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Leader, simbolo, icona: Dries Mertens, come e più di Maradona

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Claudio Agave

Dries Mertens ha segnato in carriera gol difficili, quasi impossibili, a volte praticamente irreali. Nel suo repertorio c’è un po’ di tutto: tiro a giro, pallonetto, punta e segna, piazzati, persino i colpi di testa nonostante un’altezza tutt’altro che ciclopica. Quello contro l’Inter nel ritorno della semifinale di questa Coppa Italia, paradossalmente, forse è uno dei gol più facili segnati in carriera dal calciatore belga. Facile poi fino a un certo punto, perché in mancanza di freddezza, precisione e classe ogni pallone toccato può essere sbagliato. Il suo, però, finisce in porta. Ed è il gol più importante di tutti.

Le marcature con il Napoli di Mertens diventano 122: il belga è ufficialmente il miglior marcatore nella storia del club. Meglio di Hamsik, ex capitano e precedente recordman. Meglio addirittura di Maradona, da anni onnipotente simbolo mediatico e calcistico del club. E pensare che l’avventura di Mertens a Napoli, iniziata tra sberleffi vari e tante panchine, sembrava destinata invece a una parabola piuttosto mediocre. Il calcio però dipinge strane opere, con mani spesso inattese. E Mertens è forse uno dei più grandi pittori del pallone recente, nonché uno dei più inattesi.

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Leader, simbolo, icona: Dries Mertens, come e più di Maradona

Mertens è uno dei protagonisti della faraonica campagna estiva che il Napoli mette in piedi nell’estate del 2013. Dopo il secondo posto nel campionato precedente e la qualificazione in Champions League, gli azzurri perdono due pezzi pregiati della loro storia recente. Non solo il tecnico Walter Mazzarri, artefice di svariati piccoli miracoli (prima storica qualificazione in Champions e raggiungimento degli ottavi, ritorno alla vittoria di un trofeo, fugaci lotte per lo Scudetto) e alla ricerca di nuove avventure (che poi si riveleranno fallimentari) ma anche il fenomenale Edinson Cavani, dalla cui cessione al PSG il Napoli ricaverà fior fiore di milioni che serviranno per costruire la squadra del presente e del futuro.

L’arrivo di Benitez sulla panchina porta un’aria di rimodellamento e respiro europeo. Lo starpower del tecnico attira nomi importanti. E il Napoli – spendendo molto, s’intende – mette in pratica comunque un mercato molto intelligente. Bussa alla porta delle big d’Europa e chiede giocatori non certi del posto in squadra, in pieno ballottaggio con colleghi e magari con spazi che rischiano di diventare sempre più ristretti. Promette quindi non solo una titolarità pressoché inamovibile ma pure la prospettiva di giocare in un campionato tra i più importanti e nelle competizioni europee. In mezzo ai vari Higuain, Reina, Albiol e Callejon arriva anche un piccolo giocatore di fascia che il Napoli aveva già notato precedentemente in gare di Europa League giocate contro Utrecht e PSV. Sfide nelle quali, peraltro, lo stesso Mertens era stato decisivo con gol e assist di pregevole fattura.

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Il gol del 2-0 di Mertens in una gara di Europa League tra PSV e Napoli, terminata poi 3-0 per gli olandesi

Un campione acerbo

Il Mertens che arriva a Napoli è un giocatore palesemente forte ma anche caratterialmente e calcisticamente incompleto. Un esterno molto innamorato del pallone. Un ragazzo che sa di giocare bene a calcio e spesso si specchia nella sua bellezza riflessa dal prato verde. Va però sfatato il mito che vede il piccolo centravanti mai del tutto avvezzo alla rete. In carriera, infatti, Mertens aveva concluso 5 stagioni in doppia cifra (2 all’AGOVV, una all’Utrecht e 2 al PSV) e, in seguito, proprio in casacca napoletana non perderà questa verve, segnando sempre almeno 10 gol a stagione.

