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Bolsonaro letale: viaggio nella crisi del Brasile

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Andrea Braschayko

Lo scorso venerdì il Brasile ha registrato 55.209 nuovi casi di positività al coronavirus in un solo giorno, segnando l’attuale, triste record mondiale. Sono già oltre il milione i casi nel paese sudamericano, su nemmeno due milioni e mezzo di tamponi effettuati. Una percentuale di positivi che sfiora il 50%, e che fa rabbrividire persino Stati Uniti (8%), India (7%) e Italia (5%), rendendo il Brasile il più grande focolaio mondiale della pandemia in questo momento.
I reparti di terapia intensiva di molti stati brasiliani, tra cui quello di San Paolo – epicentro nazionale del virus – ma anche di Rio de Janeiro, Maranhão, Ceará, Pará e Amazonas, sono saturi già da metà maggio. Nonostante tutto il presidente Jair Bolsonaro, capostipite mondiale insieme a Donald Trump del partito negazionista sul Covid-19, continua a insistere neanche troppo velatamente sulla sua versione dei fatti: il coronavirus in realtà non esiste per come viene descritto, è una banalissima influenza e il panico è alimentato dalla bolla mediatica. Negli scorsi giorni infatti, in una diretta Facebook Bolsonaro ha invitato i suoi sostenitori di andare a verificare direttamente negli ospedali brasiliani se «i posti letto fossero occupati o meno»; il procuratore generale del Brasile Augusto Aras ha poi aperto un’inchiesta dopo che alcuni deputati di Aliança pelo Brasil hanno invaso i reparti per malati da Covid scattando foto senza autorizzazione.

Mercoledì è morto da coronavirus a 67 anni Paulinho Paiakan, capo della tribù Caiapó Bep’kororoti, figura carismatica nell’Amazzonia indigena e della comunità dei nativi brasiliana. L’ennesima morte dovuta al virus, che per gli indigeni brasiliani è stata una vera ecatombe, di cui purtroppo non si può neanche calcolare l’esatta proporzione.

Facebook: pagina ufficiale Jair Messias Bolsonaro

Bolsonaro ha negato l’esistenza del virus fin dai primi giorni della pandemia in Cina (e Italia)

Secondo molti scienziati e opinionisti internazionale – e ormai grossa fetta di quelli brasiliani – le scellerate scelte di Bolsonaro hanno innescato l’inizio dell’incontrollata pandemia in Brasile che è mutata, in queste settimane, in uno dei più grossi collassi socio-sanitari della gestione mondiale della pandemia.
Il 10 marzo si riferisce al coronavirus chiamandolo «una fantasia» suscitata dai media. Pochi giorni dopo il suo addetto stampa viene trovato positivo; ciò non impedisce a Bolsonaro di partecipare a una parata pubblica senza indossare la mascherina, comportamento per il quale è stata chiesta la procedura di impeachment.
Ha poi minacciato i singoli governatori locali che sceglievano di adottare misure di quarantena sui loro territori, insistendo che «una piccola influenza» non doveva fermare l’economia brasiliana. Scelte che non sorprendono da parte da quello che molti politologi hanno definito «un fascista in senso sudamericano», un mix letale di autoritarismo e neoliberismo che ha devastato ogni paese dell’America Latina lungo il suo cammino e sta trascinando sull’orlo del baratro anche il paeso verdeoro.
Quando il 28 aprile il Brasile ha superato la Cina per numero di morti, il presidente ha laconicamente detto: «Mi dispiace, ma cosa volete che faccia?»

La terra brasiliana non ha più spazio per seppellire i morti

Al 18 giugno sono 46.660 i morti da coronavirus in Brasile, numero ovviamente sottostimato ma che vale comunque il secondo posto mondiale in questa terribile classifica. Nelle ultime settimane il numero giornaliero è stabilmente nell’ordine delle migliaia.
Se vi hanno impressionato i carri militari di Bergamo che trasportavano le bare in altre regioni italiane, impallidirete al metodo brasiliano: in molti cimiteri – come in quello di Vila Formosa a San Paolo – si estraggono i resti di persone decedute anni fa per far posto alle nuove bare. Le salme più “datate” sono ammassate in container per lasciare terra libera ai morti “più recenti”. Scenari distopici, specie quando i vertici di stato parlano di fantasie mediatiche.

