Sono passati quarant’anni dal 2 agosto 1980, quando alle ore 10:25 una bomba contenuta in una valigia abbandonata esplode nella sala d’aspetto della Stazione Centrale di Bologna.
Si tratta di uno degli atti terroristici più gravi nella storia italiana del secondo dopoguerra, passato alla storia come strage di Bologna. A causa dell’esplosione crolla un’intera area della stazione, che investe il treno Ancona-Chiasso, fermo al primo binario e il parcheggio dei taxi antistante all’edificio. I morti sono ottantacinque, oltre duecento i feriti.
Da allora, sulla strage, non è stata fatta pienamente chiarezza: restano ancora ignoti i mandanti. Nel 1995 sono condannati all’ergastolo, in qualità di esecutori dell’attentato, i neofascisti dei NAR (Nuclei Armati Rivoluzionari) Valerio Giuseppe Fioravanti e Francesca Mambro. Per il depistaggio delle indagini vengono condannati a dieci anni Licio Gelli, l’ex agente del SISMI (Servizio Informazioni e Sicurezza Militare) Francesco Pazienza, il colonnello Giuseppe Belmonte e il generale Pietro Musumeci. Nel 2007 viene condannato a trent’anni anche Luigi Ciavardini, minorenne all’epoca dei fatti, per l’esecuzione della strage.
Ad oggi i processi non sono ancora conclusi: grazie ai documenti presentati alla procura di Bologna dai legali dell’Associazione tra i Familiari delle Vittime della Strage della Stazione di Bologna del 2 Agosto 1980 sono state riaperte le inchieste.
Nuovi scenari potrebbero aprirsi su questa triste pagina di storia.
Oggi, nel quarantennale di quel tragico giorno, theWise Magazine ha incontrato Pietro Castellina, per gli amici Pierino, classe 1933, che quel giorno stava svolgendo il suo mestiere di tassista fuori dalla stazione di Bologna.
«Cosa stava facendo al momento dello scoppio?»
«Al momento dello scoppio mi trovavo a fianco della mia macchina. Avevo appena portato un cliente in stazione ed ero in piedi fuori dalla vettura, sul lato del guidatore intento a leggere sul giornale la cronaca sportiva. Sai la passione che ho per lo sport… Lo spostamento d’aria mi ha letteralmente scaraventato e un muro è crollato sul mio taxi, che mi ha riparato un po’ dalle macerie».
«Ha capito subito che si trattava di un attentato o credeva fosse uno scoppio dovuto ad altro?»
«Per dire la verità non avevo capito niente di niente e sotto le macerie avevo perso anche la concezione del tempo. È stato uno spostamento d’aria enorme, non potevo fare alcun tipo di pensiero. Sotto le macerie sono però rimasto sveglio».
«Come ha reagito quando ha scoperto che si era trattato di un attentato?»
«All’ospedale ho sentito che si parlava di una caldaia scoppiata, ma non ero molto sicuro. Per fare un disastro così, chissà che caldaia doveva essere! All’ospedale si pensava solamente alle persone ferite, a come poterle salvare. Nessuno ipotizzava si potesse trattare di un attentato. Le notizie precise ci furono date solamente nei giorni successivi. Ero senza parole».
«In un mondo senza internet né cellulari, come ha funzionato la macchina dei soccorsi?»
«Sarò sincero: il popolo è stato meraviglioso. Ha fatto una catena umana per bloccare il traffico, in modo da lasciar passare liberamente le automobili che trasportavano feriti verso l’ospedale e i mezzi di soccorso. Gli incroci erano tutti protetti dalla gente. I miei colleghi tassisti che non sono rimasti feriti nell’esplosione si sono prestati enormemente, come tutti del resto, per cercare di portare all’ospedale i feriti e i loro famigliari. Oltre duecento feriti e ottantacinque morti, sai com’è…».
«Come ha reagito la sua famiglia a questa tragica notizia?»
«Le notizie non arrivavano. Eravamo gente comune in attesa di essere curati. Devo dire che siamo stati molto protetti dal popolo».
«Come è andata avanti la sua vita? Ha mai più ripreso un treno?»
«Io sono stato a casa due mesi prima di riprendere a lavorare, ma non appena ho avuto la possibilità di avere un altro taxi ho continuato a fare il tassista. Quello era il mio lavoro. Di treni ne ho sempre presi pochi, perché non ne ho mai avuto bisogno, mentre in stazione ci sono sempre ritornato per motivi di lavoro!»
«Come hanno percepito questo evento i bolognesi nei mesi successivi?»
«Politicamente non so niente, non mi interessa. Ricordo però che la gente era incredula e senza parole. Ci si interrogava solo su chi potesse essere stato a compiere un gesto così disumano. È interessante vedere come oggi invece se ne parli poco: soprattutto i giovani non ne sanno niente, la gente legge notizie, ascolta, ma sempre in modo superficiale. Non si interessa».
«In che modo la Co.Ta.Bo ha contribuito a ricordare il 2 agosto 1980?»
«La Co.Ta.Bo. [Cooperativa Tassisti Bolognesi, N.d.R.] ha protetto tutto il parco delle macchine distrutte, circa una ventina, fra cui la mia. La cooperativa è stata brava e onesta. Ogni anno le espone in ricordo di quella tragica giornata. Vi è inoltre un monumento che rimane fisso, nella sede principale della cooperativa.
Questa è una delle iniziative che si aggiunge alle altre numerose che propone il Comune di Bologna ogni anno.»