Il problema risiede più che altro nella sua poca appariscenza in termini di potenza mediatica. Non è un caso che, tra i tanti colpi di mercato portati a compimento dal Napoli in quel calciomercato, quello di Mertens venga considerato sì positivo ma comunque sottobanco. Una buona intuizione, certo. Ma non un giocatore di cui pare si dovrà discutere troppo.

Storica peraltro resterà quella che col senno di poi si è trasformata in una delle gaffes più devastanti del pallone in Italia, forse pari soltanto alla battuta di Luciano Moggi sul nome di Kakà. Il video dell’investitura negativa dell’allenatore Ezio Capuano – personaggio vulcanico e protagonista, nel corso degli anni, di episodi ai limiti della realtà sui campi e sulle panchine delle serie minori – è ancora oggi visibile un po’ ovunque e si è ritorto pesantemente contro il tecnico. Tanto è vero che lo stesso Mertens, il giorno dopo il record, ha postato una storia Instagram – con tanto di risata forse un po’ compassionevole – con il video di Capuano, il quale ammette candidamente nel silenzio generale (non sappiamo di che stampo) che secondo lui Mertens non giocherà più di 8 partite con la maglia del Napoli.

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Inizio con il freno a mano

In effetti, le prime due stagioni di Mertens con la maglia azzurra non sembrano far gridare al miracolo. Gioca decisamente più delle 8 partite profetizzate da Capuano e segna pure qualche gol pesante. Si ricordano infatti le sue reti contro la Juventus in campionato o in finale di Coppa Italia alla Fiorentina. Al tempo stesso, però, raramente è davvero decisivo. Il suo calcio è fatto di sprazzi, di impulsive manifestazioni di superiorità. Ma è pure un gioco spesso fine a sé stesso, fatto di troppi dribbling tentati e una predisposizione all’estetica che serve solo in parte. E infatti Mertens nel biennio Benitez sembra essere un giocatore sempre in rampa di lancio ma mai davvero pronto a esplodere. Sarà quindi utilizzato spesso come prima riserva dalla panchina. Il nativo di Lovanio è il brevilineo che cambiando passo e inserendo freschezza e sfrontatezza può risolvere le partite più bloccate e complicate.

Il terzo anno al Napoli è forse il peggiore dell’attaccante con la maglia azzurra. Higuain è nel pieno dell’esplosione, vive un’annata stratosferica che lo porterà a siglare il record assoluto di reti nella storia di un singolo campionato di Serie A. Callejon e Insigne sono per Sarri altrettanto intoccabili sulle fasce, per via del grande lavoro difensivo che intraprendono nel 4-3-3 dell’ex tecnico dell’Empoli. Mertens trova spazio soprattutto in Europa League e qualche volta in campionato ma molto spesso da subentrato. Tanto è vero che emergono poderosi alcuni mal di pancia nei confronti del tecnico. Il caso non scoppia mai sul serio (anche perché ha sempre messo insieme almeno 30 presenze a stagione) ma si inizia a parlare di un futuro lontano da Napoli per Mertens. Che però, nel giro di pochi mesi, si ritroverà a trasformarsi da riserva di lusso a luce perpetua del gioco partenopeo.

La svolta tattica e un pizzico di fortuna

Nella stagione 2016/2017 l’inizio del Napoli è a dir poco travagliato. In estate si è consumato il dramma Higuain, con l’argentino andato alla Juventus a fronte del pagamento della clausola rescissoria. Al suo posto arriva dall’Ajax il polacco Arkadiusz Milik. Che però si fa male quasi subito e riceve una sentenza altrettanto drammatica: rottura del legamento crociato. Il Napoli si ritrova dunque con il solo Gabbiadini come prima punta ma l’attaccante ex Atalanta e Bologna non sembra dare garanzie. Inoltre, l’italiano piace molto poco al suo allenatore. Così, nel bel mezzo di una crisi di risultati e di gioco, Sarri genera nella sua testa un’intuizione che cambierà per sempre non solo la sua carriera ma anche quella di Mertens. Nasce infatti il mito del falso nueve belga: il numero 14 viene sistemato come prima punta e la sua vita cambia in maniera esponenziale.

