La scorsa settimana si è concluso un accordo storico in sede europea: il Consiglio Europeo ha accolto, apportando alcune modifiche, il piano della Commissione Europea che su impulso di Francia e Germania aveva creato un piano di emissione del debito europeo per un totale di 750 miliardi di euro. Raggiungere un accordo non è però stato facile, in quanto le preferenze degli attori in gioco erano diverse e spesso divergenti. Sebbene la negoziazione sia un’arte fluida e non è semplice ridurre le posizioni dei giocatori a rigidi schieramenti, si è parlato della formazione di due fazioni effettivamente contrapposte. Da una parte i paesi più grandi (Francia, Germania) che in alcuni casi erano anche quelli che più avrebbero guadagnato dal piano (Italia, Spagna), favorevoli alla realizzazione del piano come proposto dalla Commissione. Dall’altra un gruppetto di cosiddetti “frugali”, composto da piccoli paesi (Austria, Paesi Bassi, Danimarca e Finlandia, ricordiamo che il piano per passare aveva bisogno dell’unanimità) che sostenevano la necessità di rivedere al ribasso l’entità del piano o quantomeno di inserire delle condizionalità e dei controlli pesanti sull’utilizzo dei fondi, fino ad arrivare al diritto di veto concesso ai singoli stati sulla concessione dei fondi. Fondamentalmente, questi ultimi chiedevano più rigore.
La condizione italiana di necessità di accedere a credito a basso interesse e addirittura a soldi a fondo perduto, è conseguente, tra gli altri motivi, all’alto livello di indebitamento che il paese sopporta. La richiesta dei paesi detti frugali, che chiameremo qui, era che i fondi fossero soggetti ad uno stretto controllo sulla destinazione d’uso, e fossero più possibile sotto forma di prestito: queste pretese erano portate avanti per evitare che paesi storicamente indebitati come l’Italia, abituati a spese poco redditizie, stanziate su spese una tantum più che su investimenti strategici, paesi che quindi poco attenti alla stabilità dei conti pubblici, utilizzassero questo denaro in maniera dissoluta, allontanando l’obiettivo di una stabilità di bilancio comune che è necessaria all’integrazione europea.
Nel frattempo, a proposito di rigore, mentre in Europa i vari campionati di calcio ancora in corso si avviavano alla conclusione la Serie A faceva i conti con statistiche quantomeno singolari. Tra tutti i principali campionati europei, la Serie A è stato quello dove sono stati assegnati più calci di rigore, molti in più della media. Se guardiamo ai principali campionati europei, Premier League, Ligue 1, Bundesliga e Liga e teniamo fuori la Serie A, vengono assegnati in media 0,29 rigori a partita. La Serie A da sola alza a 0,33 questa media, in quanto in Italia sono 0,48 i rigori assegnati in media a partita. Se teniamo in considerazione anche l’Eredivisie olandese e la Liga Nos portoghese, i calci di rigore assegnati oscillano tra gli 0,2 e gli 0,4 a partita. Il motivo di questa anomalia italiana è facilmente intuibile: se avete seguito un po’ di calcio vi sarete resi conto che in Italia vengono fischiati moltissimi rigori per fallo di mano. Questo campionato è il primo che si svolge con la nuova regola per il fallo di mano, che era stata inserita per ridurre le variabili soggettive e nell’assegnazione della punizione, ma in Italia l’interpretazione della regola ha causato più polemiche e incomprensioni di quelle che doveva risolvere. Del resto, la nuova regola in vigore del 2019-20 rende la volontarietà, che precedentemente era un presupposto necessario per fischiare, una semplice fattispecie tra le diverse che configurano un’infrazione. Questo intervento era volto a ridurre l’elemento soggettivo nella scelta degli arbitri, che dovevano valutare volta per volta la volontarietà, e introdurre criteri più oggettivi, come la posizione delle braccia sopra la le spalle e la “posizione innaturale”.
È nella definizione pratica di posizione innaturale che però il calcio italiano ha trovato più difficoltà, col risultato di assegnare moltissimi rigori, che, pur essendo legittimi a rigor di regolamento, spesso derivano da episodi che nessuno, nemmeno i calciatori in campo, avrebbe considerato diversi da semplici dinamiche di gioco.
Mentre nel calcio italiano si susseguivano partite in cui il rigore sui calci di rigore era inflessibile, l’Italia si trovava in prima fila per convincere i tavoli europei a rivedere il loro rigore in tema di rispetto dei bilanci e condizioni per l’accesso ai fondi provenienti dal debito europeo.
Che esista un qualche ironico legame tra rigore economico e assegnazione dei calci di rigore, un ironico legame tra rigore e rigori? Abbiamo creato un semplice grafico che confronta i paesi utilizzando le due variabili seguenti
• Calci di rigore assegnati per partita (dati Transfermarkt)
• Debito pubblico in percentuale al PIL (dati Eurostat 2019)
il grafico risultante è il seguente (i pallini rossi indicano i paesi rigoristi, mentre i pallini verdi indicano i paesi favorevoli al Recovery Fund).
Sebbene si noti come esista una leggerissima correlazione tra i rigori assegnati a partita e il debito pubblico del paese che ospita il campionato, è evidente che questa è dovuta quasi interamente ai dati dell’Italia. Ci si poteva aspettare che tra rigore e rigori non ci fosse alcun legame – ovviamente – ma questa ironica analisi ci mostra che su entrambe le assi, su entrambi i temi, chiaramente scollegati, l’Italia è un outlier, rappresenta una sorta di anomalia. Sulla stabilità economica e sull’interpretazione dei falli di mano – quindi sul rigore generalmente, l’Italia dovrà lavorare.
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