Il turismo, lentamente, sta cambiando. La crisi sanitaria in corso ne ha in parte accentuato alcuni processi, in parte ne ha mescolato le carte. E se città d’arte e musei si svuotano (soprattutto a causa dei drastici cali di arrivi internazionali), in alcune spiagge e città di villeggiatura si registrano picchi che non si vedevano, addirittura, dagli anni Ottanta. Ma se è indubbio che il settore turistico tradizionale stia attraversando una recessione pesantissima, leggermente diverso è il discorso per quanto riguarda il cosiddetto turismo lento. Un modo di viaggiare legato al Movimento Slow fondato da Carlo Petrini nel 1986; già da alcuni anni al centro tanto di un programma di rilanci e finanziamenti istituzionali, quanto di una narrazione troppo spesso stucchevole e stereotipata. Ma viaggiare lentamente è davvero un modo per fare consapevolmente i conti con l’ambiente e la sostenibilità, o è soltanto una moda di passaggio?
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Negli ultimi mesi abbiamo più volte sentito nominare l’espressione turismo di prossimità. Ma turismo lento e turismo di prossimità possono essere considerati sinonimi? Il turismo di prossimità è ormai uno di quei leitmotiv entrati nell’uso (e abuso) comune del linguaggio post-pandemia (come lockdown, distanziamento sociale, ingressi contingentati, ecc.). E come spesso accade in simili contesti, il senso di queste espressioni tende a diventare fumoso, astratto: significa un po’ tutto e niente. Semplificando il più possibile, vuol dire incentivare gli italiani a fare le vacanze in Italia (progetto che certamente lascia spazio a contraddizioni e interrogativi).
Una proposta, questa, che lo stesso Conte aveva espresso agli inizi della Fase 2. E che è stata poi ribattuta a più riprese da diversi politici, giornalisti ed enti del turismo regionali. Ma tornando all’interrogativo posto in precedenza, il turismo lento è soltanto in parte assimilabile all’idea di turismo di prossimità. Il turismo lento, infatti, non è riducibile esclusivamente all’intenzione di rimanere in Italia (né tanto meno alla retorica della riscoperta delle radici). È piuttosto un modo di viaggiare che si contrappone ai ritmi del turismo di massa (voli low cost, crociere, brevi soste in capitali europee).
Il turismo lento cerca di valorizzare l’esperienza del viaggiatore con un’immersione il più possibile completa e meditata nei territori e nelle culture locali. A questi aspetti si aggiunge un’attenzione particolare al rispetto e alla conoscenza dell’ambiente, attraverso il racconto delle sue peculiarità geomorfologiche, zoologiche, culturali e (ovviamente) enogastronomiche. Oltre a queste caratteristiche qualitative, il turismo lento si contraddistingue soprattutto per il modo di viaggiare (cammini, ciclovie, treni storici, ecc.) e per le destinazioni (aree rurali, borghi, ecc.). Ma di questo torneremo nei paragrafi successivi.
D’altro canto, il turismo di prossimità non fa altro che accogliere alcuni aspetti di fondo dello slow tourism, applicandoli alle località italiane. Così da cercare di arginare, perlomeno in parte, l’attuale crisi del settore. In realtà, questo discorso si inscrive all’interno di un progetto istituzionale che va avanti da più di un lustro. È in questa direzione che si sta muovendo fin dal 2014 il ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo Dario Franceschini.
Franceschini, infatti, ha portato avanti una politica volta a cercare di dirottare il più possibile gli affollamenti di turisti che ogni anno intasano le principali città d’arte italiane, per rilanciare località e territori meno noti, ma altrettanto meritevoli di essere scoperti. Questo programma è concepito (perlomeno negli intenti) come un modo di promuovere un’idea di turismo consapevole e di accoglienza diffusa su tutto il territorio italiano, per fornire un’esperienza di viaggio di qualità a 360 gradi. In questo modo l’economia turistica italiana si articola e si solidifica anche in zone che in precedenza ne venivano toccate soltanto marginalmente.
