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Il referendum per il taglio dei parlamentari, spiegato

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Marcello Filibeck

Il 20 e 21 settembre si svolgerà il referendum confermativo per il taglio del numero dei parlamentari. La votazione avrebbe dovuto svolgersi lo scorso 29 marzo, ma è stata rinviata a causa della pandemia di coronavirus. Si tratta di una riforma che non gode di grande visibilità mediatica, ma che, se approvata, cambierebbe in maniera profonda gli equilibri delle due camere.

Che cosa prevede il referendum

Il testo della proposta di legge prevede il taglio di un terzo dei parlamentari, che passerebbero da 630 a 400 deputati e da 315 a 200 senatori. Non è richiesto il raggiungimento del quorum per considerare valido l’esito del voto, poiché si tratta di un referendum confermativo. Il provvedimento è composto da quattro articoli: i primi due regolano le modalità dei tagli per Camera e Senato, il terzo disciplina la nomina dei senatori a vita e l’ultimo prescrive i tempi di attuazione della riforma. La riduzione del numero dei parlamentari, se approvata, avrà importanti conseguenze sul rapporto eletti/elettori, perché il numero di cittadini rappresentati da un singolo deputato passerà da circa 94.000 a oltre 119.000, come ha illustrato Gianluca Passarelli, professore di Scienza Politica e Politica Comparata all’Università Sapienza di Roma, durante le audizioni in Senato.

Come cambiano i numeri alla Camera e al Senato. Fonte: Centro Studi Parlamento

Il taglio garantirebbe un risparmio netto annuo di 57 milioni, secondo quanto calcolato dall’Osservatorio CPI. La riforma, inoltre, non prevede una revisione della legge elettorale, che dovrà essere necessariamente modificata per adeguarsi alla nuova composizione delle due camere. L’iter di approvazione, iniziato durante il Governo Conte I, ha dovuto misurarsi con la crisi dell’esecutivo Lega-M5S e la conseguente nuova maggioranza. Poiché durante la seconda lettura in Senato non è stato raggiunto il quorum dei due terzi, 71 senatori hanno richiesto un referendum confermativo.

Leggi anche: Il referendum costituzionale in otto punti

Le scelte dei partiti

Il Movimento 5 Stelle è il principale promotore di questa riforma e la considera uno strumento per rendere più efficiente il Parlamento. La Lega, dopo avere appoggiato la proposta durante il Governo Conte I, è rimasta favorevole al provvedimento nonostante ora si trovi all’opposizione. Anche Fratelli d’Italia ha da sempre sostenuto il sì, mentre in Forza Italia il dibattito è ancora aperto a poche settimane dal voto. Il Partito Democratico si era schierato in un primo momento per il no – bocciando la proposta durante la prima lettura – ma è in grande difficoltà da quando ha stretto l’alleanza di governo con i Cinque Stelle. La linea ufficiale, adesso, è quella del sì, ma all’interno del PD le posizioni sono tutt’altro che convergenti. Esponenti molto in vista come il Sindaco di Bergamo Giorgio Gori si sono espressi chiaramente per il no alla riforma e si è costituito un comitato di parlamentari contrari, guidati dal senatore Tommaso Nannicini. L’adesione del PD alla riforma era subordinata all’approvazione entro il 20 settembre di una nuova legge elettorale, ma il progetto è in stallo per via del veto dei renziani, contrari ad uno sbarramento al 5%. Il segretario Nicola Zingaretti intende convocare a breve una riunione della direzione del partito, in cui discutere in maniera definitiva la scelta del sì o del no.

Questione di informazione

Il taglio dei parlamentari è qualcosa di attraente per gli elettori, sempre più sfiduciati dai propri rappresentanti. Di questo referendum si parla poco, un po’ perché ci sono notizie che hanno maggiore priorità e un po’ perché fare propaganda per il no è una scelta estremamente impopolare. Nessun partito vuole essere etichettato come difensore della casta e dei privilegi della politica, tantomeno per una consultazione che non prevede il quorum. La sensazione è che i sì – dati in vantaggio anche dai recenti sondaggi – risulteranno ampiamente vincitori, anche perché il Movimento 5 Stelle sta mobilitando in massa la propria base per andare a votare. I difensori del no (partiti piccoli, formazioni extraparlamentari e alcune associazioni di categoria) spesso non hanno visibilità e risorse sufficienti per condurre la propria campagna, resa ancora più difficile dall’emergenza coronavirus, che ha monopolizzato le notizie.

Nelle ultime settimane si stanno aggiungendo altre voci tra i contrari alla riforma e il referendum sta acquisendo un po’ di centralità mediatica. L’impressione è che i sostenitori del no vogliano sfruttare a loro vantaggio la scarsa attenzione generale per il voto di settembre. Questo grafico mostra l’andamento, tra il 10 e il 20 agosto, di due query di ricerca relative al referendum. È interessante notare come la chiave “referendum no” abbia raggiunto e superato “referendum si” in questo periodo.

Volume delle ricerche “referendum si” e “referendum no” tra il 10 e il 20 agosto. Fonte: Google Trends

Le ragioni di questa tendenza vanno individuate nelle sempre più frequenti prese di posizione a favore del no. Solo nell’ultima settimana, per esempio, sia il quotidiano la Repubblica che il movimento 6000 Sardine si sono schierati apertamente contro il taglio dei parlamentari. Quale che sia la propria opinione, è importante parlare di questo referendum, affinché il dibattito tra sì e no stimoli le persone a informarsi. Un’alta affluenza – al momento non prevista – sarebbe un grande risultato per la democrazia.

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