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Esplosioni a Beirut e un paese al collasso

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Lorenzo Ricchitelli

La sera del 4 agosto 2020 due esplosioni hanno dilaniato il cuore della capitale del Libano. Secondo le fonti la causa sono state 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio, esplose in un breve arco di tempo. L’origine delle esplosioni è ancora tuttavia non chiara, ma i danni a persone e cose sono ben evidenti. Fino ad oggi (i dati sono in costante evoluzione) le esplosioni a Beirut contano 137 vittime e 5.000 feriti, nonché danni materiali stimati tra i 3 e i 5 miliardi. Questi numeri rendono più impietoso il quadro economico e politico di un paese martoriato da una crisi economica pluriennale. La pandemia mondiale ha solamente fatto emergere maggiormente lo scollamento socio-economico interno. Il Libano ha registrato 5.672 contagi e 70 decessi, ma il più grande problema è la forte presenza di profughi. Circa 2 milioni circolano per il territorio libanese, ma non essendo Beirut firmataria della Convenzione di Ginevra del 1951, non godono dello status di rifugiati politici. La conseguenza è la discriminazione che Beirut ha adottato nei loro confronti durante questa gestione pandemica. Questo è solo la punta dell’iceberg di una crisi che tocca ogni aspetto. Bisogna fare una ricostruzione completa per comprendere questo complesso quadro.

Esplosioni a Beirut tra governo, crisi economica e il Covid-19

Il governo confessionale e la sua corruzione: l’origine della crisi sociale

La situazione economica è palesemente drammatica, sotto ogni dato economico e sociale. I dati ci mostrano una popolazione che per il suo 45% vive al di sotto della soglia della povertà. Negli ultimi dieci anche la disoccupazione ha superato il 10%, quella giovanile il 20%. Qual è però la radice di questo male che sta affondando Beirut? Sicuramente è la cattiva gestione del governo, le cui politiche hanno sempre avuto uno scarso impatto. Questo elemento deriva dalla natura dello stato libanese, che è una Repubblica parlamentare di natura confessionale. Quest’ultima parte della definizione è il nocciolo della questione: la religione si mischia fortemente con la politica. Dove sta il problema? Qualora vi fosse un’unica religione nel Libano non sussisterebbero ostacoli, ma sfortunatamente così non è così. Sono presenti, all’interno del paese dell’area MENA, tre confessioni forti: sciiti, sunniti e cristiano-maroniti. Il governo negli anni ha dunque avuto personalità di diversa confessione a ricoprire le diverse cariche. L’effetto più grande è stato il mancato spirito unitario a guidare le politiche nazionali.

Un frame del video delle proteste a Beirut contro il governo nell’ottobre 2019. Fonte: skytg24.com

Ciò ha comportato una gestione corrotta del paese, con un clientelismo diffuso date le diverse prospettive all’interno dell’esecutivo. Tutto questo ha influito nel progressivo declino economico del Paese, riportando le persone i strada a manifestare. Tredici giorni di manifestazioni hanno condotto alle dimissioni dell‘ex-premier Saad Hariri.

