Definire il termine “opinionista” non è una cosa banale. I fruitori della televisione, anche occasionali, avranno sicuramente familiarità con il concetto. Quasi tutti si saranno però chiesti prima o poi quale sia il vero significato della parola. Nei dizionari viene presentata come un neologismo, anche se è di uso diffuso da almeno una quindicina di anni. In realtà, l’opinionista è una figura tutt’altro che recente. Si può far coincidere la sua origine con la nascita dei talk show, in cui vari ospiti venivano invitati a dare la propria opinione su un tema, spesso controverso o abbastanza complesso da meritare un dibattito. Un ottimo esempio di questo format in Italia è il Maurizio Costanzo Show, che vanta il primato per la sua longevità, andando in onda dal 1982.
Nel secolo scorso l’opinionista, pur se figura senza etichetta, trovava largo spazio nel panorama televisivo. Si trattava di giornalisti, intellettuali o esperti, chiamati a dissertare e sviscerare un tema, portando in campo tutta la propria esperienza per poter commentare fatti di cronaca o argomentare la propria tesi nei casi di approfondimento. In modo del tutto analogo, questo genere di figura poteva apparire anche in radio. Tuttavia, se si pensa all’idea di opinionista, allo spettatore televisivo medio non verrà in mente sicuramente il signor Costanzo, né tantomeno nessun programma in studio da seconda serata. Il motivo è che il concetto si è evoluto e ha trovato diffusione proprio quando la figura ha iniziato a mutare.
Tutto è iniziato con il diffondersi della TV verità, espressione presto sostituita dal corrispondente inglesismo reality show. Tra la fine degli anni Novanta e l’inizio del nuovo millennio l’Italia scopre pian piano i piaceri frivoli di una televisione che spettacolarizza e rende degno di attenzione il reale o talvolta persino il banale. Dal Grande Fratello in poi, il genere esplode e pian piano fa spazio ai tanti talent show in cui a essere protagonisti sono persone comuni. Da loro la TV riusciva a tirar fuori tutto ciò che li rendeva speciali (o meglio, spettacolari). Questa sottile idea ha cambiato radicalmente il paradigma con cui concepire i personaggi televisivi. Alle origini andare in televisione implicava essere una persona autorevole, già famosa nel proprio ambito. Ma da questo momento in poi è il fatto stesso di essere sullo schermo a rendere un individuo famoso e autorevole.
In questo modo, persone come Pietro Taricone poterono diventare dei veri propri VIP dalla fama duratura, non semplicemente fenomeni in grado di cavalcare il loro quarto d’ora di celebrità. Certamente, esistevano anche prima di allora i quiz a premi con persone comuni come concorrenti. Tuttavia, solo dopo il fenomeno reality persone come l’Uomo Gatto (al secolo Gabriele Sbattella), il celeberrimo concorrente di Sarabanda, hanno potuto diventare personaggi impressi nella memoria pubblica ancora oggi, al punto di meritare articoli di giornale e piccoli cameo anche a distanza di molti anni. Esistevano anche personaggi della cui fama era difficile individuare l’origine. Si trattava di casi eccezionali che riuscivano a essere così trasversalmente presenti nel mondo dello spettacolo da autogiustificare la propria presenza, talvolta massiccia, negli studi televisivi.
È in questa nuova atmosfera televisiva che lentamente emergono nuovi opinionisti nei talk show generalisti come Domenica In. A volte sono gli stessi nuovi VIP chiamati ad argomentare, nonostante l’evidente assenza di titoli in merito. Altre volte sono individui così anonimi e poco memorabili che è oggi difficile riuscire a risalire alle loro identità. Il motivo era chiaro. Il nuovo messaggio era che potenzialmente chiunque potesse essere degno della televisione e che, ovviamente, sopravvivesse nei salotti televisivi solamente chi porta ascolti. In questo modo si stabiliscono come ospiti fissi nuove figure che non hanno nient’altro a cui appellarsi oltre che alla loro etichetta di opinionista per giustificare la propria presenza sui teleschermi.
Gli effetti di questo ribaltamento sono due. Da un lato, quella di opinionista da semplice etichetta si tramuta in un vero e proprio mestiere. Dall’altro, si eleva la chiacchiera da bar a discussione intellettuale (o meglio pseudo-intellettuale). In questa atmosfera finiscono a discutere, messi sullo stesso piano, figure autorevoli come giornalisti e accademici e perfetti sconosciuti evidentemente non in grado di affrontare discussioni su argomenti tecnici. Allo stesso modo, persone come Vittorio Sgarbi, di innegabile competenza in determinati settori, vengono ora chiamate a discutere su qualsiasi tema. Sono ridotti a loro insaputa a fenomeni da baraccone, con il solo scopo di acchiappare spettatori in attesa del momento in cui l’intellettuale di turno perde le staffe.
Parallelamente, mentre il fenomeno a livello televisivo si consolida prendendo tutti gli anni Duemila, un’altra rivoluzione accade su Internet. Nel passaggio all’Internet 2.0, gli utenti diventano spesso prosumers. Nei nuovi media pian piano emergono nuove figure che riescono a rendersi autorevoli nelle nicchie in cui sono calate. Inizia una guerriglia fredda tra vecchi e nuovi media, che ha portato a una reciproca influenza. Alcune persone sono riuscite a fare il salto dal mondo di Internet a quello televisivo. Un caso italiano è quello di Frank Matano, che è passato da prankster ante-litteram a figura presente sia nel cinema che nella TV. Altri sono diventati persone di grande influenza nel web, restando quasi esclusivamente relegati a quel mondo. In Italia è il caso di personaggi come Alessandro Masala o Riccardo Dal Ferro. Costoro non sono dei semplici vlogger ma si sono fatti largo nel web proprio in virtù delle loro opinioni, commentando eventi della rete o del mondo reale. Nasce così la figura del commentator, o meglio, la figura del commentator arriva in Italia.
