La settimana appena passata ha visto l’inizio della cosiddetta Fase 2 nella lotta contro il Covid-19. Moltissimi Stati occidentali, chi in un modo chi nell’altro, si sono trovati di fronte a scelte simili. Prolungare le misure di lockdown o no? Riaprire le attività? E se sì, quali? Gli Stati europei stanno tentando di coniugare il più possibile i rischi sanitari con la necessità di far ripartire l’economia, così da limitare il più possibile i danni causati dalla pandemia. Il governo italiano ha deciso di riaprire parzialmente le attività produttive il 4 maggio, così come il Belgio e la Grecia.
La Francia e la Germania, che avevano riaperto già alcune attività, vanno invece verso un ulteriore alleggerimento delle misure restrittive. Dall’altra parte dell’oceano gli Stati Uniti vanno in ordine sparso. Mentre i governatori di alcuni Stati hanno dato il via libera a graduali riaperture, altri hanno invece deciso di mantenere ancora le misure di lockdown. Tra i più prudenti lo Stato di New York e la California, i più colpiti dall’epidemia.
Fin dall’inizio dell’epidemia, l’atteggiamento del presidente Donald Trump nella gestione della crisi ha suscitato dubbi e polemiche tra gli addetti ai lavori e non. E continua a farlo. L’indice di popolarità del presidente sta scendendo. Dopo la provocatoria proposta di Trump di iniettare del disinfettante per curare i malati di coronavirus, lo staff della Casa Bianca ha quindi deciso di limitarne le dichiarazioni pubbliche. Almeno quelle ufficiali, in quanto il suo account Twitter rimane più che mai attivo. In un contesto come quello attuale, la maggior parte dei popoli nel mondo occidentale si sta stringendo attorno alle istituzioni statali.
I leader al governo stanno acquisendo sempre più consenso, ma non è lo stesso per Donald Trump. In vista delle elezioni presidenziali del prossimo novembre, il presidente degli Stati Uniti si ritrova ad avere un vantaggio politico sul suo avversario non indifferente, ma non lo sta sfruttando. Joe Biden è costretto a portare avanti la sua campagna elettorale dal seminterrato di casa sua, tramite le piattaforme web. Trump avrebbe quindi potuto cogliere l’occasione per parlare solennemente alla nazione e suscitare nei cittadini quel sentimento di unità e solidarietà nazionale che sta emergendo in tutto il mondo. Invece il presidente ha preferito defilarsi dalle decisioni operative relative alla gestione della crisi, lasciandole ai governatori degli Stati. Usa invece le conferenze stampa per attaccare i giornalisti, screditare chiunque non sia d’accordo con la sua linea e lanciare accuse di vario genere contro la Cina.
Nelle ultime settimane è stata proprio la Cina uno dei principali argomenti del dibattito pubblico statunitense. Donald Trump e tutto il suo staff hanno ripetutamente cercato di attribuire alla potenza asiatica la colpa del tragico sviluppo della pandemia a livello globale. Le accuse sono state diverse e tutte con un diverso grado di plausibilità. La maggior parte degli esperti, per esempio, ha dichiarato completamente infondata l’accusa mossa alla Cina di aver creato il coronavirus in laboratorio. Mentre molti sono d’accordo sul fatto che gli asiatici abbiano aspettato troppo tempo per lanciare l’allarme sulla pericolosità del virus.
Da subito, dunque, lo scontro tra le due grandi potenze ha caratterizzato la pandemia. Dalla guerra commerciale portata avanti negli scorsi mesi, USA e Cina sono velocemente passati a contrapporsi su un altro piano, quello della gestione della pandemia. E Donald Trump è passato dall’aumentare le tariffe doganali sui prodotti cinesi a interrompere l’erogazione dei fondi a favore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, tacciata di essere filo-cinese.
Le accuse, fino ad ora solamente verbali e poco fondate, stanno diventando invece il piano del presidente degli Stati Uniti per rafforzare la sua leadership non solo a livello mondiale, ma soprattutto a livello interno. Secondo il New York Times, il governo statunitense sta cominciando a fare pressioni sull’intelligence affinché indaghi sulla possibilità che la Cina abbia creato il coronavirus in laboratorio. Mentre Donald Trump sposta le accuse contro la Cina anche su un altro piano. «La Cina vuole disperatamente Sleepy Joe» ha twittato il presidente degli Stati Uniti il 18 aprile scorso. Dunque, secondo Trump, la Cina sta architettando un piano per interferire nelle elezioni di novembre, favorendo il suo rivale Joe Biden. Questo a dimostrazione di quanto l’inquilino della Casa Bianca cominci a essere preoccupato per l’esito delle presidenziali.
