudio Agave

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