La malattia da Covid-19 sta colpendo duramente il Brasile, rendendolo uno dei maggiori focolai della pandemia. Abbiamo parlato della situazione nel Paese sudamericano con Nubia, infermiera che lavora nello Stato di Rio de Janeiro.
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«Lavoro per una rete di importanti laboratori e ospedali di medicina diagnostica nel Paese, DASA [Diagnosticos da America SA, N.d.R.]. La parte del laboratorio privato ha unità specifiche per l’assistenza ai pazienti con Covid. Abbiamo stretto un accordo con il Ministero della Salute per creare un laboratorio specializzato per le diagnosi di Covid-19 e per espandere la capacità di raccolta in Brasile. La rete ospedaliera (ÍMPAR) è privata e serve pazienti di ogni tipo. Lavoro nella formazione di impiegati in prima linea: mi sono anche offerta volontaria in un ospedale della nostra rete».
«Nello Stato di Rio de Janeiro siamo nella fase di “rilassamento”, ma siccome qui non si rispettano le regole né l’uso delle mascherine ci aspettiamo un nuovo picco della malattia. A partire dalla fase 3 in poi le restrizioni sul commercio generale verranno allentate. Con ogni fase che dura circa quindici giorni, è probabile che i negozi di strada riaprano a luglio. Il Paese ha 54.434 morti ed è il secondo con più vittime nel mondo, dietro solo agli Stati Uniti. Ci sono 1.207.721 casi confermati».
«Sì, ci sono stati molti problemi. I singoli governatori sembravano preoccupati per il popolo, mentre il presidente era interessato solo all’economia, senza dare la dovuta importanza alla malattia. I governatori hanno dovuto ricorrere al Tribunale supremo federale per ottenere misure di blocco, alle quali il presidente era contrario».
«Sì, i dati sono stati certamente manipolati, in primo luogo perché non c’erano tamponi per testare tutti i contagiati, quindi molti decessi non sono stati nemmeno diagnosticati. Lo Stato non aveva reparti adeguati negli ospedali né respiratori. E a un certo punto il presidente ha vietato che i dati reali sulle morti per Covid-19 fossero divulgati ai media».
«Sì, ne sono a conoscenza. Il monitoraggio dell’evoluzione del nuovo coronavirus tra le popolazioni indigene rappresenta una grande sfida. Sebbene i dati ufficiali forniscano informazioni sulla dinamica dei rapporti, non riflettono necessariamente l’entità della pandemia. La mancanza di disaggregazione dei dati rende difficile capire quali siano le regioni e le persone più colpite. Un altro grave problema è la mancanza di dati sugli indigeni che vivono al di fuori delle terre indigene omologate. Questo include sia gli indigeni che vivono nelle città sia le popolazioni in attesa del completamento del lungo processo di demarcazione delle loro terre [in Brasile la Fundação Nacional do Índio si occupa della demarcazione delle terre indigene, ossia di stabilire l’estensione delle aree di usufrutto da parte degli indios, N.d.R.]. Tra gli indigeni ci sono 4769 casi confermati, con 128 morti».
«Sì, l’opinione pubblica è divisa tra i sostenitori di Bolsonaro e gli altri, che hanno sofferto in qualche modo per il contagio e che sanno che questo virus sconosciuto uccide più di una semplice influenza. L’errore del presidente è stato quello di non dare la dovuta importanza alla malattia e lasciare la sua popolazione morire. Ha esonerato il Ministro della Salute che non era d’accordo con le sue opinioni e che, in quanto medico, sapeva esattamente che si trattava di un virus letale. Fino ad oggi, dall’inizio della pandemia, siamo senza Ministro della Salute: questo significa che non abbiamo avuto alcuna pianificazione e chi ha pagato questo prezzo è la popolazione brasiliana».
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