E se il 2016 era stato l’anno dei Cammini, il 2017 l’anno dei Borghi, il 2018 quello del Cibo e il 2019 l’anno nazionale del turismo lento, il 2020 sarebbe dovuto essere l’anno del treno turistico. Ma l’emergenza sanitaria ha reso necessario rivedere i piani. Si è quindi tornati a prediligere viaggi più brevi, diffusi e più vicini al proprio domicilio. Preferendo i borghi (con meno affollamenti) e riducendo l’uso di auto, aereo e traghetti, per diminuire stress, costi e consumi.
Dal Cammino di Santiago alla Via Francigena, dalle Alte Vie Alpine al Cammino Inca in Perù, dal Pacific Crest Trail al Kumano Kodō in Giappone, i cammini hanno ormai raggiunto una popolarità senza precedenti. Sono il vero asse trainante del viaggiare lentamente nel mondo, che muove un numero sempre crescente di appassionati da tutto il mondo. Il mito indiscusso di questo tipo di viaggio rimane senza dubbio il Cammino di Santiago, quello che tutti dicono di aver fatto o di aver intenzione di fare.
Ma anche l’Italia non se la passa male in materia di cammini. Vanta più di quaranta cammini riconosciuti istituzionalmente, tra quelli storici, naturalistici, religiosi e culturali; tutti catalogati e mappati nell’Atlante dei Cammini d’Italia realizzato dal MiBACT nel 2017. È, inoltre, in costante crescita il numero di viaggiatori sui cammini italiani. Secondo un recente sondaggio, infatti, si stima che nel 2018 i camminatori in Italia siano stati più di trentaduemila, contro i ventisettemila pellegrini italiani di Santiago de Compostela dello stesso anno. Un flusso di persone che si muovono lasciandosi alle spalle importanti ricadute positive sul territorio italiano.
In un’intervista su la Repubblica, l’ambientalista e politico Ermete Realacci si è espresso in favore di un turismo italiano che riparta proprio dai quindicimila chilometri di cammini che innervano la nostra penisola. Un turismo sostenibile che può allo stesso tempo rafforzare l’economia dei piccoli comuni e delle aree rurali. L’intervento istituzionale, in questo senso, è fondamentale. Sono più di ventiquattromila i progetti attivi per supportare l’asse Turismo-Cultura-Natura, per un totale di più di tredici miliardi di euro. L’obiettivo è continuare a incrementare lo slow tourism italiano, con interventi mirati ad ampliare e migliorare la rete di cammini nel territorio.
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Ma come dicevamo, oltre ai cammini, in Italia sono moltissime le forme di turismo lento in costante crescita. Aumenta, per esempio, il numero di persone che scelgono la bicicletta come mezzo di trasporto per le proprie vacanze. L’Italia, infatti, sta cominciando ad affiancarsi – per quantità dei percorsi e qualità delle infrastrutture – a quei paesi dove il cicloturismo è ormai una realtà ampiamente diffusa e consolidata (Belgio, Germania, Francia e Paesi Bassi). Sono migliaia i chilometri di piste ciclabili costruiti in Italia negli ultimi anni. Una buona mappatura di queste piste è consultabile sul portale italiano dedicato al cicloturismo.
Un’altra forma di turismo lento sono le ferrovie storiche e panoramiche. Il treno è un mezzo di trasporto a bassissimo impatto ambientale, che permette di godere del territorio con lentezza, ma con meno fatica rispetto ai cammini e alla bicicletta. Tra le tratte più belle non si può non menzionare la Transiberiana d’Italia, che attraversa il Parco Nazionale della Majella, in Abruzzo. C’è poi il panoramico Treno delle Meraviglie, che collega Cuneo a Ventimiglia, lungo i paesaggi spettacolari delle Alpi Marittime tra Francia e Italia. Maggiori informazioni sulle numerose altre tratte si possono trovare sul sito della Fondazione FS Italiane.
