La violenza non ha genere. Quella sulle donne è più tristemente conosciuta e diffusa, ma anche la violenza e l’abuso su un uomo da parte di una donna sono fenomeni reali e da non sottovalutare. Le fonti a riguardo sono estremamente poche: un’indagine ISTAT ha rilevato che nel periodo fra il 2015 e il 2016 oltre tre milioni e mezzo di uomini hanno subito molesti fisiche, verbali e pedinamenti sul luogo di lavoro, mentre la scrittrice Barbara Benedettelli ha dedicato alla violenza senza distinzione di genere il suo libro 50 sfumature di violenza. Femminicidio e maschicidio in Italia. Del fenomeno si è poi occupata l’Università di Siena, che in un articolo accademico del 2012 ha stimato, sulla base della loro indagine, che sui venti milioni di italiani uomini tra i 18 e i 70 anni oltre cinque milioni avrebbero subito almeno un episodio di violenza fisica per mano di una donna. Qualche anno fa è nata a Catania l’Associazione Violenza sugli Uomini (AVU), che si occupa di tutelare gli uomini oggetto di violenza psicologica, fisica e di genere da parte delle donne.
theWise Magazine ha incontrato Luca (nome di fantasia), uomo vittima di violenza da parte della sua ormai ex partner.
Ciao Luca. Intanto, grazie per aver accettato questa intervista: so che è difficile parlare di questa tua esperienza. Perché oggi sei qui?
«Ciao, grazie a te per avermi dato modo di raccontare la mia storia. Non me ne vergogno, sono qui per raccontare una vicenda di maltrattamenti. Sono una vittima di violenza da parte di una donna, donna se così si può definire. Prima che mi rendessi conto di tutto questo, pensavo che un uomo vittima di violenza non potesse esistere: invece esiste eccome. Gli uomini non denunciano mai, convinti che la loro mascolinità possa venire in qualche modo intaccata. Oppure, come nel mio caso, pensano che, siccome spesso non ci sono danni fisici evidenti, la violenza sia minore, quasi finta».
Cosa ti ha fatto pensare di essere vittima di una aggressione? Quando ti sei accorto di essere un uomo vittima di violenza?
«Vivevo una relazione totalmente unilaterale: esistevano solo lei, il suo mondo, i suoi problemi, le sue paranoie. Io sono una persona come le altre, con momenti di alti e di bassi, ma i miei pensieri e le mie paure erano di classe B. Litigavamo spesso, non voglio esagerare, quasi a giorni alterni. Nel periodo precedente alla rottura, ho avuto motivi di stress legati al lavoro ed ero più preoccupato del solito. Ho sempre cercato di sopportare e di non reagire, ma ero in un periodo pesante, e mi capitava di rispondere più spesso, magari piangere, alzare la voce. La sua reazione era incontrollabile, tra urla e graffi. Nell’ultimo anno succedeva regolarmente, in estate portavo spesso una maglia per coprire i segni».
Cosa provavi in quei momenti? Per quale motivo hai continuato a portare avanti quella relazione?
«In quei momenti cercavo di capirla, pensavo alle mie colpe. Magari un mio modo brusco di rispondere poteva in qualche modo giustificare la sua reazione. La vedevo debole: ero arrivato anche io a vedere solo i suoi problemi, penso provassi pena per lei. Ero entrato in un circolo vizioso, per cui ogni mia azione era sbagliata, e ogni sua azione era giustificata da questa mia presunta azione sbagliata».
Quando hai capito che era arrivato il momento di dire basta?
«Un giorno ho avuto un crollo emotivo, ero al massimo della mia ansia e preoccupazione per questioni personali e lavorative. Ho chiesto il suo aiuto, per chiacchierare un po’. Non l’avessi mai fatto: mi sono sentito rispondere che i miei problemi sono stupidi e che io mi preoccupo sempre per niente. Da lì ho capito che era veramente abbastanza. Nei giorni successivi ho provato ancora a perdonarla, pensando che fossi stato troppo duro. Le ho spiegato le mie ragioni, le ho detto che mi dispiaceva trovare più conforto negli amici che in lei e che mi sentivo tremendamente solo. Ancora una volta, l’ultima, mi sono trovato in una raffica di pugni e di graffi, conditi da insulti e da felici inviti… a passare a miglior vita, ecco».
Se ti guardi indietro, cosa pensi di te stesso in quei frangenti?
«Dipende dai momenti. Non nego che ancora oggi, se ci ripenso, sto male. Nei momenti in cui sono più in preda alle emozioni, sto male, mi arrabbio con me stesso, penso e ripenso a cosa avrei potuto dire, cosa avrei potuto fare. So a cosa stai pensando. No, mai e poi mai avrei risposto alla violenza con la violenza. Un giorno, per cercare di difendermi, il suo braccio ha colpito molto forte il mio. “Mi hai fatto male!”, mi ha detto. Il rischio dopo è di trovarsi nella situazione opposta e passare per violento. Nei momenti in cui sono più razionale, invece, so che non ho nulla da rimproverarmi e ho fatto anche troppo, rimanendo e cercando di stare vicino a chi voleva solo distruggermi e distruggersi».
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Cosa ti rimane da quella storia? Quali paure ti porti dietro?
«Ho iniziato un percorso psicologico, fortunatamente con una terapeuta molto valida. Mi ha aiutato a capire cosa sia successo, e perché io sia rimasto nonostante tutto. Ho anche avuto la fortuna di trovare una nuova compagna, alla quale ho raccontato tutto da subito, e mi ha capito. È persino arrivata a scherzare bonariamente sulla mia situazione. Con lei ci rido su, mi ha aiutato tantissimo. Ci sono però stati momenti difficili, le mie paure sono state grandi, faccio ancora fatica a capire fino in fondo l’amore, l’affetto così disinteressato che tutti i giorni mi regala. Ma so che è così, che l’amore è giusto così. Senza peccare di superbia, penso di meritarmi una vita tutto sommato serena.
Ti confesso che ora di grandi paure non ne ho, ma ne ho avute. Ho avuto tanta paura di ricadere in una situazione simile, di non essere felice. Ma a volte le storie possono anche finire bene. Da questa storia ho imparato che non si deve mai aver paura di andare via, ma bisogna aver il coraggio di guardarsi dentro e prendere una decisione, se si vuole essere felici».
Cosa vorresti dire a un ipotetico lettore che si trovi nella tua stessa situazione?
«Vattene, senza guardarti indietro. Chiaramente, che sia uomo o che sia donna. E se la situazione diventa grave, se si aggiunge lo stalking, se le violenze sono pesanti, denuncia, anche se può essere difficile e può spaventare. Fortunatamente io sono riuscito ad andarmene, prima che la situazione degenerasse. Capisco che per una donna possa essere più difficile. Vorrei ricordare, se posso, il numero 1522 del Telefono Rosa. La violenza è sempre sbagliata, che sia verbale o fisica. Chi si scaglia contro l’altro è una persona piccola, che non riesce a far valere le proprie ragioni parlando civilmente. Ancor peggio in un rapporto, quando l’amore e il rispetto dovrebbero essere la prima cosa.
Evidentemente, però, chi usa la violenza questo ultimo aspetto non lo ha proprio capito».