Il concetto di nascituro, da un punto di vista giuridico, è da sempre al centro di disquisizioni di natura filosofica e morale. Sebbene, per legge, l’inizio della vita viene fatto coincide con il distacco del feto dall’utero materno, non sono rari gli ambiti nel diritto dove un soggetto non nato sia titolare di diritti soggettivi e, in quest’ottica, basti pensare alla possibilità di nominare erede un nascituro o, ancora, la particolare norma penale che punisce l’aborto preterintenzionale. Per diversi anni e, fino all’emanazione della nota Legge 194 del 1978, in Italia l’interruzione volontaria della gravidanza non solo non era consentita ma veniva pesantemente sanzionata. Solo nel 1978, allora, è stato disciplinato, fra consensi e dissensi, l’aborto mediante una specifica normativa, in termini di tempistiche e modalità, nonché l’introduzione di appositi Consultori Familiari. Un ulteriore passo avanti, poi, è quello rappresentato dal riconoscimento, da parte dell’AIFA, della così detta pillola abortiva nel 2009, fino ad arrivare, in questi giorni, alle nuove linee guida emanate il 13/08/2020 dopo un anticipo, sui social, da parte del ministro della salute Speranza.
L’interruzione farmacologica della gravidanza, in concreto, avviene attraverso l’utilizzo di due diversi farmaci, l’antiprogestinico RU486 ed una prostaglandina assunta due giorni dopo la prima pillola. Mentre quest’ultima stimola le contrazioni dell’utero, provocando di fatto l’espulsione, la vera e propria “pillola abortiva” è la RU486. Questa, infatti, è composta da un ormone che blocca il progesterone e causa il distaccamento dell’embrione dall’utero. Il ricorso a tale possibilità è stato introdotto in Italia solo nel 2009, quasi un trentennio dopo l’adozione della Legge 194, quando l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha espresso parere favorevole a seguito di numerose proteste da parte delle fazioni politiche più “liberali” in materia nonché dopo 4 anni di sperimentazione. La pillola in questione ha il vantaggio di non dover ricorrere a interventi chirurgici e relativa anestesia e viene utilizzata nelle prime settimane di gravidanza. Le linee guida che hanno accompagnato il via libera al nuovo farmaco prevedevano la possibilità di utilizzo entro il 49° giorno di amenorrea o, più semplicemente, entro 7 settimane dall’ultimo ciclo mestruale. Un monitoraggio preciso di tale metodica è stato introdotto solo nel 2010-2011 quando l’Istituto Superiore della Sanità, su spinta del Ministero della salute, ha affiancato un apposito questionario trimestrale a quello normalmente in uso dai sistemi di sorveglianza dei Consultori Familiari. Dal dato è emerso che tale modalità, chiamata aborto medico in contrapposizione a quello chirurgico, è stata applicata solamente ad una ridotta percentuale dei casi che si è attestata, negli ultimi anni, sul 10% dei casi.
Una diffusione così ristretta, con tutta probabilità, è dovuta principalmente al collegato alla previsione, da parte delle linee guida vigenti fino ad oggi, di ospedalizzazione dell’utilizzatrice. Tale periodo era identificato in quello necessario per l’espulsione del feto e la valutazione dello stato di salute della donna ovvero in 3 giorni. Il periodo di ospedalizzazione non è mai stato obbligatorio ma, tuttavia, esso doveva essere garantito. Nonostante ciò diverse Regioni, in passato, hanno consentito le dimissioni volontarie delle pazienti in un periodo di tempo minore traducendo la procedura, indirettamente, in un day hospital.
L’annuncio da parte del ministro della sanità Roberto Speranza, sui propri social, è stato fin da subito molto chiaro e fa riferimento a un passo avanti attraverso all’adozione di nuove linee guida in materia basate sull’evidenza scientifica. Un tale evento, che ha preceduto non solo le linee guida ma anche il parere da parte del Consiglio Superiore della Sanità, è successivo a quanto avvenuto in Umbria lo scorso giugno da parte della giunta leghista e in controtendenza rispetto ad un precedente provvedimento da parte della giunta targata PD. Cronologicamente parlando, infatti, la giunta umbra del PD aveva adottato un provvedimento diretto a incentivare il day hospital per ciò che concerne l’interruzione farmacologica della gravidanza. A questo, come anticipato, ha fatto eco un renvirement da parte dell’attuale giunta che ha ripristinato l’ospedalizzazione conformandosi alle linee guida del 2010 e alla Legge 194/78 che prevede il ricovero in ginecologia-ostetricia. A una simile determinazione si sono susseguite numerose proteste e, di conseguenza, la presa di posizione da parte del Ministro.
