In queste settimane di pandemia da Covid, gli italiani hanno fatto loro molti termini nuovi o hanno riportato in auge parole ed espressioni che sembravano essere ormai destinate a rimanere sepolte sotto la polvere dei libri di storia. Tra queste ultime non possiamo non annoverare quarantena, vocabolo del Quattrocento di origine veneziana, in relazione alle navi in arrivo a Venezia dai possedimenti dalmati (in particolare Ragusa) o untori, il cui significato di diffusore di virus mortali risale all’Ottocento con Manzoni, che lo utilizza nella prima stesura di Fermo e Lucia (che poi diventerà I promessi sposi) per indicare chi diffondeva il bacillo della peste nella Milano del 1630.
Tra i nuovi ingressi potremmo indicare Fase 1 e seguenti, lockdown e modello nordico/svedese.
In cosa consiste, banalmente? Consiste in un approccio opposto alla gestione italiana prima, mediterranea poi, della questione della quarantena. Mentre in Italia il governo ha imposto una serrata pressoché totale di ogni attività non essenziale dalla metà di marzo, il Paese scandinavo ha puntato tutto sull’autodisciplina degli svedesi. Poche chiusure, distanziamento sociale ad oltranza e inviti a “comportarsi da adulti responsabili” ai cittadini.
E dopo un iniziale scetticismo, il basso incremento della curva epidemiologica ha spinto anche Mike Ryan, capo del Programma di emergenze sanitarie dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), a invitare gli altri Paesi del mondo a guardare al modello svedese come strada da seguire per uscire dalla quarantena totale.
È proprio di questo modello che ci occuperemo facendo due chiacchiere con Roberto Luigi Pagani.
Cremonese e ricercatore dottorando in linguistica e paleografia islandese, vive in Islanda dal 2014. Insegna diverse materie all’Università di Islanda, tra le quali manoscritti medievali islandesi, grammatica e letteratura italiana, storia dell’opera italiana e corsi di antico nordico. Ha ottenuto la laurea magistrale in studi medievali islandesi all’università d’Islanda nel 2015, con una tesi in ambito linguistico e paleografico, e una laurea in lingue nordiche dall’università degli studi di Milano.
Roberto ha aperto nel 2011 un blog molto seguito, Un italiano in Islanda, occupandosi prima del mondo nordico in generale per poi concentrarsi sulla sola Islanda, con racconti di viaggi, esperienze e pezzi di vita vissuta in quello che a molti di noi sembra l’estremo confine del mondo conosciuto.
In Islanda, da qualche giorno, constatati i risultati positivi, è stato introdotto il blocco degli ingressi turistici per evitare contagi di ritorno. È prevista una quarantena di due settimane per chiunque arrivi.
La situazione politica è stabile. Il governo si è limitato ad attuare le misure concepite dal comitato di esperti, formato dal capo epidemiologo, dal capo della protezione civile e dalla dirigente del direttorato della salute pubblica.
Questi sono stati episodi rarissimi, e subito scomparsi per via del fatto che il contagio ormai si era diffuso e ogni nazionalità era a rischio. L’Islanda non è affatto xenofoba in generale, ma anche gli islandesi hanno i loro stereotipi e pregiudizi rispetto alle altre nazionalità. Se da un lato può essere difficile inserirsi nelle loro reti relazionali, dall’altro bisogna dire che una volta entrati si è considerati parte della loro grande famiglia a tutti gli effetti, indipendentemente dalle origini.
Moltissime delle differenze tra Nord e Sud dell’Europa hanno le loro radici nello scisma protestante, e in particolare nella propaganda anti-cattolica che esiste tutt’ora nei Paesi protestanti. Qui le rappresentazioni falsate del cattolicesimo, a mio avviso, contribuiscono all’impossibilità per le popolazioni locali di Paesi come Olanda e Germania di provare empatia e solidarietà a livello europeo. Non credo tuttavia che ciò sia alla base della differenza del modello svedese. Visto che le protestantissime Norvegia e Danimarca hanno attuato politiche di lockdown severo. La Svezia è una società che trovo strana e per certi versi incomprensibile, rispetto ad altre società nordiche. L’individualismo estremo incoraggiato dalle politiche statali, rispetto al senso di comunità più presente negli altri Paesi nordici sono forse una spiegazione parziale.
La mia famiglia è stata colpita, e questo mi ha causato grande angoscia. Da un lato sentivo il dovere di tornare in Italia per stare vicino ai parenti. Dall’altro questo non avrebbe aiutato molto nessuno, e messo in pericolo me, che appartengo a una categoria a rischio. La mia famiglia, oltretutto, è di Cremona, quindi sarebbe stato davvero un grosso rischio. D’altra parte, ora ho una famiglia anche in Islanda, e non avrei nemmeno potuto piantare loro in asso così. Si è trattato comunque di un momento di forte stress, caratterizzato da frustrazione e sensi di colpa. Sono però sempre stato in contatto con famiglia e amici italiani, e ci siamo sostenuti a vicenda. Anzi, abbiamo sfruttato l’occasione per sentirci molto più di quanto avremmo mai fatto in circostanze normali, e questo è stato molto bello.
Si tratta della traduzione di una “saga”, ovvero un racconto medievale islandese in prosa. È una storia densa di avventure, collocata in un passato in parte storico e in parte magico. Si potrebbe definire un’antesignana del fantasy storico, come Game of Thrones. È una testimonianza interessantissima di come gli islandesi, sul finire del medioevo, amassero immaginare il loro passato più antico, colorando le vicende di un loro supposto antenato con elementi letterari quali i troll, i giganti, una strega, una spada invincibile e molto altro. Non si tratta di un racconto lungo, ma sicuramente si rivela denso di eventi, riuscendo a intrattenere, divertire e incuriosire. L’ho immaginata come una sorta di compagna di viaggio per chi visita l’Islanda (nella vita reale o con la propria immaginazione), e in particolare le zone che fanno da sfondo alla vicenda. In questo spirito, penso che possa essere una lettura eccellente per chiunque nutra interesse per l’Islanda, senza contare gli appassionati di medioevo e gli amanti del nord Europa in generale.
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