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Curiosità

Medicina tra passato e presente: theWise incontra il paleopatologo Francesco M. Galassi

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Marco Capriglio

In una fase delicata come quella che abbiamo attraversato e come quella che ci prepariamo ad affrontare, è importante affidarsi al parere degli esperti. theWise ha incontrato il paleopatologo Francesco M. Galassi,  che ha illustrato l’importanza della conoscenza del passato per capire ed affrontare il presente, anche nell’ambito medico.

Il medico e paleopatologo Francesco M. Galassi.

Francesco M. Galassi, classe 1989, è medico e paleopatologo, originario di Santarcangelo di Romagna, in provincia di Rimini. Nel 2017 è stato inserito dalla rivista americana Forbes nella lista dei 30 scienziati under 30 più influenti in Europa. Autore di oltre 100 pubblicazioni scientifiche, è inoltre un divulgatore scientifico e socio fondatore del Patto Trasversale per la Scienza. È professore associato presso la Flinders University in Australia e direttore del Fapab Research Center di Avola, in provincia di Siracusa.

Buongiorno dottor Galassi. Lei è un paleopatologo del Fapab Research Center. Cos’è di preciso un paleopatologo? Di cosa si occupa il suo centro di ricerca?

«Buongiorno a lei. Il paleopatologo studia le malattie nel passato, ossia come queste si sono presentate sulla scena della storia e come si sono evolute nel corso del tempo. Nello specifico, il mio centro di ricerca si occupa dello studio dei resti umani antichi (scheletri e mummie) e dell’analisi di fonti storiche, letterarie ed artistiche con il fine di mappare la presentazione storica delle malattie».

Secondo lei, qual è l’utilità della storia della medicina, in particolare nella gestione di un periodo di emergenza come quello attuale?

«Anche se a molti, forse addirittura ai più, la storia delle malattie e dell’arte medica possono sembrare inutili, questi approfondimenti sono fondamentali per capire la natura della malattie. Le lezioni che possono darci in termini di gestione dei fenomeni epidemici sono importantissime. Oggi, dopo esserci scoperti umiliati dal virus e vulnerabili di fronte alla sua avanzata, abbiamo riscoperto il valore della prevenzione non farmacologica chiamata ‘quarantena’, introdotta nel 1377 dai ragusani e poi diffusasi in tutto il mondo. Se è vero che la storia insegna moltissimo, è anche vero che la sua ignoranza può portare a grandi pericoli e problematiche come è stato visto nella fase in cui il rischio epidemico-pandemico è stato minimizzato. In Italia urge riscoprire il valore di questa disciplina, troppo spesso ormai tristemente confinata a contesti locali o autoreferenziali».

Tra le tante cose, si occupa di divulgazione scientifica in ambito medico. In un post sul suo profilo Facebook, afferma che molti termini tecnici come prevalenza, mortalità o contagio sono utilizzati in maniera impropria. Può dare una definizione chiara e precisa di questi termini?

«Indubbiamente conoscere il significato delle parole è fondamentale se si vuole comunicare e soprattutto se si desidera essere compresi.
Prendiamo i termini prevalenza e incidenza. La prevalenza indica il numero di casi di una malattia in una popolazione, mentre l’incidenza il numero di nuovi casi di una malattia in una popolazione in un determinato lasso temporale.
Ancora i termini mortalità e letalità: il primo risponde alla domanda ‘quanti individui sono deceduti in un determinato tempo?’, mentre la letalità indica il rapporto tra i morti per una malattia e le persone che ne sono affette.

Altri due termini usati come sinonimi sono contagio e infezione. Il contagio è la trasmissione di una malattia infettiva da un individuo a un altro, mentre l’infezione è la penetrazione e moltiplicazione nei tessuti di un organismo da parte di una specie microbica che può non necessariamente esitare in una malattia infettiva (pensiamo ai portatori sani).
Infine virus e patogeno: il virus è una particella infettiva non cellulare dalle dimensioni dell’ordine dei nanometri e caratterizzata dalla necessità di parassitare le cellule (parassita obbligato). L’agente patogeno è quel microrganismo (batterio, fungo, virus, ecc.) che causa una malattia».

Cosa è la pseudoscienza? Perché secondo lei molti oggi si affidano a dubbie pratiche e sedicenti guaritori?