Le nuove linee guida, come anticipato dal ministro Speranza, richiamano le direttive dell’OMS che definiscono la pillola abortiva RU486 addirittura come farmaco essenziale. Le novità introdotte sono molteplici e si basano, appunto, su evidenze scientifiche da parte di molti studi nazionali e internazionali. Innanzitutto viene aumentato il periodo in cui si può ricorrere alla procedura di interruzione della gravidanza da 7 settimane a 9 settimane. Il maggiore lasso di tempo, in realtà, era già tale in tutti i Paesi in cui il farmaco era in uso mentre le 7 settimane, se vogliamo, erano una peculiarità dell’Italia.
Viene poi rimossa la necessaria ospedalizzazione di chi assume il farmaco che verrà rilasciato, ora, da consultori e ambulatori che monitoreranno l’assunzione solamente per la prima mezz’ora. Sul punto, però, viene introdotto un vincolo che fa riferimento sia allo stato fisico della donna sia alla sua situazione familiare. La somministrazione del farmaco, infatti, è sconsigliata alle pazienti che soffrono di ansia, hanno una soglia del dolore molto bassa, vivano in condizione igieniche precarie o, ancora, siano sole. Decorse due settimane dall’assunzione è prevista, infine, una visita di controllo. Le linee guida, poi, fanno riferimento ai vantaggi della procedura che non sono solo di tipo economico, a causa della mancata ospedalizzazione, ma anche fisico e psicologico delle pazienti. La procedura, infatti, si conferma non solo come meno invasiva fisicamente rispetto a un intervento chirurgico ma anche psicologicamente.
La necessità di intervenire, dopo 40 anni dalla legge 194 e 10 dalle precedenti linee guida, in materia era avvertita come necessaria non solo da associazioni di categoria, movimenti femministi ma anche da diversi medici. Alla notizia, infatti, hanno fatto seguito i commenti entusiasti di diversi rappresentanti delle suddette categorie. Laura Boldrini si è da subito congratula con il Ministro per essersi conformato all’andamento europeo. Anche il responsabile del day hospital dell’ospedale Sant’Anna di Torino, ha espresso il proprio plauso all’intervento del Governo. Di parere opposto, come facilmente ipotizzabile, le opposizioni parlamentari e le associazioni cattoliche,così come i movimenti pro vita. Giorgia Meloni, infatti, ha espresso il proprio dissenso additando le nuove linee guida come un passo indietro mentre le associazioni lo vedono come “un tentativo di legalizzare l’aborto a domicilio” o, ancora, come la volontà di sgravare la decisione dell’aborto dal peso naturale che l’accompagna. In ogni caso occorre evidenziare come, in Italia, i medici obiettori siano diversi e questo non è senz’altro un problema da poco per una persona che, consapevolmente, decide di interrompere la gravidanza. Una scelta personalissima mossa, alle volte, da una motivazione che la parte più becera della politica non può nemmeno immaginare, rischiava di tradursi in una ricerca del “medico giusto” gravando, ancora di più, il peso di una scelta che non può e non deve essere generalizzata come una “leggerezza”.
Le nuove linee guida, che nell’intento del legislatore dovrebbero avere cadenza regolare, intervengono in seguito a un decennio di studi di settore non solo in Italia ma nel mondo. Il Governo si è conformato a quelle che sono le evidenze scientifiche nonché al protocollo di tutti gli stati in cui tale via è in uso. L’espressione di opinioni personali, in questo caso, non dovrebbe sfociare nel pubblico essendo ogni individuo una singolarità con una propri storia e, difficile a crederlo, con le proprie motivazioni frutto, anch’esse, di un percorso interno e riservato.
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