Mertens non solo inizia a segnare a raffica ma diventa a tutti gli effetti un concreto e seguito uomo squadra. Migliora tecnicamente sia nel supporto che negli inserimenti, impara man mano i movimenti da punta, mantenendo al contempo la sua proverbiale visione allegorica di un gioco che, per paradosso, senza la fantasia non trova sbocchi concreti. Mertens vince la timidezza sotto porta e diventa un vero e proprio killer (così come d’altronde il suo compagno di squadra Koulibaly ha spiegato nella sua più recente intervista).

Insieme agli altri due componenti del “tridente dei piccoletti” regala spettacolo, con il Napoli che solo a causa di un iniziale mese deficitario non si ritrova coinvolto pienamente nella lotta Scudetto. Ma in quella stagione l’idea Sarrista trova la sua sublimazione e proprio Mertens è il diamante che brilla più di tutti. Segnerà in tutte le competizioni 34 gol, suo record personale ancora oggi. Alcune reti sono al limite dell’imbarazzante per quanto sono belle. Memorabile, in tal senso, l’intera prestazione contro il Torino al San Paolo: quattro reti, di cui una su cucchiaio che lascia di stucco gli avversari e cattura un applauso a metà tra l’incredulo e il sorpreso del difensore Chiriches.

Uno storico record

Confermatosi ad altissimi livelli anche durante l’ultima stagione di Sarri sulla panchina, quella in cui il Napoli va più concretamente vicino alla vittoria del titolo nazionale, Mertens accoglie Carlo Ancelotti come suo terzo allenatore nell’avventura partenopea. Seppur con un turnover più marcato tra lui e l’amico Milik finalmente ristabilito a livello fisico, Mertens sembra non sentire particolarmente il trascorrere degli anni. Questo nonostante le prime critiche sull’età e le sirene del mercato, che vogliono per lui esperienze in Cina o al Manchester United. Nel frattempo, abbastanza silenziosamente e tutto sommato lontano dalle urla della stampa specializzata, Mertens mette il mirino su un traguardo che poco prima era stato accolto con pomposità necessaria e giusta per lo slovacco Marek Hamsik. Si tratta del record di gol nella storia del Napoli. Già prima, peraltro, Mertens era diventato il miglior cannoniere assoluto degli azzurri nelle competizioni europee.

Se il raggiungimento del primato da parte dell’ex bandiera azzurra ha fatto rumore soprattutto per l’importanza storica dell’avvenimento e per la caparbietà del giocatore (centrocampista e quindi, tecnicamente, “sfavorito” in un’impresa così importante), la scalata di Mertens risulta molto silenziosa e poco pubblicizzata. Il belga, parafrasando Al Pacino ne L’avvocato del Diavolo, potenzialmente è il migliore perché nessuno lo vede arrivare. Resta un po’ nascosto, nelle retrovie, sfruttando una scia che nessuno pensa possa portare realmente al sorpasso.

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Eppure, alla fine della scorsa stagione Mertens è incredibilmente vicino sia ad Hamsik che a Maradona. E nonostante una stagione a tratti catastrofica per gli azzurri, prima sorpassa El Pibe de Oro, poi raggiunge l’amico ed ex compagno di squadra, infine lo supera prendendosi la gloria eterna. Se il record di Hamsik era alla sua portata, difficilmente il record di Mertens sarà superato da un altro giocatore del Napoli in tempi relativamente brevi. Anche perché, con il rinnovo di contratto ormai imminente, l’ex PSV avrà ancora due anni da sfruttare per sfondare persino quota 150.

