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Versus – Referendum 2020: le ragioni del Sì e del No

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A cura della redazione

Domenica 20 e lunedì 21 settembre 2020 si voterà per il referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari. Approvata a ottobre 2019, la riforma prevede la riduzione di un terzo del numero di deputati e senatori. Gli eletti alla Camera passerebbero da 630 a 400, quelli al Senato da 315 a 200.  In questa nuova puntata di Versus vediamo quali sono i motivi per schierarsi dall’una o dall’altra parte in occasione del referendum di settembre 2020. 

Leggi anche: Il referendum per il taglio dei parlamentari, spiegato.

Perché votare Sì al referendum sul taglio dei parlamentari

Il dibattito sul possibile taglio del numero dei parlamentari è argomento di discussione da molto tempo. Il referendum 2020, infatti, poggia su decenni di polemiche ed è diventato un tema pubblicamente dibattuto quando Beppe Grillo, durante i suoi comizi, sosteneva uno snellimento in questo senso. Allo snellimento, anni dopo, il suo partito c’è arrivato ed è riuscito a portare a referendum una questione costituzionale molto delicata.

Il Movimento 5 Stelle promuove fortemente il sì al prossimo referendum 2020. I pentastellati, infatti, sostengono la necessità di passare da 630 a 400 deputati e da 315 a 200 senatori. In totale i membri del parlamento verrebbero ridotti di 345 unità. Quali sono, quindi, i motivi su cui poggia questa scelta politica dei 5 Stelle? O meglio, perché votare sì?

Fonte: Flickr.

Referendum 2020 e risparmio

Partiamo da un iniziale presupposto. Il taglio dei parlamentari, se affrontato in maniera superficiale, è una questione che irrimediabilmente porta l’elettore medio a votare sì. Anni e anni di scandali politici, corruzione, privilegi svelati e assenteismo dilagante portano l’elettore medio a sostenere il taglio, stufo di una classe politica spesso deludente. Il primo vantaggio che si vede in tutto ciò è semplice: il risparmio economico. Tagliando i costi della politica otterremmo un risparmio a sei zeri. Ma quanti sarebbero veramente i soldi risparmiati grazie a una riforma costituzionale simile?

Anche questo argomento sta suscitando polemica. Alcuni parlano di cento milioni l’anno, altri sostengono si tratti “solamente” di 57 milioni sottolineando il populismo di chi gonfia i dati e sostiene i cento milioni. Altri ancora, con il dato dei 57 milioni alla mano, chiosano furbescamente dicendo che una somma del genere sarebbe come se ogni cittadino (considerando una popolazione italiana di più di sessanta milioni) risparmiasse poco meno di un euro all’anno. Questo ragionamento supporta i sostenitori dello slogan «la democrazia non ha prezzo», coloro che ritengono che avere organi costituzionali effettivamente rappresentativi non debba vedersi come un costo sul quale risparmiare.

Lo stipendio di un parlamentare

Per fare chiarezza su questo tema ci siamo affidati all’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani, ente che analizza la gestione della finanza pubblica. L’Osservatorio, in uno studio del 2019, ha scomposto lo stipendio effettivo dei parlamentari dividendolo in due sezioni, una più simile allo stipendio di un cittadino comune – cioè soggetto a ritenute fiscali – e un’altra che consiste nei rimborsi spese. Ha poi stimato che il risparmio nel ridurre di 345 unità i parlamentari ammonterebbe, tra Camera e Senato, a 82 milioni di euro lordi l’anno. Per un’intera legislatura l’Osservatorio calcola un risparmio di 410 milioni. L’elettore medio una cifra del genere non riesce nemmeno ad immaginarla, ma dall’altro lato c’è chi, come Forza Italia, ritiene irrisorio questo risparmio.

Un confronto col debito pubblico

È chiaro come confrontando tale risparmio con il debito pubblico italiano registrato a fine 2019 non ci sia metro di paragone. Stiamo parlando di 410 milioni in confronto a un debito di oltre 2,4 miliardi. Ma ritenere ininfluente un risparmio di 410 milioni sarebbe come dire a un bambino che poco importa quante monetine per anni ha conservato gelosamente nel suo salvadanaio, tanto quando sarà adulto dovrà stipulare un mutuo da centinaia di migliaia di euro. È infatti fuorviante ignorare un risparmio di una cifra come 410 milioni di euro, perché si parla pur sempre di un ingente risparmio. E anche perché quel denaro potrebbe diventare potenzialmente spendibile per spese statali come l’istruzione e la sanità.

Ma per capire veramente l’importanza di votare sì al referendum 2020 bisogna dimenticare la macchinosa questione del risparmio. Bisognerebbe infatti ragionare in modo contrario ma simile ai dei sostenitori di «la democrazia non ha prezzo»: i costi della democrazia passano in secondo piano, sì, ma di fronte all’esigenza di un sistema costituzionale meno burocratico e più efficiente. È proprio questo il fulcro della questione, cioè la maggiore efficienza del Parlamento e lo snellimento di una burocrazia lenta e complessa. Non il risparmio, non il “vile denaro” ma la volontà di rendere più efficace e meno corruttibile la nostra politica.

