I racconti provenienti dalla «metà oscura», cioè quelle storie misteriose e a tratti macabre, sono da sempre molto apprezzati dal pubblico. In Italia, un volto noto di queste storie, che siano fatti di cronaca o narrazioni inventate, è certamente Carlo Lucarelli.
Carlo Lucarelli, nato a Parma nel 1960, ha esordito nel mondo della letteratura nel 1990, con Carta Bianca, pubblicato per la casa editrice Sellerio. Dal 1990 ad oggi ha pubblicato oltre venti romanzi, diversi saggi e raccolte di racconti. Ha scritto anche racconti per ragazzi e nel 2015 è uscito il suo primo libro per bambini, dal titolo Thomas e le gemelle. Per la RAI è stato poi autore e conduttore del programma Mistero in Blu, Blu Notte, Blu Notte Misteri Italiani, Lucarelli Racconta e La tredicesima ora. Ha poi collaborato con il canale Sky Arte HD e con il canale Crime Investigation.
Due dei suoi personaggi più famosi, l’ispettore Coliandro e il commissario De Luca, hanno dato il nome alle serie TV omonime, sempre per la RAI. Inoltre ha scritto per la radio, tra cui il programma Deegiallo per Radio DJ. Nel 2010, con Giampiero Rigosi, Michele Cogo e Beatrice Renzi, ha fondato a Bologna la Bottega Finzioni, la “bottega” in cui si impara il mestiere di raccontare.
Oggi theWise Magazine ha incontrato lo scrittore e conduttore televisivo Carlo Lucarelli.
«Il giallo in sé, sia come letteratura che come narrazione, è affascinante per più motivi. Prima di tutto è una macchina narrativa quasi perfetta. Se raccontassi una storia, iniziando con un mistero, svelando piano piano i particolari e facendo crescere la tensione, ovviamente questo sarebbe attraente per chi mi ascolta.
Altro motivo per cui il racconto ci affascina è perché parla di quella che definisco la “metà oscura”. Questa ci interessa proprio perché ci fa paura. Spesso queste narrazioni si identificano con la cronaca nera, ma se ci pensiamo bene, anche la fede, la religione e la scienza raccontano le cose con la tecnica del giallo, indagando e scoprendo di volta in volta qualcosa di nuovo.
Terzo fattore per cui il giallo ci affascina così tanto è il fatto che si va a solleticare una parte di noi che è facilmente solleticabile, che è quella dell’orrore, del sangue in sostanza. Questo è un altro importante elemento che ha fatto il successo del giallo, sia come genere letterario che come cronaca nera.
Da piccolo, a casa, avevo un lungo corridoio. C’erano stanze con porte aperte, e non ricordo nemmeno cosa ci fosse dentro, altre stanze con le porte chiuse a chiave e stanze con le porte socchiuse, dentro le quali intravedevo qualcosa che mi inquietava, perché erano buie e silenziose. Proprio queste sono quelle che mi interessavano e che sono andato a esplorare».
«Sicuramente sì. Quando c’è troppa dovizia di particolari si sfocia inevitabilmente nel gusto del macabro, il macabro c’è ed è un aspetto che attira la nostra attenzione. Le cose strane, che vanno oltre i limiti e che ci scuotono, ci attraggono.
Le cose si possono fare o bene o male: lo stesso vale per la cronaca nera. Per spiegarmi faccio sempre questo esempio. Quando andiamo in autostrada e vediamo un incidente nella corsia opposta, è naturale mettersi a guardare e, se l’incidente è molto grave, in qualche modo “cercare il morto”. Una volta tornati a casa, se pensiamo che sia utile far controllare i freni, quella rappresentazione del macabro ha funzionato. Se invece mi schianto contro quello davanti a me, che continua a guardare l’incidente, è sbagliato. Questo diventa pornografia dell’orrore.
Come narratore e giornalista, ho sempre cercato di evitare di cadere in queste dinamiche. Non è che tre morti facciano più paura di uno, quindi cinque facciano più paura di tre. No, non è il numero di morti, ma tutto dipende da come si raccontano le cose. Se le cose sono raccontate bene, sia dal punto di vista del giallo, sia dal punto di vista etico e morale, raccontando la persona, chi fosse, cosa facesse, la narrazione diventa affascinante. Questi particolari non sono macabri e non servono a fare paura, ma solo a raccontare la vittima e la sua morte. Purtroppo a volte si pensa che più ci sia macabro, violenza e numero di vittime, più ci sarà audience, ma non è vero, è un grave errore».
