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L’informazione secondo Rete 4

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Fabiana D'Eramo

Rete 4 era la più piccola e timida delle tre reti Mediaset, originariamente pensata come un magazzino di telenovelas, telefilm e cartoni animati. Ma erano gli anni Ottanta, e Mediaset si chiamava ancora Fininvest. Oggi si respira un’aria diversa all’interno della terza rete in ordine cronologico acquistata da Berlusconi, tant’è che ne ha fatto il centro dell’offerta informativa dell’azienda in piena emergenza coronavirus. A partire da marzo, Mediaset ha concentrato la propria forza giornalistica in sette prime serate su sette di attualità in diretta, consegnando a Rete 4 e ai suoi ambasciatori l’onere e l’onore di «assicurare ai telespettatori un’informazione puntuale, approfondita e completa», come si legge in una nota riportata da Leggo.

Che si tratti dei volti rassicuranti di Barbara Palombelli e Veronica Gentili in Stasera Italia, o del tono drammatico di Gianluigi Nuzzi in Quarto Grado, della calma piatta di Paolo Del Debbio, interrotta saltuariamente con decisione solo quando gli indisciplinati ospiti di Dritto e rovescio si permettono un dissenso nei suoi confronti, o che si tratti invece di qualche zucca spaccata con una mazza tricolore da Mario Giordano in Fuori dal coro – gli ambasciatori di Rete 4 passano in rassegna i temi portanti del quotidiano in forma di emergenze allo stato puro, raccogliendo ascolti a destra e a destra, e ricordano al loro pubblico un semplice messaggio. Noi siamo la gente, gente per bene, e infatti indossiamo una cravatta, ma siamo anche gente che lavora, e infatti siamo indignati. Proprio come voi.

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Mario Giordano in procinto di distruggere delle zucche in segno di protesta contro Halloween durante una puntata di Fuori dal coro.

Dalla parte della gente?

Rete 4 è una rete generalista, il che significa che parla “un po’ a tutti”. Deve però trovare un telespettatore medio. A giudicare dai collegamenti con le piazze – un tòpos ricorrente e trasversale a tutta la programmazione settimanale in prima serata – sembrerebbe averlo trovato nella più o meno reale pancia del Paese. Dal salotto televisivo, il conduttore di turno chiede al proprio inviato di dare voce alla piazza di onesti cittadini italiani, meglio se frustrati e lasciati indietro dalla politica, mentre in sovrimpressione lampeggiano titoli dalla dubbia connessione logica come: «Siamo razzisti perché ci sono troppi immigrati?». Così, approfittando della situazione di disagio vissuta dalla gente che in teoria si vorrebbe difendere, il giornalista scomodo di turno, perfettamente a suo agio, fa polemica contro (quasi) tutta la classe politica esistente, esasperando un malumore già diffuso.

Ma i volti di Rete 4 fanno un passo in più. Non solo si presentano come figure che proteggono, motivano e consigliano la gente, ma si rivolgono a essa come se fossero la stessa cosa. Nuzzi, per esempio, prima di annunciare un servizio su mariti fedifraghi oltre che spesso assassini, chiama i telespettatori «amiche e amici». È evidente che non c’è più alcuna discontinuità percepibile tra giornalista e pubblico. E sulla base di questa prossimità, la trasmissione procede in un regime di interazione basato sulla condivisione di una stessa competenza (o sulla comune mancanza di essa).

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Ambulanti in piazza in collegamento durante una puntata di Dritto e rovescio.

Che lingua parlano?

Lo spettatore, che è un uomo comune, magari un po’ sfortunato ma certamente onesto, viene letteralmente guidato con la mano attraverso percorsi di senso in cui l’elemento critico non tiene il passo quanto quello passionale.

Quarto Grado racconta la cronaca nera come una fiction, passando per le musiche da tragedia insistita, fino a una scenografia di ombre e luci fin troppo suggestiva per il racconto di fatti sanguinari figli della verità. Per non parlare dell’abitudine di condurre pseudo-processi all’interno dello studio. L’interesse pubblico si confonde con la curiosità, le parti subiscono processi paralleli a mezzo stampa e gli spettatori vengono indotti a formarsi un’opinione sulle sentenze, in molti casi intaccando la fiducia dei cittadini nei confronti della giustizia.

Foto dello studio di Quarto Grado.

Fuori dal coro promuove le idee e i contenuti con più alto impatto emotivo, piuttosto che quelli che hanno bisogno di una valutazione più razionale e più tempo per essere compresi. Giordano usa un linguaggio semplice e diretto come se stesse parlando a un pubblico incapace di comprendere la complessità seppur minima, e insiste nell’urlare a pochi centimetri dalla telecamera. Quando può, enfatizza i concetti soffiando nel fischietto o girando per lo studio in monopattino.

Questo, oltre a risultare grottesco, attira facilmente l’attenzione, e costituisce di fatto un effetto emotivo molto forte nei confronti dello spettatore. Tutti piccoli atti di non conformità sociale, trasgressioni senza gravità ma spettacolari, che non ci si aspetta di trovare in una trasmissione giornalistica. Eppure sono lì, a esibire una teatralità sguaiata ed esasperata che non ha alcun effetto, né tantomeno intento, informativo. Anzi, non fa che ledere la chiarezza e la comprensione del fatto raccontato.

Quando ci ricordiamo che si tratta di programmi di informazione

Lo sleale difetto di chiarezza nuoce al pubblico al pari di una notizia falsa. E lo spettatore tipo di Rete 4 è costantemente bombardato da questi subdoli espedienti. Sottintesi, accostamenti suggestionanti, insinuazioni a detrimento della reputazione di un soggetto o di una categoria, toni sproporzionatamente scandalizzati e sdegnati, soprattutto nei titoli o nell’artificiosa drammatizzazione con cui si riferiscono notizie neutre, al solo scopo di indurre gli spettatori a lasciarsi suggestionare.

Insomma, potremmo ridere di tutto questo o al limite chiudere un occhio se solo Mediaset non lo proponesse come esempio di «informazione puntuale, approfondita e completa». E invece qui il grottesco e l’esasperazione passano per una delle possibili alternative di linee editoriali tra cui una testata giornalistica può scegliere, e questo fa un po’ meno ridere.

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Fabiana D'Eramo

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