La rappresentatività come sistema matematico

Un interessante articolo su Medium ha cercato di fare della rappresentatività e dei costi della politica un sistema matematico. Il numero dei componenti degli organi di Governo, infatti, deve tenere conto di due esigenze. La prima è quella di non pesare eccessivamente sulle casse dello Stato e e dei cittadini. La seconda è quella di non generare, con un numero troppo elevato di rappresentanti, confusione e di conseguenza falle nel sistema. Falle nella quali corruzione trova terreno fertile. Uno studio del 2008 intitolato On Optimal Number Representatives ha combinato tutte queste esigenze, facendo emergere che il numero ideale di rappresentanti sia semplificabile nella radice quadrata della popolazione. Confrontando empiricamente questo calcolo con i parlamenti di cento Stati nel mondo emerge che il loro numero di rappresentanti si avvicina grossomodo al risultato della formula matematica già citata. Tranne, ovviamente, per l’Italia.

Seguendo questo ragionamento infatti il parlamento italiano appare sovradimensionato. Secondo lo studio On Optimal Number of Representatives infatti il numero ideale di parlamentari per l’Italia sarebbe di 570 unità. Peccato che il nostro Parlamento ne conti ben 945, esclusi i senatori a vita.

Foto: Flickr.

Il rapporto tra deputati e cittadini

Che cosa accadrebbe quindi, se al referendum 2020 vincesse il sì? Qui si innesca un’altra grande questione, quella della rappresentatività. Attualmente il rapporto tra deputati e cittadini è di 1/96.006, mentre se vincesse il sì il numero scenderebbe a 1/151.210 come riporta il dossier Riduzione del numero dei parlamentari redatto dal Senato e dalla Camera nel nel 2019. Ogni centomila abitanti passeremmo quindi da 1,0 parlamentari a 0,7.

È chiaro che un numero del genere spaventi, perché ci sarebbe un solo rappresentante a riflettere gli interessi di ben 151.000 persone, e questo genera timore tra i sostenitori del no. Lo stesso timore è dato dal fatto che, se al referendum 2020 il sì vincesse, nella classifica dei Paesi europei con maggior numero di parlamentari passeremmo dal secondo posto (primo il Regno Unito) al quinto, rendendoci in un certo senso un Paese poco rappresentativo della volontà popolare.

A questo punto il confronto con gli altri Paesi europei è d’obbligo. Il sì del referendum del 2020 ci porterebbe, è vero, ad avere un numero esiguo di rappresentanti per numero di cittadini. Ma questo numero non sarebbe poi così drasticamente diverso da quello di altri importanti stati europei. Francia, Germania e Paesi Bassi contano infatti 0,9 parlamentari per centomila abitanti, mentre la Spagna 0,8.

La correlazione tra organi sovradimensionati e corruzione

Raccapezzarsi tra tutti questi numeri appare difficile. Ma è necessario conoscerli per arrivare alla conclusione finale: un numero troppo elevato di rappresentati porta a corruzione e confusione. L’Italia di corruzione e confusione legislativa la sa lunga. Ma per dimostrare questo fatto facciamo sempre riferimento allo studio On Optimal Number of Representatives, che evidenzia empiricamente che un numero eccessivo di parlamentari aumenti le possibilità di corruzione. Maggiore burocrazia significa infatti maggiori possibilità di trovare scorciatoie non del tutto legali. Lo dimostra anche uno studio svedese del 2017, che mostra come in Svezia i municipi più corrotti siano quelli con un maggiore numero di rappresentanti. Inoltre chi si occupa di organizzazione del lavoro e project management sa una cosa: gestire un team molto numeroso porta a maggiori difficoltà per un semplice motivo. Le interazioni tra le persone aumentano esponenzialmente portando spesso a scontri, problemi di comunicazione, alleanze e sotterfugi e generando una grande confusione.

Per tutti questi motivi bisognerebbe votare Sì al referendum 2020: per dare una vera e propria sferzata all’assetto dei nostri organi di governo. Assodato che il nostro Parlamento è sovradimensionato e che ci sono evidenze scientifiche che dimostrano una correlazione con la corruzione, è chiaro che il sì appare come l’alternativa migliore.

Mentre i sostenitori del Sì e del No continuano a scontrarsi c’è un tema sul quale si trovano assolutamente d’accordo. Ridurre il numero dei parlamentari senza modificare l’attuale sistema elettorale sarebbe un cambiamento incompleto, come fare una rivoluzione a metà. Ed è proprio questo cambiamento che tutti i cittadini chiedono a gran voce alla loro classe politica.

