Il 3 novembre 2020 gli elettori americani saranno chiamati alle urne per scegliere il prossimo presidente. La scelta ricadrà tra l’attuale comandante in capo, il repubblicano Donald Trump, e l’ex vicepresidente democratico Joe Biden. Queste saranno le prime elezioni a svolgersi durante una pandemia globale. Secondo i sondaggi, Biden sarebbe ampiamente in vantaggio, ma l’ipotesi che questi dati siano sbagliati come quattro anni fa perseguita i democratici. Gli analisti infatti non hanno mai escluso una vittoria di Trump. È comunque vero che i sondaggi pubblicati stavolta sono diversi rispetto al 2016. theWise Magazine ha incontrato Gianni Riotta, giornalista e direttore del Master in Giornalismo e Comunicazione multimediale dell’università LUISS Guido Carli. Riotta è stato a lungo inviato negli USA e nel 2017 è stato nominato dalla Commissione Europea tra i trentanove Esperti del Gruppo di Alto Livello per la lotta alle fake news e alla disinformazione online.
Come si stanno organizzando i partiti durante questa pandemia? Abbiamo visto pochi comizi finora, per giunta soltanto di Trump. Che fine ha fatto il porta a porta?
«Facciamo una premessa: questa campagna elettorale non ha un’organizzazione perché è stata talmente ribaltata dagli eventi come soltanto nel 1968 è capitato. A febbraio l’Economist metteva Bernie Sanders in copertina parlando di tragedia annunciata perché avrebbe affrontato Trump facendolo stravincere. Qualche giorno dopo i Democratici hanno incoronato Biden in South Carolina. Tre settimane dopo si è imposto il virus e in quattro settimane c’è stato il crollo dell’economia con Trump che è finito indietro nei sondaggi, dopodiché ci sono state le proteste per le strade contro il razzismo e la gente cominciava a pensare che Trump sarebbe ritornato davanti nei sondaggi grazie al suo messaggio legge e ordine, poi i roghi in Oregon e Washington che secondo alcuni avrebbero dovuto favorire i Democratici e infine è morta la giudice Ruth Bader Ginsburg. È tutto molto imprevedibile.
Il porta a porta è diventato digitale, telefonico. Ci sono queste banche telefoniche in cui ti chiamano e tu cerchi di mobilitare i tuoi amici e i tuoi conoscenti con il digitale. Le persone mettono il cartello fuori casa, soprattutto nei sobborghi, quelle villette unifamiliari che noi non abbiamo in Italia. Sono quartieri residenziali dove c’è chi mette il cartello di Trump e chi di Biden e non mancano i furti: i trumpiani sono spesso accusati di togliere i cartelli agli altri, ma per esempio qualche giorno fa una mia amica ha rimosso un cartello pro Trump. Questa è una guerra aperta».
I sondaggi assegnano un solido vantaggio al Democratico Joe Biden, ma il timore che Trump riesca a vincere i grandi elettori perdendo il voto popolare è reale tra i dem. Quant’è probabile un recupero del Presidente a meno di due mesi dal voto?
«Questo è un tema molto interessante e sul quale in Italia si leggono un’infinità di panzane. Diventa un po’ difficile, faticoso e stucchevole fare debunking, per cui a un certo punto ci si arrende per noia. In questa campagna elettorale ho sentito dire in Italia che Nixon ha stravinto le elezioni del 1968, quando in realtà le ha vinte per un voto al seggio. Ha stravinto quelle del 1972, ma il 1972 non era il 1968. Ho sentito dire che Trump, come Nixon, avrebbe usato la tecnica del law and order, scordandosi un dettaglio che a me sembra gigante: Nixon era all’opposizione nel 1968 e i Democratici governavano dal 1960 mentre esplodeva la violenza per le strade. Ma se, come Trump, governi da 4 anni è complicato parlare di legge e ordine: ci sei tu al governo.
L’altra panzana terribile è che nel 2016 i sondaggi non ci hanno preso. Questo non è vero, perché i sondaggi ci hanno preso abbastanza bene: dicevano che Hillary avrebbe vinto di oltre tre milioni di voti e infatti Hillary ha vinto di quasi tre milioni di voti, dopodiché ha perso il collegio elettorale per 78.000 voti in tre Stati, Michigan, Wisconsin e Pennsylvania, pari allo 0,09% di tutti i voti espressi nel 2016. Allora si deve spiegare a chi sostiene che i sondaggi hanno sbagliato che non esiste sondaggio al mondo in grado di prevedere una differenza dello 0,09%, perché Hillary era in vantaggio di circa 3-4 punti e il margine d’errore di quei sondaggi era di 3 punti.
