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Economia

Stefano Bonaccini: ambizioni e strategia di un leader emergente

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Daniel Bonfanti

Stefano Bonaccini è senza dubbio il volto emergente del PD. Fino a due settimane fa era anche di fatto l’unico capace di battere Salvini; poi la tornata elettorale del 20 e 21 settembre ha consolidato la leadership di Zingaretti, decisamente alternativa per modi e contenuti a quella del Presidente dell’Emilia-Romagna. 

Leggi anche: PD in crisi d’identità.

I voti alle regionali non significano necessariamente un apprezzamento alla segreteria del partito, ma senza dubbio hanno dato nuova linfa al Presidente della Regione Lazio, che visti i risultati ora reclama un peso maggiore nel governo. Non sappiamo se le ambizioni di Bonaccini si quieteranno nei prossimi mesi. Ciò che è certo è che da gennaio non ha fatto nulla per scostarsi dalle frequenti attenzioni mediatiche che giornali e tv hanno rivolto nei suoi confronti. Una figura dalla forte personalità, con una strategia comunicativa ben precisa, molto attento a sottolineare le proprie vittorie e a marcare le difficoltà del suo partito. Vi ricorda qualcuno?

Stefano Bonaccini pianta un albero a Bobbio (PC). Foto: profilo Instagram ufficiale @sbonaccini

Le ambizioni da segretario di Stefano Bonaccini

Non si può dire che Stefano Bonaccini stia tentando di scalare il partito per prendersi la segreteria, ma non si può nemmeno dire il contrario. Sicuramente la vittoria in Emilia-Romagna lo ha portato a essere uno degli esponenti più in vista del Partito Democratico. La leadership discreta di Zingaretti, uno a cui non piace occupare la scena, lo ha aiutato in questo senso. Ci sono però almeno due punti da sottolineare di quella vittoria e degli effetti che ha avuto.

Uomo di partito

In primo luogo esiste uno iato evidente tra la sua storia e la proiezione all’esterno della sua immagine. Formatosi nella scuola del partito, è uno di quelli che di professione fa il politico. Non si è prestato alla causa dopo anni da magistrato o da imprenditore: il Bonacc è uno che frequenta questi ambienti da tutta la vita e che in politica vuol fare carriera. Ha partecipato attivamente nella sua regione a quella riflessione avvenuta a sinistra dopo la caduta del muro e conseguentemente dei partiti comunisti europei. È passato dal Pds ai Ds fino al PD, diventando segretario regionale per l’Emilia-Romagna nel 2009. 

Un leader più che critico

Pur essendo un uomo del partito, durante l’ultima campagna elettorale –  il Partito Democratico non viveva un buon momento, bisogna dirlo – il candidato uscente Stefano Bonaccini ha corso per la rielezione cercando in tutti i modi di distaccarsi dalla sua matrice politica. Si è guardato bene dal legare la sua immagine a quella del partito, cercando di evidenziare maggiormente i suoi successi da Presidente di regione e le sue competenze piuttosto che le issues del PD. Una strategia elettorale, senza dubbio vincente. Ma anche un atteggiamento mantenuto dopo la sua rielezione, quando spesso ha ricordato al PD la necessità  di tendere una mano alle imprese del Nord e ha criticato l’alleanza con il Movimento 5 Stelle. Stefano Bonaccini è del PD, ma non sembra mai troppo convinto di volerci stare davvero. 

La vittoria in Emilia-Romagna

Infatti – e qui si arriva al secondo punto – la vittoria in Emilia-Romagna è stata più volte intestata a lui più che al Partito Democratico. Giornali e televisioni lo hanno celebrato e Boonaccini non ha fatto nulla per scostarsi da queste lodi, esaltando il modello della sua regione in contrapposizione a quello nazionale.

