L’Italia ha avuto altri leader non propriamente appartenenti al mondo della politica in tempi recenti: Dini, Ciampi, Monti. Tutti con non più di un solo mandato, seppure entrati in carica con un curriculum più illustre di quello di Giuseppe Conte. Il capo dell’esecutivo era uno sconosciuto professore di legge quando, nel 2018, è stato traghettato dal Movimento Cinque Stelle alla guida del suo primo governo. Era ancora un anonimo premier – ma al secondo mandato – quando si è ritrovato a gestire uno dei peggiori focolai da coronavirus del mondo.
Con la morte di decine di migliaia di persone e l’economia in rovina, Conte ha registrato il 71% dei consensi da parte degli italiani, come testimonia il sondaggio condotto da Demos pubblicato su la Repubblica. In questi stessi giorni, dopo l’accordo sul Recovery Fund siglato a Bruxelles, il Parlamento lo riaccoglie con un lungo applauso. Al termine del suo intervento in Senato ringrazia e torna a sedersi, mentre una lunga standing ovation conferma che per il pacato leader, a lungo oscurato dai suoi ministri, qualcosa è cambiato.
La strategia di Giuseppe Conte per combattere il coronavirus
Oggi più che mai abbiamo bisogno di una leadership forte ed efficace per superare la crisi che si srotola in un’unica enorme massa infetta da un lato all’altro del globo. Mentre la pandemia ha raccolto vittime e seminato paura, i leader di tutto il mondo sono stati messi alla prova. Alcuni non sono stati all’altezza. Ora è chiaro che gli sforzi della Cina per nascondere l’epidemia, o quelli di Trump e Bolsonaro per minimizzarla, si sono rivelati disastrosi.
Altri leader invece hanno guadagnato fiducia e popolarità, dimostrando risolutezza, coraggio, empatia e attenuando così l’impatto psicologico della malattia sulla gente. Soprattutto in Europa. Un’altra storia rispetto alle precedenti crisi, economica prima e migratoria poi. L’emergenza coronavirus ha creato una situazione senza precedenti in cui tutti i governi europei hanno simultaneamente guadagnato la fiducia degli elettori.
Giuseppe Conte è l’esempio lampante di questo fenomeno. Il sondaggio condotto da Demos dimostra che il gradimento del premier è cresciuto del 19% da febbraio e che il 71% degli intervistati ha un giudizio positivo sul governo, dato mai registrato negli ultimi dieci anni. The Economist lo incorona leader dopo un lungo periodo da «controfigura». Il New York Times si chiede perché Trump non abbia seguito il suo esempio («per quanto riguarda la gestione del coronavirus, il malato d’Europa fa vergognare l’America»). In un altro editoriale, lo stesso Times spiega che i leader che hanno guadagnato il rispetto e l’attenzione della loro gente durante la crisi da coronavirus condividono alcuni tratti, quali la capacità di agire in modo rapido e coraggioso, la trasparenza nei messaggi, il rispetto per la scienza e la pronta garanzia del sostegno finanziario.
Che l’ultimo elemento non appartenga decisamente al caso italiano è un fatto, ma è altrettanto innegabile che la strategia di Conte contro il coronavirus sia stata poi presa a modello dal resto d’Europa. Nonostante l’Italia sia stato il Paese europeo più colpito dalla pandemia – e tolto anche (qualche) scivolone sulla strategia di comunicazione del governo, tra ritardi e dirette facebook – Conte ha vinto il rispetto della gente ordinando misure severe ma promettendo che lo Stato si sarebbe preso cura delle persone. In più, è nella natura umana cercare di raggiungere o mantenere una condizione di equilibrio in cui sicurezza, stabilità e controllo sono la norma. Credere che il leader in carica abbia la situazione in pugno aiuta a soddisfare quel bisogno di equilibrio.
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L’opposizione a Salvini
Ma prima della pandemia, e prima dell’impennata dei consensi, fu Matteo Salvini a svegliare Conte dal suo torpore. Sembra una vita fa, ma era solo l’estate scorsa quando la vecchia coalizione di accaniti partiti anti-establishment si frantumava, sciogliendo il breve sodalizio M5S-Lega e rigettando Salvini all’opposizione. Con un lungo discorso in Senato, e una mano sulla sua spalla, Conte demoliva Salvini come se non avessero governato insieme nei quattordici mesi precedenti. È forse quello il momento della rinascita di Conte, che poco sembrava contare nel primo governo che portava il suo nome. Guy Verhofstadt, al Parlamento Europeo, lo aveva addirittura definito il «burattino di Salvini e Di Maio».
A capo del suo secondo governo, stavolta al fianco del Partito Democratico, liberatosi del suo vice leghista, Conte appare invece un personaggio meglio delineato. Guadagna punti, forse, solo per essere l’unica opposizione forte a Salvini. Opposizione che si è fatta man mano più decisa nei mesi di quarantena, soprattutto quando ha accusato Giorgia Meloni e il leader della Lega di diffondere «irresponsabilmente» menzogne.
La linea europeista
Lasciatosi alle spalle il nazionalismo e il fervore anti-immigrazione della Lega, Conte è riuscito a riportare l’Italia su binari moderati, spingendo a favore di una linea più europeista. La linea che durante la pandemia ha pagato di più un po’ in tutta l’Unione, mentre i partiti populisti o estremisti hanno perso popolarità.
Con l’accordo sul Recovery Fund siglato a Bruxelles dopo giorni di negoziati, Conte non porta a casa solo 200 miliardi per affrontare la crisi. Porta anche una vittoria diplomatica, frutto della propria calma ma decisa capacità di dialogo e negoziazione. La crisi da Covid-19 è, in parte, la conseguenza di un mondo globalizzato. Questa stessa interdipendenza, soprattutto in UE, è anche la promessa di combattere la pandemia insieme. Clausola che, ai partiti anti-europeisti, è sfuggita. A Conte no. E nella società globalizzata, interdipendente e dai confini nazionali almeno parzialmente erosi, capire questo è un passo fondamentale per essere un buon leader. E forse la nuova popolarità di una figura come Conte non è che il sintomo di una malattia che, assieme al coronavirus, sta lentamente indebolendo un tipo di leadership che in questa società connessa non vuole scendere a patti.