Un gesto simbolico, la scorsa settimana, è stato compiuto dalla ONG Rio de Paz: sono state scavate sulla famosa spiaggia di Copacabana a Rio de Janeiro 100 fosse con altrettante croci, a simboleggiare la «morte del Brasile» ed esortare il presidente in un impegno più concreto nella lotta al Covid-19.

Tutti gli errori di Bolsonaro

Il 16 aprile Bolsonaro aveva destituito dalla carica di Ministro della Salute Luiz Enrique Mandetta, che chiedeva misure più drastiche per fermare la pandemia mentre il presidente insisteva sull’impraticabilità di un lockdown che avrebbe fermato il motore dell’economia.
Il successore di Mandetta, Nelson Taich non è durato nemmeno un mese, dimettendosi lo scorso 15 maggio; di nuovo disaccordi sul presidente sulla gestione della crisi sanitaria sulle misure di distanziamento sociale e soprattutto sull’uso sui malati dell’idrossiclorochina. Questo farmaco antireumatico usato contro la malaria è stata descritto da Bolsonaro come la panacea per i gravemente malati da Covid-19, ma gli effetti collaterali sono ancora più letali dei presunti benefici.
In realtà, l’uso della clorochina (casualmente osannata anche da Trump) è forse legata a sospette – ma finora indimostrate – pressioni lobbistiche esercitate dal simpatizzante bolsonarista Renato Spallicci, presidente della Apsen, l’industria farmaceutica produttrice del Reuquinol (il cui principio attivo è la idrossiclorochina).
Secondo il New York Times undici pazienti COVID-19 sono deceduti dopo aver ricevuto alte dosi di clorochina in uno studio in Brasile. Questo è stato segnalato a metà aprile. Lo studio è stato sospeso.

Ironicamente, il giorno dopo le dimissioni Nelson Teich ha pubblicato una foto su Facebook insieme alla moglie rigorosamente in mascherina, probabilmente l’unico dell’Esecutivo a indossarla.

Il terzo Ministro della Salute della gestione pandemica è Eduardo Pazuello, il decimo militare su ventidue ministri del Governo Bolsonaro. Una svolta sempre più autoritaria nella politica brasiliana, che non può non far tornare in mente le terrificanti parole di Bolsonaro pronunciate nel 1999: «Con il voto non cambierà niente in questo Paese. Purtroppo le cose cambieranno solo quando un giorno partiremo per una guerra civile qui dentro e faremo il lavoro che il regime militare non ha fatto, cioè uccidendo 30.000 persone, cominciando da Fernando Henrique Cardoso. Se morirà qualche innocente non fa niente, in ogni guerra muoiono innocenti». Nessuno può predire cosa potrà succedere in Brasile nei prossimi anni. La preoccupazione cresce di giorno in giorno, e sono cominciate le prime rivolte dell’opposizione.

Nel frattempo, nonostante il paese sia (com’è evidente dai numeri) nella fase ascendente del picco, proprio nei giorni scorsi sono state tolte le già lievi misure di lockdown nelle città brasiliane, compresa San Paolo – città da 11 milioni di abitanti che già conta decine di migliaia ancora attivi. Hanno riaperto praticamente tutti i servizi essenziali e non, e con un governo che sollecita le persone ad assembrarsi è difficile pensare a una discesa della curva dei contagi in tempi brevi.
A proposito di curva dei contagi, la Corte Suprema brasiliana ha obbligato il Governo Bolsonaro a pubblicare i dati in modo corretto e completo. Non è la prima volta che Bolsonaro viene accusato di manipolare i dati sul contagio cercando di minimizzare i numeri reali. In seguito alla delibera della Corte, il sito web governativo ha aggiornato le statistiche.
Bolsonaro nel ’99 invocò una guerra civile che avrebbe ammazzato 30.000 persone. Tra pochi giorni i morti brasiliani da Covid-19 saranno 50.000. Di fronte all’orrore brasiliano, il Sudamerica e il mondo tremano.

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Andrea Braschayko

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