«Ci si avvale sempre della consulenza di professionisti, qualunque sia il campo. Scrivere romanzi gialli, soprattutto polizieschi, significa scrivere racconti che, seppur nati dalla fantasia, devono essere realistici. Diversamente quello che raccontiamo sembrerebbe fantastico e non ci crederebbe nessuno. Dire che il delitto è avvenuto in Via del Passero, come ho raccontato in una storia di Coliandro, anche se è una via inventata, rende la narrazione più verosimile, solo perché si è nominato un dettaglio.
Lo stesso vale per i mestieri, soprattutto nel caso del poliziotto che è sempre in continuo aggiornamento. Parlo spesso con poliziotti, carabinieri, tecnici della scientifica, avvocati o giudici. Serve per non scrivere sciocchezze, ma soprattutto perché non esiste nulla di più incredibile di quello che succede nella realtà. Se la vittima è un tassista, occorre però parlare con un tassista. Lo stesso vale anche però per i criminali, ma è molto più difficile».
«Gli stessi di quelli di ieri, direi. Mi sono occupato anche di casi del passato, e posso affermare che si uccide oggi esattamente come ieri. Probabilmente non nello stesso modo, ma sicuramente per gli stessi motivi: avidità, odio, desiderio, follia o vendetta. Lo si fa in maniera diversa, perché ci sono altre possibilità, ma i delitti sono gli stessi. Ricordo il caso di Rina Fort, degli anni Quaranta. Questa donna, per vendicarsi dell’amante, uccise a sprangate la moglie di lui e i tre bambini, di cui uno sul seggiolone. Uso sempre questo esempio per dire che le cose che leggiamo sul giornale oggi sono già accadute e probabilmente accadranno di nuovo.
Il criminale di oggi è un criminale 2.0, che usa internet magari. Una volta si diceva di non accettare caramelle da sconosciuti, mentre oggi l’adescamento avviene online. I criminali però rimangono criminali e le vittime rimangono vittime».
«Ogni tanto me lo chiedono, e rispondo sempre che tutte ovviamente sono impresse in qualche maniera, altrimenti non le avrei raccontate. Ne scelgo una però, il caso Alinovi. Francesca Alinovi era una professoressa del DAMS, che è stata assassinata a Bologna nel 1983, all’età di trentacinque anni. Questo caso mi ha sempre colpito e lo eleggo come caso esemplare, per tanti motivi. Non perché fosse particolarmente efferato, ma per la personalità della vittima, misteriosa e affascinante».
«In quei due casi non è tanto la metà oscura, quanto il clima culturale, sociale e caratteriale. Ci sono certi “valori” che hanno portato a certe conseguenze. Lo stesso accade se parliamo di maltrattamenti in famiglia, femminicidio e abuso: entrano in gioco disvalori di maschilismo e violenza, che vengono espressi. Spesso però in passato ci sono state avvisaglie, che magari non sono state colte.
Ci sono però molti casi di persone che riteniamo tranquille, che compiono atti che non potevamo mai immaginare. La scrittrice Patricia Highsmith racconta proprio vicende di persone che, ritenute normali e insospettabili, piano piano per via di buchi neri nel carattere si ritrovano a fare gesti impensabili. Succede purtroppo a tutti e dobbiamo stare molto attenti. Abbiamo tutti una metà oscura, che spesso è data dal contesto in cui viviamo e dal nostro retaggio culturale, che pensiamo essere normali e stabili. Sotto invece nascondono falle, che prima o poi esploderanno. L’importante è non abbassare mai la guardia».
«Ho appena finito di scrivere il mio ultimo romanzo, ma ne ho un altro paio in testa, vedremo quale dei due si sedimenterà prima. Uno è ambientato nell’era contemporanea, mentre l’altro durante il periodo del fascismo.
Per la televisione ho finito di registrare una serie per SkyArte, in cui ci siamo occupati di favole e sono in preparazione le prossime stagioni di Coliandro. Per la radio ancora nulla. Ho fatto Deegiallo su Radio DJ, mi sono divertito tantissimo. La radio è meravigliosa, ci sei soltanto tu e il microfono e chi ti ascolta sente soltanto la tua voce».
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