Ci sono stati degli errori nel 2016, ma questi non sono quelli di cui si sta discutendo in Italia. I campioni statistici sottostimavano gli elettori bianchi senza laurea, cioè i diplomati, i lavoratori manuali e i camionisti, che sono la base elettorale di Trump. Perché li sottostimavano? Non per razzismo o classismo, ma perché è molto più facile creare un campione di professionisti laureati attraverso i social piuttosto che creare un campione omogeneo di lavoratori. È un errore periodico negli Stati Uniti. Nel 1948 il Chicago Tribune uscì col famoso titolo Dewey defeats Truman. Truman, il democratico, dopo la vittoria si presentò sorridente con il giornale in mano. Il sondaggio sbagliò perché sottostimava che all’epoca il telefono era un fattore di benessere: ce l’avevano solo i borghesi e non i lavoratori.
L’errore si ripeté nel 2004 quando la mattina del voto tutti i rilevamenti che avevamo noi online ci davano Kerry in vantaggio e invece vinse Bush, perché Rove, il consigliere di Bush, mobilitò quattro milioni di elettori evangelici che non avevano risposto alle rilevazioni online. Da allora i campioni dei sondaggi sono stati aggiustati. Biden è avanti di circa il doppio rispetto a quanto lo era Hillary Clinton. Nate Silver di FiveThirtyEight, Nate Cohn del New York Times e G. Elliot Morris dell’Economist concordano ampiamente su questo vantaggio. Silver dice inoltre che Biden ha il 70-75% di possibilità di vincere le elezioni, mentre Trump solo tra il 25 e il 30%. Se Trump poi vince, i pirla diranno che la previsione era sbagliata.
Allora vorrei spiegare il significato semantico della statistica per questi pirla in due modi. Intanto li inviterei a prendere un aereo chiedendogli: tu ci saliresti su un aereo che ha il 25% probabilità di cadere? Chi salirebbe su un aereo che ha una possibilità su quattro di cadere? Nessuno. Perché uno su quattro è moltissimo, non è poco. Ma anche se ti dicessi di prendere un cioccolatino da una scatola in cui settanta sono buonissimi e trenta iniettati con una siringa di curaro che appena lo prendi cadi fulminato, tu cosa faresti? Nessuno prenderebbe il cioccolatino, perché tre cioccolatini mortali su sette sono tantissimi. Però quando tu questo lo adatti alle elezioni la gente dice che hai sbagliato. C’è un’ignoranza enorme. I sondaggi danno in vantaggio Biden, ma questo non vuol dire che vincerà».
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Si è parlato di election week più che di election night perché l’incremento del voto anticipato e del voto postale potrebbe rallentare lo spoglio la notte del 3 novembre. Lei pensa che, in caso di cambiamenti rilevanti col passare dei giorni, il risultato potrebbe essere contestato dai candidati e finire in tribunale?
«Non credo, perché come dicevo all’inizio queste sono elezioni talmente rivoluzionarie che pensare è inutile. Il Commissario Maigret di Simenon, quando gli chiedono cosa pensa, risponde che non pensa, ma guarda cosa succede. Mi diverte vedere in Italia gente che non mette piede in America da trent’anni spiegare dettagliatamente quello che succede, tipo uomini di adamantina sinistra che hanno scambiato le statue dei razzisti erette quarant’anni fa per statue storiche. Questo deriva da un ignoranza colta, ossia quando tu sei colto e smetti di guardare la realtà. Io cerco di guardare la realtà con grande umiltà. Non abbiamo mai votato durante una pandemia in tempi recenti. Si è votato ai tempi della spagnola, ma la maggior parte degli americani allora viveva in campagna, non in città.
Molti dem voteranno per posta perché vivono in città e non vogliono accumularsi. In molte città come New York il voto sarà anticipato e gli elettori potranno votare per più giorni evitando le code. Molti repubblicani voteranno in presenza perché non vivono in zone metropolitane, non hanno il problema del sovraffollamento e il presidente ha demonizzato il voto postale. Devi contare poi il voto dei soldati che davano Trump a più venti contro Hillary e adesso è più sei per Biden. Certamente il Presidente non concederà a meno che non ci sia una larga vittoria di Biden, che attualmente non si vede nei sondaggi. Ci potrebbe essere uno scenario come quello del 2000 in cui si protrasse a lungo la battaglia tra Al Gore e George Bush».
Quali conseguenze avrebbe per l’Italia una riconferma di Trump e quali, invece, una vittoria di Biden?
«Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha detto che all’Italia non fa differenza se vince Trump o Biden. Tutti hanno detto: ma cosa doveva dire? Il capo del governo italiano non può schierarsi sulle elezioni americane. Io però penso che dicendo così si è schierato. Se uno dice che l’Italia collaborerà con chiunque venga eletto, quello è non schierarsi. Dire che non c’è nessuna differenza significa invece ammettere che la politica estera di Trump e Biden è simile. Questo è sbagliato, anche se ho grande rispetto per il presidente Conte.
