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Spettacolo

Art Site Fest 2020: l’arte di ricucire il presente

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Andrea Borio

Art Site Fest è arrivato alla sua settima edizione torinese. Il festival di arte contemporanea diffuso e capillare, curato da Domenico M. Papa, intreccia un programma di mostre, performance e incontri sparsi in diverse location del capoluogo piemontese e di altre città della regione. Le opere di questa nuova edizione, inaugurata il 10 settembre, resteranno in esposizione fino al 10 novembre. Torino è ormai da alcuni anni uno dei centri nevralgici dell’arte contemporanea in Europa e nel mondo, e anche quest’anno, nonostante le difficoltà che la pandemia ha sollevato nel settore, la città ha continuato in questa direzione. Per gli amanti dei linguaggi e delle forme dell’arte contemporanea si tratta di un appuntamento imperdibile, in attesa di Artissima 2020.

Leggi anche: Arte contemporanea: chi ne pensa cosa.

Art Site Fest – Mending the World: rammendare il mondo

Se da un lato l’arte è risonanza della realtà in cui è calata, specchio mimetico dei drammi e delle contraddizioni della società, dall’altro è sguardo che getta sul presente la luce inattuale di una prospettiva in costante divenire e mai del tutto compiuta. In questo senso, il tema portante del festival di quest’anno si riallaccia a questa polarità. Gli artisti di quest’anno (ognuno con il proprio stile e con le proprie tecniche) si sono interrogati sulle immagini drammatiche del nostro tempo, per provare ad abbozzare, se non un’ipotesi di significato, perlomeno un veicolo di riflessioni ulteriori.

Domenico M. Papa, presidente dell’associazione Phanes e curatore di Art Site Fest, a proposito dell’edizione di quest’anno, ha rivendicato il ruolo dell’arte di riflettere sugli aspetti più salienti della nostra epoca. E ha sostenuto come attraverso l’arte sia «possibile contribuire a rimediare alle rotture inevitabili della storia, dei legami sociali, dell’ambiente». L’idea che sostiene le esposizioni e lega tra loro le varie opere è, per l’appunto, quella di un’arte come sutura alle lacerazioni del presente. È lingua che batte dove il dente duole, in costante equilibrio tra sintomo e terapia. L’ingenua vanità di credere l’arte come una forma di salvezza o salvazione.

La contaminazione è centrale in quest’ottica di ricerca. Le opere si innestano in ambienti con una loro già ben definita ragion d’essere. Per creare nuove collissioni di senso e bellezza, in instabile armonia. I luoghi della mostra sono (e sono stati anche in passato) le residenze reali dei Savoia, dimore storiche, musei e architetture postindustriali. Quest’anno le location che ospitano le opere sono Palazzo Madama, l’Archivio di Stato di Torino, Palazzo Biandrate (sede del Museo Storico della Reale Mutua), la Scuola Holden, la Palazzina di caccia di Stupinigi e – fuori Torino – il Castello Reale di Govone (CN) e il Museo Garda di Ivrea.

Hic Sunt Leones: Palazzo Madama

La facciata barocca di Palazzo Madama, opera dello Juvarra, in Piazza Castello a Torino.

La Corte medievale di Palazzo Madama (piano terra) ospita l’istallazione luminosa Hic Sunt Leones di Elisa Bertaglia (l’ingresso è compreso con il biglietto del museo). Classe 1983, dopo aver studiato all’Accademia di Belle Arti di Venezia, Bertaglia ha cominciato fin dal 2008 a intrecciare il lavoro di critica e curatela con la vocazione artistica. Nell’aprile del 2011 la sua opera Populus III, una serie di 28 disegni e dipinti su carta, è stata selezionata per la 54ª Biennale Arte di Venezia.

Benché l’artista preferisca esprimersi attraverso la pittura, nel contesto di questa edizione di Art Site Fest realizza un’opera luminosa installata a soffitto che si inserisce in perfetta armonia nella pianta romana del piano terra di Palazzo Madama. Una sottile linea di LED agganciata ai quattro pilastri centrali della sala disegna due leoni stilizzati che si guardano specularmente e vengono riflessi dal pavimento di vetro della sala. Il disegno, in realtà, rappresenta una coppia di Komainu, cani-leoni tipici delle rappresentazioni scultoree nei santuari shintoisti giapponesi. Nella loro simbologia, rappresentano dei guardiani posti nella parte più interna del tempio.

