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Obamagate: Trump e la paura del confronto

Published by
Carlo Paganessi

Da alcuni giorni una parola ricorrente appare nei tweet di Trump: «OBAMAGATE», spesso scritta a caratteri cubitali. A detta dell’autore, farà sembrare il Watergate di nixoniana memoria una multa per parcheggio scaduto. Il presidente degli Stati Uniti è, finora, stato piuttosto fumoso sulle accuse al suo predecessore. Maggiori dettagli possono essere compresi cercando al di fuori degli account social del leader del mondo libero. Tra gli articoli retwittati da Trump, molti parlavano della costruzione di prove contro Michael Flynn, che già prima dell’ingresso del magnate di New York alla Casa Bianca era il grande favorito per il ruolo di consigliere per la sicurezza.

Cos’è l’Obamagate?

Le accuse di Trump riguardano quindi l’intenzione dell’amministrazione Obama di voler ostacolare il suo insediamento  fabbricando prove da zero. La circostanza è abbastanza singolare, considerando che lo stesso Flynn si era dichiarato colpevole di aver mentito all’FBI nel 2017 a proposito dei suoi incontri con il diplomatico di Mosca Sergej Kislak (successivamente William Barr, attorney general nominato da Trump, deciderà di far cadere in ogni caso le accuse). Ma Obamagate non è soltanto questo. È un discorso più ampio che si allarga, ancora una volta, al luogo di nascita di Obama, cavallo di battaglia del Trump in evoluzione da magnate e star dei reality show a figura politica; alle sue connessioni con l’Africa e via dicendo. Tutti punti su cui Trump ha cercato di battere il ferro (anche quando non era più caldo), timoroso che il confronto con il suo predecessore si fermasse ai meri aspetti numerici.

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Foto: Wikimedia Commons.

Una teoria del complotto?

Come tutte le teorie del complotto, anche l’Obamagate presenta contorni e accuse estremamente sfumati. Secondo alcune versioni, l’amministrazione Obama e il deep state (concetto caro a Trump e chiamato in causa ogni volta che un qualche ostacolo sorgeva di fronte all’iter legislativo delle sue politiche) avrebbero meramente fabbricato delle prove. Secondo altre vi sarebbe un coinvolgimento più ampio dei servizi d’intelligence che avrebbero addirittura teso dei tranelli ai futuri collaboratori di Trump. Queste citano incontri con avvocati russi a proposito delle sanzioni attribuite a Mosca dopo l’annessione della Crimea.

Considerando le circostanze, è normale per un governo democratico voler prevenire ingerenze esterne. È normale soprattutto in un frangente delicato come quello delle elezioni presidenziali (o, in generale, elezioni che direttamente o indirettamente concorrono a determinare l’esecutivo di un Paese). Pensare che l’amministrazione Obama non si sia attivata per scoprire eventuali tentativi di influenza sulle elezioni del 2016 è quantomeno da ingenui. Ma pensare che lo abbia fatto fabbricando prove e inventando situazioni per cogliere in fallo l’entourage di Trump significa elaborare uno scenario decisamente articolato per il quale (al momento) ci sono scarse o nulle prove a supporto.

Giusto in tempo

Interessante è la tempistica con cui Trump ha deciso di occupare il discorso politico del Paese con una notizia fabbricata in casa. Una notizia che potrebbe persino danneggiarlo nel lungo termine, qualora le accuse rimanessero senza fondamento. Il blitz social con cui il presidente ha avviato la campagna mediatica è avvenuto il 10 maggio, al termine della settimana con i maggiori contagi di Covid-19 negli Stati Uniti fino a quel momento. La gestione dell’epidemia da parte del governo federale si è dimostrata totalmente inadeguata, lasciando spesso soli o con forniture insufficienti gli Stati.

Un furiere dell’esercito degli Stati Uniti cuce mascherine destinate alla lotta contro il Covid-19. Foto: US Army.

Trump e il virus

Ci sono state moltissime accuse all’amministrazione Trump per come si è mossa nel contrasto al coronavirus. La critica principale riguarda la preparazione praticamente nulla, nonostante i report d’intelligence che avvisavano il governo alla fine del 2019. Il governo ha anche ignorato la situazione in Europa, liquidata con una presunta superiorità del sistema sanitario statunitense che si è invece dissolto all’impatto del virus. Altro notevole problema è rappresentato dal test inizialmente diffuso dal Centro di controllo per le malattie infettive di Atlanta. Nonostante non funzionasse, il governo ne ha raccomandato l’uso. Ci vorranno quasi tre settimane prima di avere dei test funzionanti. Entrano nel novero delle critiche anche le coperture nulle previste dallo Stato per chi è senza assicurazione medica, con centri di cura che hanno richiesto anche tremila dollari per un test di positività al Covid-19.

La prima cosa a cui tutti i commentatori internazionali hanno pensato collegando Obamagate e gestione della pandemia è che Trump tema l’impatto del Covid-19 sulla sua popolarità. L’approvazione degli americani riguardo al suo operato è scesa al 40% e non dà cenno di volersi arrestare, nonostante l’annuncio della creazione della Space Force e le continue minacce di voler troncare ogni rapporto con Pechino. Da qui a novembre la strada è sicuramente molto lunga. Ma lo è anche la risoluzione della pandemia, e il proseguo della gestione dell’emergenza impatterà soprattutto in quegli stati in bilico che decideranno l’elezione.

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Carlo Paganessi

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