Caterina Bertoni Gonzales


Perché votare no al referendum sul taglio dei parlamentari

Una premessa è d’obbligo. Votare no al referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari non significa necessariamente essere entusiasti dello stato attuale delle cose. Non significa (solo) difendere la Costituzione in nome del criterio della rappresentanza, e nemmeno credere che il Parlamento, per come è strutturato, funzioni bene. A dire il vero, soprattutto da Berlusconi in poi, i governi hanno abusato dei decreti legge e del voto di fiducia sostituendosi spesso al Parlamento nell’esercizio del potere legislativo. A volte con lo scopo legittimo di approvare misure urgenti, altre con l’obiettivo di annullare il dibattito. Altre ancora in occasione di scadenze improrogabili (si pensi alla manovra economica di fine anno). Questa riforma, però, non restituisce centralità al Parlamento.

Referendum 2020: non è questa la via per un Parlamento più efficiente

Pensando poi al criterio della rappresentanza, sappiamo bene che i partiti non sempre scelgono i candidati in base al territorio di provenienza. In generale, il rapporto tra elettori ed eletti è sempre meno solido. Il Parlamento andrebbe senza dubbio ripensato attraverso una riforma ampia che interessi la modifica delle funzioni del Senato, il sistema delle nomine dei candidati, la legge elettorale, la rappresentanza delle istanze sociali. Servirebbe ripensare il ruolo del Parlamento soprattutto in ottica di una maggiore semplicità nell’esercizio del potere legislativo. Considerando che il dibattito politico si occuperà sempre più di questioni globali, sarà ancora più importante che il Parlamento eserciti la sua influenza rispetto alle decisioni dei governi futuri. Dunque al referendum del 20 e 21 settembre 2020 non si deve votare no per salvaguardare un sistema che funziona, ma piuttosto per non fare un ulteriore passo indietro rispetto ai problemi che già esistono.

L’istituzionalizzazione della protesta M5S

Anzi, verrebbe da dire che si deve votare no perché una legge di questo tipo è decisamente senza senso. Non mira a un miglioramento del Parlamento, è una mossa strategica che sfrutta l’ormai diffusa retorica dell’antipolitica. Finirebbe solo per peggiorare lo stato delle cose. Questa legge, votata quasi all’unanimità dalle forze politiche a ottobre 2019, è stato il cavallo di battaglia del M5S ed è stata accolta, per interessi diversi, anche dagli altri partiti. È l’istituzionalizzazione della protesta grillina: questa riforma in cambio della stabilità di governo. L’obiettivo alla nascita del M5S era l’azzeramento del dibattito parlamentare in favore della democrazia digitale, più di dieci anni dopo il risultato è il taglio senza criterio di un terzo dei deputati e dei senatori. 

I motivi del no

La legge sul taglio dei parlamentari è profondamente sbagliata e non va dunque confermata soprattutto per due motivi. Sul risparmio economico non serve nemmeno soffermarsi. Anche chi è favorevole al sì non utilizza più questo argomento, in quanto il recupero di risorse pubbliche è ridicolo (57 milioni di euro l’anno, lo 0,007% della spesa pubblica). Ben più importante è invece la questione della rappresentanza. Sarebbe auspicabile, come detto, riformare una delle due Camere. Tagliare di un terzo entrambe invece non ha significato. Non si capisce in quale modo l’agevolezza del dibattito dovrebbe beneficiarne, visto che le funzioni di deputati e senatori rimarrebbero le medesime.

Non è la quantità che fa la differenza

L’effetto sarebbe in primo luogo quello di tagliare le gambe ai politici che, grazie a impegno e passione, riescono a farsi notare e a ottenere una candidatura. Consideriamo ad esempio quei deputati e senatori che in alcuni casi esprimono pareri diversi rispetto alla linea del proprio partito, incoraggiando un dibattito sano all’interno delle forze politiche. Tagliando il numero degli eletti, i segretari avranno bisogno di candidati più obbedienti, che votino sempre secondo la linea del partito. Inoltre alcuni territori rimarrebbero con pochissimi rappresentanti in Parlamento.

L’equilibrio dei poteri: questa riforma indebolisce il Parlamento

Esistono in secondo luogo degli equilibri che sono fondamentali per il buon funzionamento del sistema democratico. Tagliare in modo incondizionato il numero dei parlamentari significa ridurre il potere di una delle tre espressioni dello Stato democratico, per spostarlo ancora di più a favore del governo (spesso, quindi, del Premier). Non si capisce perché chi ha votato no al referendum del 2016 in occasione della riforma Renzi-Boschi, oggi dovrebbe votare a favore di una legge ancor più imperfetta e irrazionale. 

Una riforma senza significato: votare No è l’unica soluzione

Perché, dunque, dovremmo votare per una riforma costituzionale pensata per soddisfare esigenze di consenso a breve termine, che non migliora il Parlamento e, anzi, lo indebolisce? Una proposta di modifica che non prenda in considerazione il sistema delle candidature, la legge elettorale e il rapporto tra eletti ed elettori, che non si regga cioè su motivazioni solide, è solo fumo negli occhi dei cittadini. L’unica soluzione possibile è quella di respingere questa proposta, votando No il 20 e il 21 settembre.

Daniel Bonfanti

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