La simbiosi con Partenope

Dries Mertens non è amato però soltanto come espressione calcistica di alto livello ma anche e soprattutto come uomo e persona. Pienamente integrato nel contesto metropolitano e sociale di una città che fonda le sue basi su qualità umane tipiche del Sud, fuori dal campo Mertens (ormai ribattezzato amichevolmente Ciro, nome di tradizione campana) è un concentrato di generosità, solarità, allegria, affetto. Soprattutto negli ultimi tempi, quelli in cui l’attaccante è sembrato più lontano da Napoli, sono emerse storie di una quotidianità incredibile. Dalle pizze regalate ai clochard all’amicizia con l’anziana vicina di casa, dalla maglia regalata al ragazzino bullizzato al significato della famosa esultanza “canina” alla bandierina dello stadio Olimpico dopo una rete in Roma-Napoli. Mertens rappresenta perfettamente quello che il napoletano riesce a essere nei momenti migliori.

Se tanti idoli dei tifosi partenopei sono caduti per motivi disparati, come la volontà di andare a giocare altrove (Cavani) o i tradimenti sportivi nei confronti della piazza (Higuain), Mertens rappresenta lo scugnizzo straniero che Napoli ha sempre cercato e finalmente trovato. E che, quindi, non voleva rassegnarsi a perdere. Prima di lui, probabilmente soltanto Diego Maradona è stato in grado di connettersi con la città in questa maniera. A dispetto di molte luci e qualche ombra, però, il percorso cittadino del numero 14 azzurro è sembrato coerente anche con messaggi di riscatto per una città che troppo spesso vive luoghi comuni e una pubblicità pessima a causa di difetti reali che però vengono pure manipolati all’inverosimile.

Maramertens

Inevitabile, dunque, che un calciatore come Mertens possa scatenare a questo punto un paragone proprio con Maradona. Una sfida che va ovviamente contestualizzata all’esperienza partenopea dei due campioni (anche perché, più correttamente, l’unico che realmente potrebbe reggere un confronto con l’argentino è Leo Messi, il quale però da sempre fugge questo probante inseguimento giornalistico). In effetti, Mertens e Maradona sono più simili di quanto si possa pensare. Entrambi piccoletti dotati di grande talento, hanno fatto vincere trofei al Napoli e raggiunto record personali trascinando la squadra.

Entrambi, come già detto, amatissimi dal pubblico non solo sul rettangolo di gioco ma anche per l’esposizione extra-calcistica da portabandiera di una città intera. Di fatto Mertens e Maradona differiscono soltanto in tre cose. Il piede perno (destro contro sinistro), il numero di maglia (il Napoli ha scelto di ritirare la casacca numero 10 ormai da anni per mettere in cassaforte il mito del D10S) e la mancata vittoria di un campionato, solo sfiorato dal classe 1987.

Il paragone Mertens-Maradona solo pochi anni fa sarebbe stato pura fantascienza. E invece, al di là della mera statistica (che quando si parla di talento conta solo relativamente, grandissimi giocatori hanno reso meno di quanto dovessero ma sempre enormi rimangono nel pensiero comune) i due possono essere realmente posti l’uno al fianco dell’altro. Ad alta voce, probabilmente, nessuno potrà mai urlare che Mertens a Napoli sia stato migliore di Maradona. Ma forse qualcuno, in un silenzio che fa rumore, comincia a rifletterci. O quantomeno a maturarne il pensiero.

Happy ending

A voler essere estremamente pignoli, a Mertens manca forse non solo quell’aria di sregolatezza che imposta ogni leggenda ma anche una narrativa mitologica che ne accompagni il cammino. Nonostante questo, il belga è ormai identificabile come uno dei più grandi attaccanti nella storia del calcio moderno. Penalizzato forse dall’aver militato in una squadra non di primissima fascia e, di conseguenza, impossibilitata nel vincere più di quanto abbia già fatto.

L’impressione dunque è che Mertens, ormai diventato non solo un’icona sportiva ma anche un simbolo di napoletanità nel mondo, abbia ancora qualche pagina importante da scrivere nella sua storia. La quale, a dispetto di altre, forse sarà meno gloriosa ma, umanamente parlando, si concluderà con il lieto fine che tutti volevano.

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