«Sono solo mele marce», oppure «I nostri angeli in divisa». Frasi che capita spesso di sentire quando a essere protagonisti delle infauste cronache nazionali sono i rappresentanti delle Forze dell’Ordine, in particolare Polizia e Carabinieri. Frasi che minimizzano la questione o che santificano ingiustificatamente coloro che dovrebbero, per lavoro, mantenere l’ordine e proteggere i cittadini e che invece, troppo spesso, si rendono protagonisti di reati di varia natura, abusi di potere, quando non di vera e propria tortura.
È di questi giorni la notizia dello scandalo della caserma di Piacenza, travolta da una vera slavina di accuse che vanno dal traffico di droga allo sfruttamento della prostituzione fino al reato più grave, quello di tortura, per aver picchiato alcuni spacciatori e ordinari cittadini ingiustamente arrestati. È passato piuttosto in sordina il caso di un ragazzo di Venezia che sarebbe stato manganellato da alcuni carabinieri per aver rivolto loro una battuta sul caso di Piacenza (l’Arma sostiene di essere in possesso di un video che smentirebbe le accuse). Ma è una cartina di tornasole che ci fa capire che l’alibi delle “mele marce” è, per l’appunto, solo un alibi che nasconde una realtà molto più scomoda.
Ovvero che nel nostro Paese il sistema delle Forze dell’Ordine sembrerebbe essere profondamente problematico ed esposto a difficoltà di gestione. Dovrebbe essere in primis un dovere di quegli esponenti non corrotti e integerrimi fare chiarezza e pulizia su tutti i livelli.
D’altra parte, per una buona fetta di popolazione che non ha alcuna fiducia nelle Forze dell’Ordine, ce n’è altrettanta che ne ha fin troppa, al punto da negare o minimizzare gli abusi compiuti da Polizia e Carabinieri. La narrazione dell’eroe, di cui abbiamo avuto una vera e propria indigestione nel periodo della quarantena («I nostri angeli in trincea», «In prima linea contro il Covid»: un esempio di linguaggio “di guerra” impropriamente utilizzato a tutti i livelli dell’informazione per smuovere una semplicistica empatia), è un vizio tipico della stampa italiana. Pensiamo a come è stata dipinta fin dall’inizio la vicenda dell’uccisione del carabiniere Mario Cerciello Rega da parte degli americani Gabriel Christian Natale-Hjorth e Finnegan Lee Elder, che un anno fa aggredirono Cerciello e il suo collega Andrea Varriale, che li avevano fermati per possesso di droga e furto di uno zaino appartenente all’intermediario tra i ragazzi e uno spacciatore.
La stampa ha descritto lo sfortunato carabiniere come un eroe, cannibalizzando la sua storia personale (era sposato da meno di un mese quando è stato ucciso) ed ergendolo a martire. Eppure ci sono numerose anomalie e punti ancora oscuri nella ricostruzione della vicenda. Dal perché i due carabinieri fossero disarmati al ruolo dell’intermediario, che la difesa dei due americani ipotizza addirittura fosse d’accordo con Cerciello e Varriale. Il processo è iniziato proprio in queste settimane, a un anno esatto dall’uccisione di Cerciello, ed è ancora presto per tirare le somme di questa vicenda.
L’anniversario del G8 di Genova
Analizzando la narrazione fatta da un certo tipo di stampa e comparandola alla sensibilità di molte persone sul tema, risulta difficile intavolare un confronto civile sul problema delle Forze dell’Ordine italiane. In tema di anniversari, quest’anno saranno diciannove anni dal G8 di Genova e dai fatti gravissimi che ne videro protagonista una frangia sicuramente deviata, ma vasta, ramificata e, cosa più grave, protetta e istigata da alcuni politici che non si sono mai assunti le loro responsabilità per i massacri nelle piazze e alla scuola Diaz.