Il lavoro di Bertaglia ragiona soprattutto sul tema della soglia e del suo attraversamento. Il titolo dell’opera fa riferimento alla locuzione latina che veniva posta nelle antiche mappe cartografiche per indicare i confini del mondo allora conosciuto. Se i Komainu rappresentano già di per sé una visione circolare del tempo e dello spazio e un’idea di attraversamento tra le soglie e i confini, l’opera di Bertaglia enfatizza questo aspetto. Il riflesso dei due leoni, infatti, sembra muoversi a seconda di come ci spostiamo all’interno della stanza. Guardando in alto alle forme stilizzate viene da pensare alla cultura proprio come a una forma di attraversamento.

Systema naturae: Archivio di Stato di Torino

La serie di opere site-specific che Alice Padovani (classe 1979) ha realizzato per l’Archivio di Stato di Torino si riallaccia al tema scientifico sette-ottocentesco per eccellenza: la tassonomia. L’artista, dopo essersi laureata in Filosofia e Arti Visive, lavora come attrice e regista nel contesto del teatro contemporaneo. La sua ricerca artistica predilige il disegno, l’installazione e la performance. Filo rosso delle sue opere è l’equilibrio tra la spontaneità dell’impulso creativo e il rigore scientifico della tendenza classificatoria neosettecentesca.

Anche per l’edizione di quest’anno di Art Site Fest, Padovani lavora nell’ottica delle installazioni vegetali e dell’assemblaggio entomologico. Il titolo delle installazioni, Systema naturae, fa infatti riferimento al testo omonimo di Carlo Linneo (medico botanico e naturalista svedese), opera fondamentale nel processo settecentesco di organizzazione tassonomica del regno animale. Questo spirito classificatorio e conservativo è alla base anche della moderna concezione dell’archivio come ordinamento e conservazione delle attività umane.

Le installazioni, realizzate in tecnica mista, simboleggiano il connubio fantastico di mondo naturale e mondo culturale e sociale. Non tutte le installazioni del percorso risultano completamente efficaci, e rischiano di passare in secondo piano nel contesto in cui sono inserite. Tuttavia, il risultato è apprezzabile e offre interessanti spunti di immaginazione. E la suggestione di poter piegare le forme naturali secondo una traiettoria artistica è un’interpretazione di gran lunga più stimolante rispetto all’idea ormai abusata dell’arte come recupero di un’unione perduta tra uomo e natura.

Leggi anche: Il corpo femminile nell’arte performativa: un’eredità in evoluzione.

Kintsugi: Palazzo Biandrate

Esempio di kintsugi.

Tra le sale di Palazzo Biandrate, sede storica della Reale Mutua Assicurazioni e oggi museo della sua storia, sono state allestite le opere di Fukushi Ito (ingresso gratuito). Nata a Nagoya, in giappone, nel 1952, dopo la laurea alla Tokyo University of the Arts, l’artista si è trasferita in Italia, dove vive dagli anni Ottanta. Il suo lavoro, diviso tra l’Italia e il Giappone, riflette il virtuoso connubio culturale di questi mondi così lontani. Le sue opere, realizzate con tratti di straordinaria poeticità, giocano sull’equilibrio tra atmosfere oniriche e fascinazioni fantascientifiche.

In occasione di Art Site Fest 2020, Fukushi Ito realizza una serie di globi in polisterolo colorati. Le opere, che si ricollegano a un lungo lavoro di ricerca artistica, richiamano fin dal titolo l’antica pratica giapponese del kintsugi. Quest’arte consiste nell’utilizzo di oro o argento liquido per la riparazione di ceramiche rotte. I risultati che si ottengono da questo procedimento sono virtuosi, tanto dal punto di vista estetico, quanto da quello filosofico. Alla base sta, infatti, il gesto di ottenere un’aggiunta di valore dalla frattura di un oggetto, che non sia la semplice riparazione. A questi aspetti si aggiunge il fatto che gli oggetti riparati in questo modo si trasformano in artefatti preziosi.