«La pseudoscienza è il principale pericolo per la salute delle persone perché offre una serie di spiegazioni facili e soluzioni magiche e irrazionali a problemi che necessitano di un approccio complesso, freddo e razionale. La grande quantità di menzogne biomediche in circolazione rappresenta una minaccia per la società e la civiltà stessa in cui viviamo. Ogni epoca ha avuto i propri ciarlatani, caratterizzati da un rapporto acritico e carismatico con i propri seguaci, ‘immuni’ al ragionamento e alle dimostrazioni logiche. Bisogna fare molta attenzione: inorridisco al solo pensiero di un mondo dominato, ad esempio, dal pensiero antivaccinista».

Da paleopatologo, cosa ne pensa del fatto che una nuova epidemia sarebbe stata predetta e sarebbe stata possibile, ai giorni nostri?

«Se un anno fa o sei mesi fa mi avesse chiesto se una epidemia di queste proporzioni o anche maggiore fosse stata uno scenario contemplabile, non avrei esitato a darle una risposta affermativa. Le zoonosi hanno segnato la storia dell’uomo a partire dalla grande rivoluzione agricola neolitica. Queste epidemie sono ampiamente preventivabili anche se è difficile prevedere esattamente quando si manifesteranno nella loro furia distruttrice.
Quello che, invece, mi ha colpito è stata la grande vulnerabilità della specie umana dinanzi a questo patogeno, a dimostrazione del fatto che, benché l’arte medica e le scienze biomolecolari siano progredite enormemente, abbiamo ancora molto da imparare.
Nel mentre, dimenticandoci la preziosa lezione storica, abbiamo lasciato ulteriore margine di azione a un virus altamente contagioso».

Le epidemie nella storia dell’uomo sono state più frequenti di quanto si possa credere: dalla peste di Atene a quella raccontata dal Boccaccio. In che modo è cambiato il modo dell’uomo di rapportarsi all’epidemia?

«L’uomo è rimasto sempre lo stesso, nelle sue paure profonde, nelle sue aspettative irrealistiche, nella sua voglia di gettare la colpa addosso a qualche untore e nel suo catastrofismo. Dalle pagine di Tucidide e di Boccaccio emerge la realtà quotidiana. Per fortuna oggi disponiamo di una scienza molto avanzata che sta lavorando alacremente per trovare soluzioni, quali farmaci antivirali efficaci e un vaccino. Non dimentichiamoci, poi, del fatto che solo pochi mesi dopo l’insorgenza dell’epidemia la scienza ha dimostrato l’eziologia, cioè la causa, della malattia. Se pensiamo, invece, alla peste di Atene, ancora non si ha la certezza sulla natura di quel morbo e, per la peste boccacciana, la conferma biomolecolare è stata una conquista relativamente recente.

Nel contesto del Boccaccio Paleopathology Project, coordinato insieme ai miei colleghi filologi, il professor Giovanni Spani (College of the Holy Cross) e il professor Michael Papio (University of Massachusetts Amherst) e ad altri bravissimi studiosi, stiamo affrontando in maniera multidisciplinare il tema della malattia pestilenziale trecentesca e confermo che l’approfondimento delle fonti storiche e biografiche può offrire una interessante chiave di lettura sul presente.»

Cosa ne pensa dei provvedimenti per la Fase 2? Come cambieranno i rapporti umani e le abitudini delle persone?

«Grande rispetto per gli esperti e i dirigenti che hanno sviluppato questa fase, ma io, come ho pubblicamente dichiarato, ero – e resto – favorevole a una linea più dura e cauta.
Il virus è ancora molto forte e il numero di casi considerevolmente alto. La storia insegna che la ‘fase 2’ nasce sempre dal bisogno dei governi di allentare la pressione sui cittadini ed evitare l’aggravamento di una crisi economica o lo scoppio di tumulti.
Le confesso che sono molto scettico e sinceramente preoccupato, ma allo stesso tempo spero di sbagliarmi e che i cittadini italiani si moderino nelle loro interazioni sociali.»

Secondo lei, qual è la grande lezione che l’umanità ha imparato da questa situazione? Quale invece quella che non ha imparato, e che avrebbe dovuto imparare?

«La grande lezione è quella dell’umiltà, termine da riscoprire nel suo significato etimologico di ‘humus’, terra. Ci siamo proprio ritrovati a terra, sconfitti, quando invece discettavamo di nuove grandi scoperte scientifiche e di un XXI secolo in cui questi drammi sarebbero stati solo mera materia storica. Non abbiamo, invece, imparato a studiare i fenomeni storici e a farne tesoro. Il mondo appartiene a forze e microbi molto più potenti di noi, che siamo invece solo recenti ‘inquilini’. Dobbiamo riconoscere la nostra fragilità costituzionale e studiare la storia per capire come prevenire al meglio lo sprigionarsi di quelle forze ancestrali».

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