Non solo il sociale: anche l’economia del Libano è motivo di difficoltà

Proteste che hanno dunque portato a un cambio alla guida del paese. Il 22 gennaio 2020 è stato formato un nuovo governo guidato da Hassan Diab, membro di Hezbollah. Questo patto governativo rispecchiava la natura multi-confessionale del paese libanese. Difatti Hezbollah era il componente maggiore, assieme al partito sciita Amal e a quello cristiano dei Patrioti Liberi. Il nuovo governo iniziò il suo percorso con le migliori intenzioni, quelle di recuperare la fiducia del popolo e risollevare le sorti del Libano. L’obiettivo era quello di riuscire a ottenere finanziamenti esterni e integrarle con delle riforme sociali ed economiche. Purtroppo la natura corrotta del governo libanese non ha lasciato scampo neanche a questo nuovo esecutivo. La crisi ha continuato a cavalcare indisturbata, con il suo più drammatico effetto della forte svalutazione della moneta nazionale. Difatti nel giugno del 2020 il popolo di Beirut tornò per le strade quando in pochi giorni la lira libanese perse il 70% del suo valore di mercato. Quest’oggi questo dislivello con il dollaro è salito all’80% (1 dollaro è scambiato a 1.507,50 lire). Dunque in quei giorni vi furono durissimi scontri di piazza, diverse persone ospedalizzate e molti feriti negli scontri con la polizia. Questo crollo della valuta fu un logico sviluppo della dichiarazione di default avvenuta tre mesi prima. Nel marzo 2020 infatti il presidente libanese aveva annunciato la violazione del piano di rifinanziamento stipulato con l’FMI. Una rata di 1,2 miliardi non pagata, parte di un maxi debito di 102 miliardi complessivi, il quale si inserisce in un rapporto debito/PIL che ha toccato il 170%, è stata l’emblema di un’economia al collasso.

La gestione poco democratica della pandemia: l’isolamento dei profughi siriani

In questo disastroso quadro economico, il Libano risente anche di un governo refrattario all’inclusione sociale. Come accennato in precedenza, il Libano ospita un numero considerevoli di profughi. Nello specifico, di questi oltre un milione è proveniente dalla Siria, dove la guerra ha dilaniato il paese. Il governo ha deciso di utilizzare un trattamento ad hoc per questa nuova fetta di popolazione sul territorio libanese. Diverse misure sono state adottate in questi mesi, tra cui il “coprifuoco”. All’inizio del 2020 circa il 40% delle municipalità libanesi adottarono un coprifuoco nei confronti dei profughi siriani. Proprio le municipalità sono centri nevralgici del potere libanese, data la forte concessione decisionale concessa alle autorità locali. Il lockdown imposto per contenere l’onda dei contagi non ha facilitato la vita neanche della popolazione libanese. Vi sono state nel maggio di quest’anno rimostranze dei municipi più poveri del paese, i più colpiti su tutti i livelli dalla crisi pandemica. Anche in questo caso vi furono forti scontri con l’esercito, che fu fortemente criticato soprattutto per aver mantenuto lo status quo. Se anche l’esercito, unico organo considerato imparziale dall’opinione pubblica, si prostra agli interessi del governo, la situazione del Libano è più che mai compromessa.

I possibili risvolti per il paese: aiuti esterni e dinamiche interne

Un frame del video della visita del presidente francese Macron sul luogo del disastro a Beirut. Fonte: corriere.it

Sicuramente il Libano verrà aiutato, ma non saranno i principi di solidarietà a guidare tali aiuti. Il libano si inserisce in un gioco scacchistico che si inquadra nel cuore della regione MENA. Emblematica è la visita di Macron, volato due giorni dopo le esplosioni a Beirut. Il presidente francese ha ribadito la volontà di Parigi di aiutare con tutte le forze il paese dei cedri, ma è chiara la volontà di avere una posizione strategica. La prossimità geografica con la Siria è la chiave di lettura per capire che la Francia vuole continuare a essere protagonista negli equilibri del Medio Oriente. Chiaramente gli attori in campo sono molti, poiché lo scenario geopolitico libanese si incastra con quello libico. Dunque ecco che entrano nello schema Russia, Turchia, i Paesi del Golfo e Israele. Tutti questi paesi dovranno essere monitorati nelle loro prossime mosse per capire quale destino avrà non solo Beirut, ma tutta la regione.

Immagine del video del “Sabato della rabbia”. Fonte: corriere.it

Tutto questo contorno più ampio circonda una Beirut che ora si trova a dover prendere una scelta veloce e decisa. La giornata di ieri ha visto la rabbia riemergere per le strade, dove la popolazione ha ingaggiato una vera e propria guerriglia: un poliziotto morto e 730 feriti per ora il bilancio. In una situazione di emergenza economica, alimentare, di sicurezza, la corruzione del governo deve necessariamente venir meno, per dare un barlume di speranza a questo paese.

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