Sono settimane difficili per il presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Non solo l’epidemia di Covid-19 non ha ancora dato tregua al Paese, ma sembra non aver neanche rallentato la sua corsa. I numeri dei contagi sono ancora spaventosamente alti e i risultati raggiunti con le misure di quarantena approvate ad aprile stanno pian piano scemando. La crisi economica causata dalle norme restrittive sta inoltre facendo sentire la sua morsa, soprattutto in termini di perdita di posti di lavoro. Trump sta perdendo il cavallo di battaglia del suo mandato presidenziale, quello che pensava gli avrebbe assicurato la rielezione a novembre 2020: la crescita economica.
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La campagna elettorale del Presidente, inoltre, non procede al meglio. Joe Biden sembra essere in netto vantaggio su Trump. L’autorevole sondaggio condotto da NYT/Siena vede l’ex vicepresidente di Obama 14 punti avanti rispetto al presidente uscente, a livello nazionale. I risultati nei vari Stati sono simili. Tra quelli in bilico, per esempio, Biden è avanti di 11 punti in Michigan e Wisconsin, di 10 in Pennsylvania, di 7 in Arizona, di 6 in Florida e così via. La campagna elettorale è ancora lunga, ma al momento il vantaggio di Biden sembra invalicabile.
Inoltre, da settimane ormai il paese è attraversato dalle proteste del movimento Black Lives Matter (BLM). Le manifestazioni, scatenate dalla morte di George Floyd, uomo afroamericano ucciso lo scorso 25 maggio da un agente di polizia a Minneapolis, hanno risvegliato gli animi degli americani. I conflitti politici e sociali tra democratici e repubblicani si sono acuiti e stanno toccando diverse questioni rilevanti: dal razzismo contro gli afroamericani, all’immigrazione, ai diritti LGBTQ, alla sanità.
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Le manifestazioni del BLM hanno scosso l’opinione pubblica statunitense e non solo. Secondo diversi sondaggi e interviste, la maggior parte degli americani è d’accordo con le proteste e crede ci sia bisogno di una riforma della polizia. I Democratici hanno presentato una loro proposta di legge alla Camera dei Deputati per ridimensionare i poteri delle forze dell’ordine, approvata la scorsa settimana. La cosa sicuramente non passerà però al Senato, dove invece i Repubblicani hanno presentato una proposta diversa, senza dubbio meno incisiva e che difficilmente vedrà l’approvazione della Camera. Dunque, il Congresso è di nuovo in stallo, a causa delle diverse maggioranze che governano le due camere.
Intanto, Trump la scorsa settimana ha firmato un ordine esecutivo in materia. Sostanzialmente, l’ordine prevede la creazione di un database nazionale in cui sarà possibile registrare tutti i reclami presentati contro i poliziotti eccessivamente aggressivi. Questo porterebbe a evitare che un poliziotto particolarmente violento riesca a passarla liscia semplicemente cambiando città. Tuttavia, ci sono dei dubbi sull’efficacia dell’ordine. Esso lascia ai dipartimenti locali la facoltà di scegliere se trasmettere o meno i dati al registro nazionale e, soprattutto, non affronta il tema generale del razzismo nelle forze armate statunitensi.
La riforma della polizia, richiesta a gran voce dai manifestanti del BLM, è solamente una delle questioni sociali che hanno scosso gli Stati Uniti nelle ultime settimane. Gli scorsi 16 e 19 giugno, infatti, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha fatto parlare di sé grazie a due storiche sentenze. Con la prima sentenza, del 16 giugno, la Corte ha stabilito l’impossibilità di licenziare o discriminare persone sul posto di lavoro in base al loro orientamento sessuale e alla loro identità di genere. Si tratta di un’estensione interpretativa della norma contenuta nel Civil Rights Act del 1964 che impedisce discriminazioni sul luogo di lavoro basate su razza, religione o genere.
Nonostante molti imprenditori, spalleggiati dall’amministrazione Trump, abbiano sottolineato come l’orientamento sessuale non rientri nella definizione di “genere”, i giudici hanno ritenuto necessario estendere la norma anche alle persone LGBTQ. Anche i giudici particolarmente conservatori, tra cui Neil Gorsuch, nominato dallo stesso Trump nel 2017, hanno votato a favore di questo esito. La sentenza segna una svolta non poco significativa nel percorso di acquisizione dei diritti da parte delle persone LGBTQ e potrebbe essere l’inizio di un cambiamento in tanti altri ambiti.
L’altra sentenza storica è stata invece emanata dalla Corte Suprema il 19 giugno e riguarda i cosiddetti Dreamers, gli immigrati irregolari arrivati negli Stati Uniti da bambini. Barack Obama, durate il suo secondo mandato da presidente, approvò tramite un ordine esecutivo il programma DACA (Deferred Action for Childhood Arrivals). L’idea era quella di proteggere tutti quegli immigrati arrivati nel Paese da bambini a cui un eventuale rimpatrio avrebbe causato enormi danni. Il DACA dunque, stabilisce che chiunque entri irregolarmente negli USA con un’età inferiore ai sedici anni non può essere espulso, a meno che non commetta qualche reato.
