La telenovela dell’estate rossonera 2020 è targata Ralf Rangnick. Le testate sportive più autorevoli hanno già iniziato ad analizzare il mercato del Milan in virtù delle scelte del tedesco. Nello stesso tempo si discute circa la permanenza dei giocatori attualmente in rosa in funzione delle sue idee tattiche. Tutto come se l’accordo tra le parti fosse cosa fatta.
Intanto il Milan ha smentito le voci circa l’ufficialità del suo arrivo che erano trapelate a inizio mese di luglio e che davano l’affare concluso.
Rimane ancora qualche dubbio, dunque, ma tutte le indicazioni sembrano portare a una rivoluzione (l’ennesima) che investirebbe il Milan sia a livello dirigenziale che sotto l’aspetto della guida tecnica.
È proprio questo l’aspetto principale di quella che sembra la prossima scelta della società di via Aldo Rossi. L’idea è tentare di percorrere una strada nuova: un manager all’inglese. Il sessantaduenne, infatti, ricoprirebbe non solo il ruolo di allenatore, ma anche quello di uomo chiave sul mercato, con pieni poteri e un’autonomia cui, in Italia, non si è abituati.
Perché il Milan avrebbe deciso di affidare una tale responsabilità a un solo uomo? A livello dirigenziale le ultime annate sono state contraddistinte da gestioni che hanno fatto discutere e che non hanno soddisfatto la proprietà, visti gli epiloghi negativi che si sono ripetuti in serie per i vari Marco Fassone, Massimiliano Mirabelli e, più recentemente, Zvominir Boban.
Per quanto concerne la guida tecnica, si è assistito a una girandola di allenatori che ha portato, solo in questa stagione, all’avvicendamento tra Giampaolo e Pioli. Quest’ultimo nella fase successiva al blocco del Campionato sembra iniziare a trovare gli uomini e gli equilibri giusti. Ma basterà a convincere Gazidis e il resto della società a confermarlo e a non percorrere la strada che porta al tedesco?
Se il passato da centrocampista non ha garantito a Ralf Rangnick fama e grandi soddisfazioni, lo stesso non si può dire per la successiva carriera da allenatore e dirigente sportivo.
Tra le esperienze più importanti come allenatore quelle allo Stoccarda, all’Hoffenheim e allo Shalke 04. Proprio nella sua seconda esperienza allo Shalke (la prima era terminata con un esonero nel 2005) Rangnick sembra dire basta nel settembre 2011, dimettendosi dall’incarico per una sindrome da esaurimento.
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La sua nuova vita calcistica ricomincia nel 2012 con la Red Bull. Rangnick diventa dirigente sortivo sia del Salisburgo che del RB Lipsia. La sua ascesa lo ha portato, attualmente, a ricoprire il ruolo di head of sport and development soccer dell’intero gruppo Red Bull. In mezzo, nel 2015/2016 e nel 2018/2019, due stagioni da allenatore proprio al Red Bull Lipsia con cui arriva terzo in Bundesliga e in finale di Coppa di Germania (uscendo sconfitto dal Bayern Monaco).
Il tutto tenendo sempre focalizzando l’obiettivo di casa Red Bull: portare in alto piccole società, scovando giovani giocatori e facendoli diventare prospetti di livello e, soprattutto, plusvalenze non da poco. Fanno parte della schiera dei giocatori passati per le sue mani i vari Werner, Haaland, Firmino, Mané e Keita. E la lista comprende solo i giocatori più famosi e affermati.
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Ai dati oggettivi occorre, poi, aggiungere le impressioni da parte di colleghi e addetti ai lavori. Jürgen Klinsmann si è espresso positivamente: «Come soprannome lo chiamano “professore” perché insegna sempre. È da un lato una sorta di architetto e dall’altro un allenatore che vuole sempre fare tutto in modo perfetto. Quando le cose non vanno come vuole, comincia ad arrabbiarsi con sé stesso». Tra gli altri, Ariedo Braida (vecchia conoscenza dei rossoneri) lo ha definito una «figura di tutto rispetto» e ancora «un innovatore che ama lavorare con i giovani».
Professionista di livello con un buon curriculum e pareri incoraggianti da parte di chi vive e conosce il calcio. Questo basterà per riuscire a trasferire il modello Red Bull in Italia? Sarà sufficiente in un ambiente carico di aspettative e con un recente passato avaro di soddisfazioni come quello rossonero?
A destare maggiori preoccupazione è il Rangnick allenatore. Escluse le due stagioni a Lipsia, l’ultima stagione in cui ha allenato è stata quella allo Shalke 04, che si è conclusa frettolosamente a causa di problemi di gestione dello stress lavorativo. Da questo punto di vista l’Italia non è certo un banco di prova tenero: pressioni, piazza calda, risultati attesi nel brevissimo termine.
A ciò occorre aggiungere che la carriera da allenatore è stata svolta interamente in Germania e senza dei veri e propri acuti. I momenti migliori Rangnick li ha vissuti, però, riportando in auge squadre in difficoltà, cadute nella spirale nella seconda divisione tedesca o, addirittura, prendendo squadre create da zero con il solo scopo di renderle produttive, nel senso più aziendalistico del termine. Non è forse ciò che il gruppo Elliott vorrebbe?
Questo porta a sottolineare i punti di forza del professore tedesco, con particolare riguardo al suo occhio clinico e, appunto, aziendalista. Rangnik è un talento nello scovare giovani calciatori. Non mancano esempi recenti di acquisti poco onerosi diventati, poi, protagonisti in campo e sogno per le squadre di tutta Europa.
Il Milan ha sicuramente bisogno da questo punto di vista di un ritorno al passato. Al Milan serve un dirigente capace e con esperienza, abile a scovare giocatori con ottimo potenziale, ma senza necessariamente depauperare le risorse economiche societarie. La storia e l’appeal rossonere sicuramente aiuteranno ad attirare i giocatori. Ma non solo.
In caso di progetto vincente, infatti, quello che il Milan rappresenta sarà motivo per evitare la diaspora dei talenti. Si potrà, così, formare la giusta ossatura per riportare la squadra ai livelli che merita. Al Milan servono altre operazioni alla Theo Hernandez: Rangnick sembra essere il profilo ideale per riuscire nell’impresa.
Il ruolo di factotum creerà problemi al tedesco? Tutto dipenderà dalla serietà della società nell’affidare i ruoli e le gerarchie. Sicuramente dopo l’ennesima (eventuale) ripartenza da zero, è obbligatorio avere fiducia nel progetto e non avere fretta di vedere risultati immediati.
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