Fukushi Ito recupera questa tecnica tradizionale giapponese dipingendo venature dorate lungo la superficie informe e butterata delle sfere. L’ammicco è soprattutto rivolto al tema del festival. Le sfere colorate ricordano pianeti alla deriva nello spazio profondo, in balzo sopra rotte inconsuete e imprevedibili. Tuttavia, il pensiero principale va al nostro pianeta, alle ferite e alle fratture che l’hanno attanagliato in questo infausto 2020. Allora il kintsugi, simbolo della resilienza, con il suo impulso a rendere preziosa la fragilità, può diventare anche metafora di un’arte come principio di ricomposizione dei frammenti del nostro presente.

Le altre sedi e le altre opere di Art Site Fest

Ingresso della Palazzina di caccia di Stupinigi.

Le altre location del festival di quest’anno sono la Scuola Holden (ingresso gratuito su prenotazione dalla mail della scuola), nella splendida cornice multietnica del rione storico di Borgo Dora. Qui sono esposte alcune fotografie dell’artista pop surrealista canadese Dina Goldstein (classe 1969). La serie di scatti, intitolata Snapshots from Garden of Eden, ricrea in bianco e nero alcuni eventi biblici in contesti contemporanei. La Palazzina di caccia di Stupinigi, invece, espone una mostra collettiva dal titolo emblematico di Penelope’s gaze (ingresso compreso con il biglietto del sito).

La mostra ospita le opere delle già citate Elisa Bertaglia e Alice Padovani, e di Florencia Martinez e Monika Grycko. Martinez è un’artista italoargentina nata a Buenos Aires nel 1962, ma residente in Italia dagli anni Novanta. Nei suoi lavori la fotografia si amalgama con altre tecniche come la pittura e il ricamo, l’installazione e la performance. Tra i temi più cari all’artista la memoria storica dei luoghi, la costruzione dell’identità e il ruolo della donna nella società contemporanea. Monika Grycko è un’artista polacca nata a Varsavia nel 1970. Vive in Italia dagli anni Novanta, legata alla Romagna e soprattutto a Faenza. La sua produzione artistica riguarda principalmente la lavorazione della ceramica.

Spostandoci da Torino, gli altri luoghi del festival sono il Castello Reale di Govone (CN) e il Museo Garda di Ivrea. Nel primo sono presenti tre mostre: L’origine scomposta delle cose di Daniela Conte, artista milanese classe 1979; #iorestoacasa di Marianne Schmid, progetto ospite in collaborazione con Creativamente Roero; Intimate Places di Raja Khairallah, artista torinese del 1987. A Ivrea sarà presente a partire dal 4 ottobre Visitazioni del pittore cremonese Agostino Arrivabene, classe 1967.

Art Site Fest: un’arte che interroga il presente

Tutte le opere esposte, dunque, riflettono a proprio modo il tema centrale del festival: la sfida di pensare un’arte che possa provare a ricucire e sanare le ferite che attraversano questi giorni difficili. Con linguaggi diversi e diverse tecniche artistiche, gli artisti hanno indagato le traiettorie in cui si muove e si rivolge il mondo in cui stiamo vivendo. Interrogandosi su alcuni dei temi centrali del nostro tempo (la crisi ambientale, l’incontro-scontro tra culture, etnie e religioni diverse, la pandemia, la costruzione dell’identità, ecc.), hanno dato vita – in alcuni casi – a traduzioni artistico-visuali di rara bellezza e poeticità.

Non mancano i casi in cui i risultati ottenuti non sono sembrati all’altezza dell’onere delicato che il topic del festival si era proposto. Tuttavia, Art Site Fest 2020 resta un appuntamento imperdibile non soltanto per gli amanti dell’arte contemporanea o dell’arte in generale, ma per chiunque. Un modo, altresì, per poter finalmente riprendere possesso dei luoghi della cultura (ancora così tristemente vuoti), che continuano ad arrancare dietro alle torsioni che il lockdown ha generato.

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