Trump partiva per la corsa alla Casa Bianca da favorito. Ora rischia di arrivare alle elezioni di novembre da secondo, con una popolarità sempre più in discesa. I sondaggi cominciano a mostrare Joe Biden in vantaggio non solo in molti Stati in bilico, ma anche in Ohio e Arizona, tradizionalmente repubblicani. Il cavallo di battaglia della campagna elettorale di Trump erano senza dubbio i dati positivi che continuavano ad arrivare dall’economia statunitense in crescita. Ora la situazione sembra essersi completamente ribaltata. Gli ultimi dati sul PIL americano mostrano una caduta vertiginosa nel primo trimestre del 2020, peggiore di quella avvenuta durante la grande recessione del 2008.
Il PIL degli Stati Uniti è infatti calato del 4,8% e le stime per il secondo trimestre sono ancora più pessimiste. Si parla addirittura di un calo del prodotto interno lordo fino al 30%. Nonostante la Federal Reserve abbia annunciato un piano di aiuti ingente, Trump a pochi mesi dalle elezioni si è trovato catapultato in una delle crisi economiche e occupazionali più gravi dal secondo dopoguerra. Inoltre, i sondaggi mostrano che il presidente sta perdendo consensi in quella parte di elettorato su cui invece era convinto di poter contare: gli over 65. I più colpiti dalla pandemia non sono contenti di come Trump sta gestendo la crisi.
Dall’altra parte, nonostante i sondaggi comincino a registrare segnali positivi per il candidato democratico, Joe Biden ha ancora diverse cose di cui preoccuparsi. In primo luogo, gestire una campagna elettorale da casa non è per nulla facile. Soprattutto negli Stati Uniti, dove i candidati sono abituati a fare più comizi al giorno per mesi, dove i partiti organizzano convention e grandi eventi nei palazzetti e nelle piazze gremite di persone. Essere costretto a gestire tutto dal seminterrato della propria abitazione non sta affatto aiutando Biden.
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L’ex vicepresidente sta tentando il più possibile di entrare nelle case degli americani tramite la tv o le piattaforme web, ma la mediazione onnipresente dello schermo gli impedisce di creare un rapporto diretto con gli elettori, cosa in cui Biden è molto bravo. Il Partito Democratico, intanto, si sta raccogliendo tutto intorno al suo candidato, che ha già raccolto l’appoggio di diversi esponenti politici: da Hilary Clinton alla speaker della Camera Nancy Pelosi. Anche Sanders sembra aver capito che l’unica possibilità per evitare che Donald Trump vada di nuovo alla Casa Bianca sia quella di appoggiare Joe Biden.
Oltre al generale disagio provocato dalla crisi pandemica, il candidato democratico sta passando delle settimane particolarmente delicate a causa di uno scandalo che lo coinvolge in prima persona. Lo scorso 25 marzo, infatti, Tara Reade, un ex collaboratrice di Joe Biden, lo ha accusato di abusi sessuali. Si tratterebbe di un episodio avvenuto nel 1993, quando Biden era senatore, e che ha costretto la donna a lasciare il suo posto da collaboratrice parlamentare. L’ex vicepresidente degli Stati Uniti ha negato i fatti. Anche diversi suoi collaboratori, intervistati dalla stampa, hanno affermato di non aver mai sospettato nulla del genere e che, anzi, l’ambiente lavorativo intorno a Biden è sempre stato favorevole per le donne. Per adesso, la vicenda sembra essersi chiusa qui: nessun’altra donna ha denunciato atti simili da parte dell’allora senatore. Tutto dipenderà da come evolveranno i fatti nelle prossime settimane.
Dunque, la partita delle elezioni è ancora completamente aperta. La crisi pandemica dovuta al Covid-19 sta mostrando i suoi effetti non solo sui sistemi sanitari e sull’economia dei nostri Paesi. È destinata a lasciare un segno ben più profondo nel lungo termine. Sta infatti accelerando molti fenomeni che erano già in atto: primo tra tutti il conflitto geopolitico tra Stati Uniti e Cina. I cui esiti saranno determinati anche da chi salirà alla Casa Bianca il prossimo novembre. Per ora, il presidente USA non ha mostrato di saper gestire l’epidemia in modo chiaro ed efficace, lasciando spazio ai governatori statali. Da come deciderà di gestire le prossime fasi della crisi dipenderanno le sue sorti a Washington. I cambiamenti in atto sono molto rapidi, la situazione politica ed economica che seguirà questa prima fase pandemica è ancora un’incognita. Dunque, i prossimi mesi saranno cruciali per determinare l’esito delle elezioni di novembre.
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