Anzitutto, Trump ha portato gli Stati Uniti fuori dagli Accordi di Parigi sul clima di cui l’Italia fa parte, e da questo punto di vista l’Italia ha perso un interlocutore. Trump ha perseguito una politica di ostilità nei confronti dell’Unione Europea e della Germania, a cui l’Italia è legata da esportazioni formidabili. Trump ha espresso simpatia a parole nei nostri confronti e questo va riconosciuto a Conte, ma non ha in alcun modo favorito l’Italia su dazi ed esportazioni e l’ha considerata un Paese europeo come tutti gli altri.
In più il Presidente americano sta conducendo una politica estera unilaterale che ha indebolito la NATO. Parecchi esperti, tra cui il sottoscritto, pensano che se Trump verrà rieletto scioglierà l’alleanza atlantica, relegandola a un ruolo puramente rappresentativo. Dunque c’è un’enorme differenza. Non che con Biden ci saranno rose e fiori, ma tornerà a una politica multilaterale in cui l’Italia avrà un ruolo maggiore».
È venuta a mancare a 87 anni Ruth Bader Ginsburg, la storica giudice decana della Corte Suprema e seconda donna della storia americana a far parte del massimo organo giudiziario. Crede che Trump forzerà la mano cercando di far approvare la nomina di un nuovo giudice, consolidando la maggioranza conservatrice? E quali ripercussioni può avere sulla campagna elettorale una mossa del genere?
«C’è una cosa sulla quale la gente non ha capito Trump. Si diceva che sarebbe stato serio, istituzionale, uno statista che avrebbe vinto il Nobel per la pace grazie all’apertura a Kim Jong-un, ma la Corea del Nord non è mai stata così ostile alla Corea del Sud e ostinata nel programma nucleare come adesso. E quindi Trump sarà Trump. La sua strategia è la strategia del caos, perché ribalta sempre il tavolo, spesso riuscendoci, quindi nominerà sicuramente il successore della giudice, ma è possibile che i suoi lo blocchino. Già in due hanno detto di no, la senatrice del Maine Susan Collins, che cerca disperatamente la rielezione, e la senatrice dell’Alaska Lisa Murkowski.
Quando morì negli ultimi mesi della presidenza Obama il giudice Antonin Scalia, il leader repubblicano al Senato Mitch McConnell disse che avrebbe bloccato la nomina. Adesso dice che non la bloccherà, dando una tipica spiegazione da vecchia volpe della politica, e cioè che non c’entra la scadenza elettorale, perché il Senato e il Presidente sono dello stesso partito a differenza di quattro anni fa. La vicenda della giudice conterà tantissimo perché Trump prenderà un giudice caro agli evangelici, che lo voteranno anche se non approvano la sua condotta personale. È bene ricordare che il presidente rimane in carica a tutti gli effetti fino a gennaio, non è come in Europa.».
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Lei crede che i giornali italiani abbiano un problema a raccontare quello che succede dall’altra parte dell’Oceano?
«Io non ho nessun titolo per giudicare l’informazione italiana dell’America del presente, ci sono sicuramente dei bravissimi giornalisti italiani in America. In passato ci sono stati dei veri e propri giganti, come Ugo Stille, corrispondente per tanti anni dagli Stati Uniti per il Corriere della Sera. Stille è stato il mio maestro e mi ha portato al suo posto al Corriere, ma capiva la politica americana meglio degli americani, avendo l’occhio europeo (era di origine russa).
Oggi i giornali hanno meno soldi, il che rende tutto più difficile. Qualche giorno fa Michele Masneri sul Foglio ha detto che noi vecchi giornalisti prendevamo più soldi dai giornali, ma quando sono venuto qui in America avevo la borsa di studio Fulbright che copriva solo le tasse universitarie della Columbia e lavoravo per mantenermi. Quando facevo il freelance non avevo nessun giornale alle spalle e dividevo la stanza con 3 amici raccogliendo i mobili che buttavano i professori. Si può fare dell’ottimo giornalismo freelance, ma ci vuole un enorme spirito di sacrificio e molti colleghi stanno provando a farlo. Io penso che l’Italia sia in generale abbastanza informata sugli Stati Uniti.
La realtà dei fatti però è che l’Italia è un paese in cui anche Briatore si occupa di politica. Se ricordate, Briatore disse che solo lui aveva previsto l’elezione di Trump. Come fai a ragionare in un sistema di media così inquinato? Il problema spesso sono i commentatori scelti per rango che non mettono piede negli USA da anni e parlano di un Paese di cui loro ormai non capiscono più niente, che vedono solo sui giornali e sta cambiando vorticosamente».