Fondamentale, infine, sono le esperienze legate al patrimonio enogastronomico italiano e la scelta del tipo di pernottamento. Sempre di più sono le aziende agricole e vitivinicole italiane che hanno aperto le loro porte a visite e degustazioni. Un modo per conoscere fino in fondo e far scoprire al resto del mondo la straordinaria varietà di prodotti del nostro territorio. Per quanto riguarda, invece, il pernottamento, oltre ai più tradizionali agriturismi e B&B, cresce la presenza degli alberghi diffusi. Un nuovo modello di accoglienza turistica che recupera parti di immobili in disuso all’interno dei borghi italiani, riadattandoli alle esigenze di ospitalità.
Il rilancio dei cammini storici, la riscoperta dei piccoli borghi e più in generale le diverse forme di turismo lento, come si è già accennato nell’introduzione, sono riconducibili al Movimento Slow. Una linea di pensiero che aspira a un mutamento socioculturale che si contrappone ai ritmi forsennati della società odierna, prediligendo piuttosto un approccio più lento e consapevole alla vita. Il risultato più conosciuto ed efficace di questo movimento è stato sicuramente la fondazione dell’associazione Slow Food a Bra nel 1986.
La filosofia su cui si basa questo movimento fa capo, soprattutto, a tre principi di fondo. Ovviamente, la contrapposizione alla velocità della vita moderna. La rivendicazione del diritto ai piaceri, al gusto, al riposo e all’ozio. E la necessità di reimpostare il rapporto dell’uomo con l’ambiente nei termini di rispetto e sostenibilità. In conformità con questi principi si sono strutturate le varie attività collaterali Slow Food: come la fondazione dell’Università di Scienze Gastronomiche a Pollenzo, il progetto Terra Madre, i Presidi Slow Food e le Cittaslow.
A questi aspetti organizzativi e sostanziali di Slow Food, si è affiancata fin da subito un’attenzione particolare ai modi di raccontare gli intenti e le esperienze dell’organizzazione. È proprio l’enfasi su (e l’efficacia di) queste strategie di narrazione ad aver attirato da un lato plausi ed entusiasmi, e dall’altro critiche e ironie. Negli ultimi anni, anche grazie alla diffusione di diversi programmi televisivi, si è come consolidato nel linguaggio collettivo un immaginario fatto di filiere corte, chilometro zero, borghi più belli d’Italia, certificati di eccellenza, prodotti biologici, ritorno alle radici, tradizione e territorio, e così via fino alla stessa idea di turismo lento.
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Al di là delle ironie, degli stereotipi e della retorica, il valore del pensiero che sta dietro a questo modo di viaggiare, e più in generale a tutto il Movimento Slow è quello di aprire importanti interrogativi in merito alla questione ambientale. Le sfide dei prossimi decenni saranno guidate dalla necessità di contrapporre un rimedio ai disastri ambientali che sono stati compiuti nel nostro recente passato. In questo senso, è importante promuovere e adottare un turismo (e più in generale un pensiero) attento ai temi della sostenibilità e del rispetto della natura.
La speranza è che questa tendenza continui a ramificarsi, e che non rimanga soltanto una moda sterile ed effimera. In particolare, porre l’attenzione sulla salvaguardia del territorio artistico e naturale (come, per esempio, si impegna a fare dal 1975 il Fondo Ambientale Italiano) è vitale soprattutto in Italia. Un paese fragile tanto sul piano paesaggistico e geomorfologico, quanto sul piano artistico e culturale. Gli equilibri del nostro territorio sono sottili, precari, e minati da cinquant’anni di politiche spregiudicate e assassine.
Il turismo è un elemento fondamentale per il nostro paese, che è tra i più visitati al mondo; e muove un giro d’affari pari a più del 5% del PIL italiano. Tentare di intrecciare questo valore economico con nuove forme di ospitalità e nuove rotte di viaggio in maggiore accordo con le esigenze del decennio appena cominciato, potrà forse diventare un modo di rilanciare nuovamente l’immagine dell’Italia nel mondo, una volta superata del tutto l’emergenza che stiamo ancora vivendo.
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