Nato nell’anno degli scioperi per il clima, il governo Conte II si era presentato come paladino della transizione ecologica. «Obiettivo primario del Governo sarà la realizzazione di un Green New Deal» aveva dichiarato il premier chiedendo la fiducia alle camere, conscio del fatto che la questione ambientale stesse a cuore trasversalmente agli elettorati di tutti gli attori della nuova maggioranza – PD, M5S, Leu.
A quasi un anno di distanza da quel discorso, è il momento di tirare le somme su quanto è stato fatto nelle politiche di contrasto al riscaldamento globale e quanto, invece, rimane ancora da fare. Secondo l’IPPC (Intergovernmental Panel on Climate Change), il massimo organo scientifico mondiale nel campo del clima, serve «uno sforzo senza precedenti» da parte di governi e privati per evitare le più gravi conseguenze delle emissioni indiscriminate: innalzamento del livello dei mari, eventi meteorologici estremi, desertificazione di ampie zone del pianeta, scarsità di risorse idriche, conflitti e migrazioni di massa.
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Nonostante il nome, il primo atto dell’esecutivo sul tema ha fatto parlare ben poco di sé. Il Decreto Clima – così lo ha battezzato il Ministro dell’Ambiente Sergio Costa – si è limitato a finanziare nuovi incentivi per la rottamazione dei mezzi inquinanti e a mettere a disposizione degli enti locali fondi per progetti green di vario tipo. Misure volte più a ridurre lo smog cittadino e l’inquinamento da plastica che a limitare le emissioni climalteranti.
Più corpose sono invece alcune proposte presentate negli ultimi mesi.
L’ecobonus, o bonus 110%, è stato approvato a giugno nell’ambito delle misure per la ripresa post-Covid. Permette di realizzare interventi di isolamento termico e sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale in funzione ecologica con un contributo statale pari al 110% del costo totale, contributo erogato sotto forma di sgravio fiscale. Nelle intenzioni dei proponenti, il bonus dovrebbe essere attraente anche per chi non ha la stabilità economica necessaria per aspettare il graduale rimborso. È possibile, infatti, cedere gli sgravi garantiti dal bonus all’azienda realizzatrice, portando così a zero i costi per il privato cittadino. L’azienda, se lo vorrà, potrà a sua volta cederlo a una banca, che le darà in cambio la somma liquida, trattenendo solo una piccola percentuale. L’idea è quella di abbattere i costi in bolletta, rilanciare il settore edilizio senza consumare nuovo suolo e, soprattutto, ridurre i consumi (e quindi le emissioni) delle abitazioni. Già esistevano bonus simili, ma nessuno era mai arrivato a coprire la totalità e oltre della spesa necessaria alla ristrutturazione.
Principio simile per il Bonus Mobilità – saltato agli onori della cronaca per lo sketch critico del giornalista Mario Giordano – approvato in contemporanea all’Ecobonus. Permette di chiedere un contributo per l’acquisto di un mezzo di mobilità sostenibile – quindi bici o monopattino, sia tradizionale sia elettrico – pari al 60% del costo totale, fino a un massimo di cinquecento euro. Lo stanziamento per questa iniziativa è di centonovanta milioni di euro, ma è possibile richiederlo solo se residenti in città con più di cinquantamila abitanti.
Ultimo ma non da ultimo è il cosiddetto Reddito Energetico. Fortemente voluto, così come l’Ecobonus, dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Riccardo Fraccaro, è già stato sperimentato in forma simile in Puglia e nel piccolo comune sardo di Porto Torres. Lo Stato – se il provvedimento verrà approvato – installerà gratuitamente pannelli fotovoltaici sulle abitazioni di famiglie a basso reddito, permettendo loro così di abbattere le emissioni, risparmiare in bolletta e addirittura guadagnare dall’energia in eccesso che può essere rivenduta alla rete. Una misura volta al contempo a contrastare la crisi climatica e la povertà. Lo stanziamento previsto è di duecento milioni di euro.
