Nelle ultime settimane gli sviluppi in Libia hanno testimoniato una volta di più quanto mutevoli possano essere le condizioni politiche e militari in un contesto di questo tipo. Dopo l’arrivo delle forze mercenarie russe della compagnia Wagner, dei fighter russi e del supporto egiziano arrivato sotto forma di brigate meccanizzate la vittoria di Haftar sembrava cosa certa. Lo stesso uomo forte della fazione di Tobruk annunciava quattordici mesi fa che avrebbe preso Tripoli nel giro di due giorni. All’inizio di maggio, tuttavia, le fortune del generalissimo iniziarono a mutare.
Tra il 4 e il 5 maggio Ghat, Murzuk e Ubari, in quel momento sotto il controllo di Haftar, si sono ribellate a Tobruk. Se ci fossero azioni di Ankara, (ufficialmente) da gennaio presente in nordafrica, dietro alle rivolte ancora non è chiaro. Più tardi, intorno alla metà del mese, la sortita delle forze del Governo di unità nazionale diretta all’aeroporto di Al Watiya riassicurò sotto il controllo di Al-Sarraj buona parte della costa occidentale della Libia, tagliando fuori dal contatto con il mare buona parte delle forze di Haftar.
Nei giorni successivi l’avanzata delle forze del governo di Tripoli hanno ripreso dapprima Misurata, poi Tarhuna e infine Wadi Wishka, porta d’accesso a Sirte. Il ribaltamento di fronte è stato possibile grazie a due elementi: il ritiro delle forze della Wagner dalla linea del fronte dal lato di Tobruk e l’ingresso in forze della Turchia a supporto di al Sarraj. Il primo è dovuto alla scarsa volontà di Mosca di supportare una piena vittoria di Haftar: il contributo russo ha avuto il principale obiettivo, prima ancora di supportare l’avanzata delle forze di Tobruk, di assicurarsi determinate zone petrolifere. Raggiunto l’obiettivo, l’attività delle forze della Wagner, cruciali nel miglioramento della precisione dei bombardamenti d’artiglieria, sono venute meno. In questo modo il Cremlino ha cercato di far capire ad Haftar che l’avanzata è stata solo ed esclusivamente frutto del supporto russo, non di quello degli altri paesi arabi.
Gli amici di Tripoli
Per quanto riguarda l’attività turca, il principio è molto simile: Ankara ha cominciato a fare sul serio solo recentemente, quando Al Sarraj ha firmato un accordo sui limiti delle acque territoriali e sulla zona di sfruttamento economico con Ankara. Un ricatto che a quanto pare ha prodotto i suoi frutti, assicurando alla Turchia un dominio nel mediterraneo centrale che mancava da oltre un secolo. In aggiunta i rapporti si sono rinsaldati con la parte libica di Ikwan (Fratelli Musulmani) che costituiranno una testa di ponte per Ankara in nordafrica. La lotta in Libia si è pertanto caratterizzato come un episodio del conflitto tra sunniti che caratterizza il rapporto tra Turchia e il resto del Medio Oriente.
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L’altro aspetto della battaglia ha visto un tiro alla fune per fare assumere una posizione affine alla propria agli Stati Uniti. Da un lato gli attori del golfo hanno cercato a più riprese di far spostare Trump dalla parte di Haftar, mentre la Turchia ha cercato di farli parteggiare per Tripoli. Nessuna delle due parti ha messo in conto l’anti interventismo su base umorale del presidente statunitense, dimostratosi incapace di sviluppare una politica estera coerente sin dall’inizio della sua esperienza alla Casa Bianca.
L’Europa rimane in disparte: la Germania ha ospitato l’ultimo summit sul futuro della Libia, poi saltato in quanto comprendeva ancora Haftar come interlocutore. Per il momento l’Unione Europea ha richiesto a tutti di ricompattarsi dietro l’ONU, cosa che sta avvenendo più grazie ai successi di al Sarraj sul campo che per forza dell’ONU stessa. L’Italia, dal canto proprio, pare tagliata fuori ma è l’unico paese europeo con un’ambasciata ancora aperta a Tripoli, il che la potrebbe porre in prima fila per la conduzione di un negoziato tra Egitto e Libia per la ricomposizione dell’intera situazione.
L’assetto futuro di quest’area (ormai ha scarso senso parlare di paese) vedrà probabilmente la permanenza di due attori (uno in Tripolitania e uno in Cirenaica) che agiranno da proxy per gli interessi dell’Egitto e della Russia per quanto concerne Tobruk e per la Turchia dal lato tripolino. Il nuovo attore cirenaico dovrebbe strutturarsi su basi tutto sommato laiche in modo simile all’Egitto di al Sisi e senza la presenza di Haftar ormai sempre più isolato, mentre la controparte cirenaica dovrebbe avere consistenti quote di forze islamiste all’interno delle proprie élite. La partita per l’Italia non è ancora persa, ma per recuperare è necessario agire in fretta e assumere il ruolo guida nelle negoziazioni.