Molti commentatori non coinvolgono un numero di spettatori paragonabile a quello della TV. Chi li segue lo fa però perché conosce il personaggio, ha una minima idea di cosa aspettarsi e soprattutto ne apprezza lo stile critico ed espositivo. Un punto di forza che quasi nessun opinionista televisivo può vantare.
Guardando le cose in modo superficiale, si potrebbe pensare che i commentatori siano solo degli influencer e che abbiano poco a che fare con gli opinionisti. In realtà, opinionisti – nella loro accezione più contemporanea – e commentatori sono due facce della stessa medaglia. Nascono entrambi dalla messa in crisi del concetto di intellettuale. Da un lato, ci sono persone come Michela Murgia che riescono ad affermarsi come intellettuali pur emergendo dal web (il suo primo libro era inizialmente nato come blog) e ottenere spazi televisivi in qualità di esperti. Dall’altro, ci sono accademici del calibro di Dario Bressanini e Alessandro Barbero, già autorevoli e presenti nel mondo televisivo, che acquisiscono una nuova celebrità sul web, diventando dei veri e propri VIP anche per i giovani.
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Appare quindi chiaro che anche il concetto di intellettuale si sta ridefinendo, seppur in modo più sottile. Sicuramente uno dei motivi è l’iper-specializzazione. Nello scorso secolo figure come Umberto Eco, Noam Chomsky e Zygmunt Bauman potevano essere influenti non solo nel loro specifico campo accademico. Potevano essere anche chiamati a commentare con cognizione di causa un’enorme quantità di argomenti, dimostrando la straordinaria conoscenza e capacità critica che li ha resi innanzitutto accademici di successo e, successivamente, celebrità. Oggi è difficile individuare delle nuove figure che reggano il confronto. Persino Diego Fusaro, filosofo e docente noto per il suo blog decisamente pionieristico per il panorama italiano, fa fatica a trovare una reale autorevolezza nel mondo online.
Nello scorso secolo bastava essere un umanista, un letterato, un artista o uno scienziato con un briciolo di cultura generale per potersi definire intellettuale. Oggi non è così semplice. Difficilmente un commentatore può definirsi tale, e quasi sempre non è abbastanza titolato da poterlo fare in modo autorevole (con qualche eccezione come la youtuber americana Natalie Wynn). D’altro canto, i commentatori, sono persone intellettualmente più o meno influenti. Dimostrano di avere delle capacità critiche ben al di sopra di quelle dell’uomo medio. Uno dei rischi per i commentatori è quello di diventare dei guru in modo più o meno involontario. È il caso dello psicologo canadese Jordan Peterson, un accademico con pubblicazioni commerciali di successo che a causa delle sue opinioni controcorrente sulle questioni di genere è emerso nel web. È diventato così sia un opinionista televisivo sia un guru per l’alt-right (appartenenza politica che egli ha più volte rinnegato, nonostante le sue visioni politiche conservatrici). Al di là delle sue specifiche visioni politiche, Peterson si può ritenere un intellettuale a tutti gli effetti, considerando il suo background accademico e le innumerevoli interpretazioni originali presenti nelle registrazioni online delle sue lezioni.
Estendiamo la questione a chi invece non si è affermato nello scorso secolo. Un laureato in una disciplina umanistica può definirsi intellettuale? E un dottorando? E chi proviene da una disciplina tecnico-scientifica? Lo può essere un opinionista che nasce come tale, senza un background accademico né giornalistico? E cosa accade a tutti quelli che, nonostante un curriculum di tutto rispetto, si dedicano a professioni “ostracizzate” come quelle del web? Cosa contraddistingue quindi Alfonso Signorini e Raffaele Alberto Ventura? Perché il primo figura secondo Wikipedia come opinionista, mentre il secondo deve “accontentarsi” di un piccolo ma nutrito seguito online e un relativo successo editoriale?
Bisognerebbe considerare che la figura di intellettuale (così come quella di accademico) ha perso enormemente il suo prestigio sociale. Questo a causa del bollo di “professorone” della casta in una diffusa ottica complottista. Ciò rende possibile avere in televisione dibattiti tra attivisti no-vax e docenti universitari. Qui gli spettatori non cercano altro se non intravedere degli inesistenti blast da parte del delegato della propria fazione, per poi trovare conferma di un’opinione che resterà immutata a fine trasmissione. Allo stesso modo, nel mondo meno autorevole e pretenzioso di Internet si trovano dibattiti analoghi. Ne è esempio il recente confronto sul Cerbero Podcast tra Diego Fusaro e Il Polemista Misterioso.
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La differenza è che la televisione cerca sempre e comunque il pubblico, prediligendo la spettacolarità alla qualità del dibattito. Su Internet, invece, è più probabile trovare delle discussioni genuine, portate avanti con un’effettiva moderazione e una reale voglia di confronto civile.
È chiaro che ci troviamo di fronte all’ennesimo cambiamento sociale che pone più domande che risposte. La sua lettura potrà essere completa e chiara solamente con un certo scarto temporale. Tuttavia, riflettere sui termini che utilizziamo resta un esercizio personale di estrema importanza, soprattutto quando questi finiscono per essere delle etichette.
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