Anche nel caso del G8, che pure ha smosso le coscienze a un livello tale che finalmente, nonostante l’opposizione di alcune parti politiche, l’Italia ha riconosciuto il reato di tortura, dopo diciannove anni e innumerevoli testimonianze, c’è ancora chi minimizza le responsabilità degli autori della più grave violazione dei diritti umani dal dopoguerra. Molti commentatori hanno sostenuto che i protestanti in realtà erano semplici teppisti che cercavano lo scontro o che, peggio, si meritavano quella reazione. Dimenticando che le cariche di Polizia e Carabinieri si accanivano su manifestanti pacifici. Che alla Diaz sono stati selvaggiamente picchiati ragazzi, adulti e anziani e che a Bolzaneto ci fu apologia del fascismo e trattamenti da lager, con la connivenza anche di operatori sanitari. Che ci fu un morto, Carlo Giuliani, mentre le Forze dell’Ordine non hanno un martire da compiangere. O meglio, ce l’hanno: Mario Placanica, il carabiniere che sparò il colpo che uccise Giuliani, che all’epoca dei fatti era giovane quanto la sua vittima e che ha poi attraversato una complessa storia giudiziaria.
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Perché ci ostiniamo a non voler vedere l’elefante nella stanza, la corruzione e il malaffare presenti in alcune frange delle Forze dell’Ordine, arrivando a difendere l’indifendibile?
Tralasciando le grottesche argomentazioni della madre di Giuseppe Montella, ritenuto al vertice dell’associazione a delinquere costituita dai sette Carabinieri di Piacenza («Mio figlio è un bravo ragazzo»), si può ipotizzare che l’incapacità di guardare con obiettività alla faccenda sia una conseguenza di quella narrazione dell’eroe di cui sopra. Una narrazione di comodo che è spesso proposta da vari organi di stampa e da esponenti politici, più inclini a porsi come difensori dell’Arma. La narrazione dell’eroe rende impossibile vedere le Forze dell’Ordine per ciò che sono: un corpo che ha un gran bisogno di essere riformato e ripulito a tutti i livelli, anche quando non commette atti eclatanti come quello di Piacenza.
Ben pochi sono gli italiani che hanno contezza di come vengono trattati gli stranieri in cerca di documenti in Questura. Su questo argomento la scrittrice e attivista Djarah Kan ha scritto un bruciante post su Facebook, commentando con i suoi ricordi di bambina la foto, diffusa dalla Polizia, di un agente che allatta una bambina nera. Reale dimostrazione di dedizione al proprio lavoro ed empatia o becera mossa pubblicitaria, volta a mettere in cattiva luce i “rivali” Carabinieri, già in difficoltà dopo la vicenda di Piacenza? Djarah non entra nel merito, ma le sue parole aspre scoperchiano il velo di Maia sull’inferno che vivono gli stranieri, tra razzismo malcelato e palese, ostruzionismo, burocrazia estenuante e violenze fisiche e psicologiche.
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Da dove arriva quella sensazione di onnipotenza, che riesce ad accomunare le cariche più alte al semplice appuntato?
Il delirio di onnipotenza che si impossessa delle frange deviate dell’Arma va di pari passo con un diffuso culto del fascismo negli ambienti militari. Fascismo che si unisce a nonnismo, spregio delle leggi e sicurezza della propria intoccabilità. Un mix letale che ha saputo ramificarsi e consolidarsi nei decenni anche grazie alla protezione della politica. Non per niente Matteo Salvini, fino a qualche mese fa, faceva sfoggio delle divise più disparate, in un patetico tentativo di stuzzicare le simpatie degli italiani per quell’idea di potere, di forza e di legittimità che tanto fa presa sul suo elettorato.
È l’idea di potere, dunque, più che gli ideali di protezione e di vigilanza sul rispetto delle leggi, che spesso fa innamorare alcuni italiani della divisa e che spinge tanti ragazzi a indossarla. Oltre, naturalmente, alla sicurezza lavorativa che ne deriva. Un aspetto che affonda le radici nell’ancor più dolorosa questione della disoccupazione che affligge il Meridione, da cui provenivano i carabinieri di Piacenza. Un problema che si affronta anche a prezzo della corruzione, pur di accaparrarsi l’agognata divisa.
Abbiamo quindi una parte delle Forze dell’Ordine che ha scelto questo lavoro come ripiego, spesso totalmente digiuna di antifascismo e anzi pregna di ideologia squadrista, spinta al nonnismo e all’omertà dal sistema e protetta dalla politica. Per riformare l’intera Arma, dunque, bisogna partire dal lavoro, oltre che dalla cultura e dall’educazione. Il lavoro, o meglio la mancanza di esso, dunque, stringe poliziotti, carabinieri, stranieri e cittadini italiani in un soffocante abbraccio, come nella peggiore previsione pasoliniana.