Il programma coinvolge circa 700.000 persone, i cosiddetti Dreamers, per l’appunto. Trump nel 2017 aveva annunciato la volontà di annullare il DACA in sei mesi, ma un tribunale federale portò la questione davanti alla Corte Suprema. Corte che ha ora dichiarato la decisione di Trump invalida, dal momento che non offre una giustificazione ragionevole affinché si annulli il programma. Cinque giudici su nove hanno votato per questa sentenza: anche il giudice di orientamento conservatore John Roberts ha appoggiato i quattro giudici progressisti.
L’amministrazione Trump nelle ultime settimane ha dunque incassato due sonore sconfitte da parte della Corte suprema degli Stati Uniti. Un risultato senza dubbio inatteso, visto l’enorme lavoro che Trump ha portato avanti in questi quattro anni, usufruendo più volte del potere presidenziale di nominare i giudici federali e della Corte Suprema. La più alta corte degli Stati Uniti è composta da nove membri, nominati dal Presidente con nomina a vita: l’influenza politica non è trascurabile. Attualmente la Corte è composta da quattro giudici progressisti e cinque conservatori, due dei quali nominati dallo stesso Trump: Neil Gorsuch nel 2017 e Brett Kavanaugh nel 2018. Nonostante la maggioranza conservatrice, le due sentenze emesse segnano dei punti fondamentali nel percorso di acquisizione dei diritti sia per le persone LGBTQ sia per gli immigrati.
Dunque, i giudici conservatori stanno diventando progressisti? Se si fa attenzione al modo in cui le decisioni prese sono state giustificate, si può chiaramente affermare di no. Non c’è stato nessun cambio di rotta ideologico da parte dei giudici. Per quanto riguarda la prima sentenza, il ragionamento dei giudici è basato su un’interpretazione testuale della legge sui diritti civili del 1964. Le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale possono essere considerate alla stregua di quelle basate sul sesso, e quindi non sono consentite.
Invece, per la sentenza sui Dreamers la questione è ancor meno confusa. I giudici hanno dichiarato la decisione di Trump nulla a causa di problemi procedurali: l’amministrazione non ha fornito giustificazioni adeguate per interrompere il programma DACA. Lo stesso giudice Roberts ha tenuto a sottolineare che il ruolo della corte non è quello di decidere se il programma DACA o il suo annullamento siano delle politiche costruttive o meno. Il suo compito è quello di controllare che tutti i requisiti procedurali siano stati rispettati dalla decisione di annullamento. E così non è stato, a quanto pare.
Dunque, le due sentenze dimostrano che, nonostante l’influenza politica delle nomine presidenziali, non si può considerare la Corte un organo completamente politico. I giudici mantengono la loro libertà di scelta e non basano le decisioni solamente sulle idee politiche, ma soprattutto sul diritto e sulla giurisprudenza. In questo caso, i ragionamenti hanno portato all’adozione di due sentenze più vicine alle idee progressiste. Ciò non vuol dire che la Corte sia diventata progressista. La maggioranza dei giudici rimane conservatrice e le loro idee politiche rimangono immutate.
A dimostrarlo, il fatto che lo scorso 25 giugno sia stata emanata un’altra sentenza che riduce i diritti dei richiedenti asilo. La Corte, con sette voti a favore e due contrari, ha dichiarato che i richiedenti asilo a cui è stata rifiutata la domanda non hanno il diritto di ricorrere in tribunale e possono quindi essere rimpatriati tramite la procedura di espulsione veloce. Nei prossimi mesi, inoltre, la Corte Suprema dovrà lavorare su un’altra questione di non poca importanza. Trump ha chiesto di cancellare la riforma sanitaria di Obama, approvata nel 2010. L’Obamacare, in questi ultimi mesi, ha permesso a migliaia di americani che hanno perso il posto di lavoro di mantenere la loro copertura sanitaria in un momento in cui era particolarmente importante averla.
Dunque, le questioni in gioco sono diverse e saranno tutte al centro del dibattito pubblico americano fino alle elezioni di novembre 2020. Se Trump sperava di poter fondare la sua rielezione sugli ottimi risultati economici ottenuti durante il suo mandato, deve affrettarsi a cambiare i punti della sua campagna elettorale. La gestione della pandemia di coronavirus e della conseguente crisi economica avranno un enorme impatto sull’esito delle elezioni, così come lo avranno i temi sociali. Tuttavia, cinque mesi sono ancora lunghi e la scena politica americana ci ha insegnato a non dare mai nulla per scontato.
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