Il movimento Black Lives Matter sta avendo sempre più risonanza. Dopo la morte di George Floyd e le conseguenti manifestazioni in diverse zone del mondo, l’industria delle serie tv negli USA si è trovata a dover ridiscutere alcune produzioni. Ne è un esempio la celebre Brooklyn Nine-Nine, sitcom poliziesca ambientata in un distretto di polizia di New York. Terry Crews, uno degli attori della serie, in un’intervista ha riportato che i primi episodi dell’ottava stagione sono stati cestinati in seguito agli eventi. Già in passato la serie aveva dimostrando di avere una particolare attenzione per le tematiche per cui il Black Lives Matter si batte. Una di queste è il racial profiling, ovvero quella pratica discriminatoria che vede le forze dell’ordine prendere di mira delle persone per un sospetto basato su razza, etnia, religione od origine nazionale dell’individuo.
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Grazie al dialogo portato in tavola dai recenti avvenimenti, non solo si sta pensando a come sarà la produzione delle prossime stagioni delle varie serie tv già rinnovate, ma si sta riguardando anche a quelle del passato con occhio critico e attento. Sitcom come Community e Scrubs si trovano nell’occhio del ciclone per quanto riguarda la blackface, pratica in cui un attore caucasico si dipinge il volto di nero per assumere le sembianze di una persona afroamericana. In passato questa pratica veniva inscenata nei minstrel show col fine di ridicolizzare gli schiavi afroamericani in maniera caricaturale e attraverso stereotipi fisici. Anche se gli episodi coinvolti facevano uso della blackface, storicamente denigratoria, senza intenzioni negative, le piattaforme streaming (Hulu, Netflix) e l’autore di Scrubs hanno deciso di rimuovere gli episodi in questione.
Nel caso di The Office, la scena in cui uno dei protagonisti incappa nella blackface interpretando Belsnickel – personaggio nero del folklore natalizio tedesco – è stata rimossa mantenendo l’episodio.
Queste notizie hanno causato molte divisioni negli spettatori. Da un lato ci sono persone che, senza distinzioni di contesto, chiedono la rimozione di questi episodi. Dall’altro lato c’è invece un pubblico che sta parlando di censura e di minaccia all’ordine sociale. Per quanto le diverse piattaforme possano agire al fine di ingraziarsi un determinato segmento di pubblico, bisogna sottolineare come, soprattutto in questi ultimi anni, la blackface non sia più una pratica considerata accettabile, anche se contestualizzata. Queste battaglie, che in Italia a molti sembrano immotivate e spesso percepite come lontane dai nostri contesti mediali, negli USA rappresentano una storia che parte già dai tempi della schiavitù e che è intrisa di crudeltà.
Un altro argomento discusso riguarda il doppiaggio delle serie tv animate. Nel mirino ci sono sia i grandi classici, come i Simpson e i Griffin, ma anche nuove glorie, come BoJack Horseman (caso eccezionale perché Diane Nguyen, personaggio della serie, è vietnamita-americana), Central Park e Big Mouth. Il doppiaggio dei personaggi non bianchi è stato da sempre appannaggio di professionisti bianchi. Molte produzioni stanno parlando di ridoppiare i prodotti, oppure cambiare il doppiaggio a partire dalle prossime stagioni. Jenny Slate e Kristen Bell, celebri attrici coinvolte nel doppiaggio, attraverso i loro profili Instagram si sono scusate per non aver riconosciuto il loro privilegio. Hanno chiesto di non prendere parte nei lavori di doppiaggio dei prodotti in questione o che professionisti non bianchi li rifacciano.
Molte persone esprimono online il loro malcontento riguardo a questi provvedimenti. Secondo loro, dirottano l’attenzione su problematiche futili, conseguenti a scelte di mercato. Queste discussioni sono state bollate anche come “dittatura del politicamente corretto”, soprattutto da quella frangia di utenti che intende screditare il movimento Black Lives Matter nella sua complessità.
Le serie tv, come tutti i prodotti mediali del Web 2.0, vivono in un’economia fondata sulla reputazione, nella misura in cui la reputazione, bene immateriale, si traduce in opportunità economica. Concretamente, Netflix ha contribuito molto alla causa Black Lives Matter, con ingenti donazioni al movimento e a settori coordinati da persone afroamericane. Ha anche inserito nel catalogo una sezione apposita per diffondere prodotti mediali, come serie tv, documentari, film e stand up comedy, realizzati o interpretati da persone afroamericane.
Ma è ancora più importante sottolineare che, dopo la morte di George Floyd, Netflix ha preso una posizione sui suoi account social ufficiali. Ciò genera un ritorno economico dato dalle persone che manterranno la propria iscrizione alla piattaforma e fruiranno delle varie produzioni. Netflix rimane una piattaforma molto attenta alla rappresentazione della diversità e all’inclusione, sviluppando dei prodotti che si possono definire game changing rispetto a quelli tradizionalmente visibili nelle emittenti televisive americane. Questa linea si mantiene ampiamente, come visto in precedenza, attraverso le sedi social di Netflix. Grazie a strategie di cross promotion e di tone of voice diretto e informale con gli utenti, si enfatizzano i messaggi che la piattaforma vuole ribadire tramite il catalogo proposto.
L’inclusione e la rappresentazione della diversità sono elementi imprescindibili in un’industria del livello di quella statunitense, soprattutto in un periodo dove gli utenti di riferimento sono sempre più giovani. Avendo la capacità di padroneggiare linguaggi mediali e nutrendo aspettative sempre più alte dalle proposte del web, gli utenti aumentano la probabilità di coinvolgere i prodotti (o i professionisti dello spettacolo) nella dimensione della cancel culture. La cancel culture è quel fenomeno sociale per cui una persona o un prodotto divengono oggetto di pubbliche manifestazioni di ostilità, dissenso e forte ostracismo mirato a eliminarne la presenza mediatica dai social media o a danneggiarne la reputazione anche nel mondo offline.
Di conseguenza, gli utenti nel concreto creano azioni di boicottaggio. Spesso si vedono petizioni, molto partecipate, volte a far rimuovere puntate o interi show dai palinsesti online o televisivi. Oppure quando, in seguito ad un avvenimento, si creano hashtag su Twitter che arrivano fino ai trend topic globali, portando avanti conversazioni che iniziano anche a spostarsi da un medium a un altro.
Ci sono molte chiavi di lettura per spiegare gli interessi a rimuovere, rieditare o ridoppiare dei prodotti. Bisogna guardare con lucidità al passato controverso, razzista e non inclusivo di una Hollywood che oggi si sta risvegliando progressista nell’era di Trump e nelle contraddizioni della vita politica del Paese.
La rivalutazione di grandi serie tv non farà scomparire ciò che di positivo esse hanno dato alla televisione. Anzi, contribuirà all’ottenimento di un futuro più inclusivo.
Questo futuro, che le generazioni di oggi chiedono, prevede una discussione attiva su tematiche che in passato non venivano considerate. Si sente con estrema urgenza l’importanza di parlare di inclusività e di rappresentazione positiva nelle serie tv. Soprattutto quando chi fa opposizione al politicamente corretto non ha consapevolezza del proprio privilegio e non vuole vedere crollare quei muri che separavano dal cambiamento.
La rimozione e il ridoppiaggio delle serie tv non influiscono sul valore delle istanze per cui il Black Lives Matter sta lottando. Questo evento fa aprire una discussione su come industrie di massa, come quella seriale, si siano prestate per molto tempo a visioni etnocentriche. Il lavoro politico di decostruzione del razzismo sistemico non può essere delegato solo alle istanze mediali.
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