«Era ora qualcuno iniziasse a parlare di clima» ci dice Giovanni Mori, ingegnere ambientale e volto di punta di Fridays For Future Italia. «L’Ecobonus mette tutti d’accordo: climatologi, operai, privati cittadini. E, anche se non lo sanno, è un tipico provvedimento da decrescita felice: inevitabilmente porterà a una diminuzione del PIL nel lungo periodo, ma abbatte emissioni e bollette. Anche il Reddito Energetico è un’ottima idea! Tra l’altro, permette di affrontare quel tema enorme che è la povertà energetica. Qualcosa come cento milioni di persone in Unione Europea faticano a pagare le bollette, e sperimentazioni di questo genere possono aiutare a risolvere».
Più critico è invece il giudizio sul Bonus ;obilità: «Benissimo i finanziamenti a bici, monopattini e auto elettriche, ma è una follia che siano stati confermati anche gli sgravi agli Euro 6 [macchine a benzina, N.d.R.]. Nemmeno in Germania, dove l’industria dell’auto è potentissima, son state fatte scelte simili. Segno che quell’ormai ex azienda italiana che è la FIAT conta ancora molto a Roma».
Sulla stessa linea d’onda Luca Iacoboni, economista ambientale e responsabile del settore Clima & Energia di Greenpeace Italia. «Non abbiamo ancora analizzato nei dettagli l’Ecobonus, ma ci sembra in linea di principio più che condivisibile. Restano alcune sbavature – penso per esempio ai sussidi alle caldaie a gas – ma la direzione è quella giusta. Stesso discorso per il Reddito Energetico, che è una nostra storica richiesta e siamo contenti diventi ora iniziativa di governo. Resta, però, un gigantesco problema di proporzioni. I duecento milioni stanziati sono infinitamente pochi, servirebbe tutt’altro budget per sperare in effetti significativi sulla povertà relativa e sulle emissioni».
Anche per Iacoboni rimane più sfumato il giudizio sul Bonus Mobilità: «L’obiettivo di questa iniziativa era ridurre il traffico urbano più che le emissioni, e in quest’ottica ci sembra assolutamente azzeccato. Ma la mobilità sostenibile in senso ampio non significa solo bici e monopattini. Bisogna investire massicciamente sul trasporto pubblico, elettrificare i consumi, creare sistemi di car sharing anche comunali e non solo privati. Anche in questo caso, poi, registriamo alcune follie, come l’incentivo per gli Euro 6».
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Quando allarghiamo lo sguardo all’operato generale del governo, tuttavia, i pareri si fanno molto più duri. «Impossibile dare un voto a questo esecutivo che non sia gravemente insufficiente» ci dice Mori. «Diciamo che lo rimandiamo a settembre, nel senso che speriamo in buone nuove da Recovery Fund e ripresa post-Covid. Ma il Decreto Clima di Costa è semplicemente imbarazzante, e restano gli scandalosi sussidi ai combustibili fossili. Parliamo di diciotto miliardi l’anno, molto più di quanto non si spenda in tutte le politiche green di cui abbiamo parlato».
«Una piccola mano si impegna in provvedimenti verdi come quelli sopra elencati» continua Iacoboni, «e un’altra ben più larga e generosa continua a dare soldi a combustibili fossili, allevamenti intensivi e progetti inquinanti. Queste misure sarebbero state adeguate trent’anni fa, ora siamo in piena emergenza e bisogna andare molto, molto oltre».
Ma in cosa l’esecutivo continua a sbagliare? Le risposte sono unanimi.
«Innanzitutto è gravissima la conferma di Descalzi come Amministratore Delegato di ENI» ci dice Iacoboni. «Parliamo del manager di un’azienda di Stato che continua a investire in trivellazioni e petrolio».
«Restano i sussidi ambientalmente dannosi» aggiunge Mori, «e il PNIEC (Piano Nazionale Integrato Energia e Clima), che investe sul gas fossile invece che sulle rinnovabili. Parlano di Green New Deal e intanto confermano TAP, dorsale adriatica e metanizzazione della Sardegna. La strada, insomma, è ancora lunga. Ma di tempo, ce lo dice la scienza, non ne abbiamo più».
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