La vittoria in Emilia-Romagna non può però essere paragonata facilmente al contesto nazionale. La regione di Bonaccini è il cuore della sinistra italiana, vive di rapporti socio-economici che si sono consolidati negli anni, è il modello rosso che funziona. Una candidata sfidante decisamente impreparata, una campagna elettorale sbagliata da parte di Salvini e la mobilitazione di piazza delle Sardine hanno fatto il resto. In Emilia-Romagna non ha vinto solo Bonaccini, ha vinto la specificità di questa regione. Checché ne dica lui, che durante l’estate ha girato l’Italia insegnando alla sinistra come battere Salvini, la vittoria ottenuta nella sua regione sarebbe difficilmente replicabile sul piano nazionale. 

Un personaggio che piace

La vittoria di gennaio però lo ha senza dubbio posto sotto la luce dei riflettori e legittimato agli occhi degli elettori. Bonaccini cattura le attenzioni dei media, siano essi quotidiani, riviste o televisioni. Praticamente ogni giorno ce lo troviamo in un talk show o in una pagina di un giornale. Uno spazio decisamente ampio per un Presidente di Regione, giustificato da un reciproco interesse tra le parti. Ai media Bonaccini piace perché buca lo schermo, personalizza il dibattito e usa un linguaggio diretto. A Bonaccini i media piacciono perché lo aiutano a costruire la sua leadership e ad aumentare il suo ego. 

Romagna mia, Romagna in fiore

Anche sui social Bonaccini è costantemente sul pezzo, e come potrebbe non essere così. Per un politico che ambisce a diventare leader del suo partito è fondamentale esprimere la propria opinione su quasi tutto ciò che succede. Per piacere ai follower poi perché non pubblicare fotografie di splendidi paesaggi, luoghi della tradizione, un po’ di folklore. Romagna mia, Romagna in fiore insomma, perché un po’ di politica pop – quando si gode di un alto indice di gradimento – non ha mai fatto male a nessuno. I social sono per Bonaccini lo spazio per fare la cronaca del suo lavoro di politico, per condividere fotografie del suo territorio, annunciare la sua presenza in un talk show. Costantemente, con più di quattro/cinque post al giorno su ogni piattaforma.

«Vi ricorda qualcuno?», parte due. 

Una strategia anacronistica?

I leader piacciono, si sa, e continueranno a piacere. Ma l’enfatizzazione delle proprie capacità personali alla lunga stanca. In Italia siamo pieni di esempi di ascese rapide e discese altrettanto repentine, Bonaccini dovrà sicuramente prestare attenzione a questa variabile. Anche perché in nessun partito come nel PD sono importanti i rapporti, le reti tra i candidati, avere un’immagine forte non solo agli occhi degli elettori ma anche e soprattutto all’interno del partito.

I tempi son cambiati

Meglio parlare poco e farlo con toni pacati che imporsi come unica figura in grado di dare una scossa al Paese. In questo particolare periodo storico la narrazione dell’uomo solo al comando non funziona più e gli elettori sembrano molto più portati a premiare ciò che conoscono rispetto al cambiamento per partito preso. Inoltre, come dimostra una ricerca rilanciata da eMarketer, i cittadini (americani) non apprezzano particolarmente i messaggi dei politici sui social, addirittura il 52% preferirebbe non vederli. Come detto di questi tempi meglio parlare poco e farlo piano, senza alzare la voce. 

Il posto di Bonaccini nel PD

Stefano Bonaccini se vorrà affermarsi come prossimo leader del Partito Democratico dovrà dunque considerare questi aspetti. Non si diventa segretari criticando la leadership e proponendosi come unica alternativa a Salvini. Il PD, dopo l’esperienza di Renzi, si è fatto gli anticorpi. Anche gli elettori se li sono fatti e hanno capito che non è sufficiente avere un posizionamento diffuso sui mezzi di informazione e sui social per ottenere voti e consenso. Dalla sua Bonaccini ha però senza dubbio il merito di amministrare bene la sua Regione.

In buona sostanza, dopo essersi fatto conoscere, il Bonacc dovrà maturare sia nella proiezione della sua immagine interna al partito sia in quella esterna. Per essere un leader nazionale spendibile nel futuro e non semplicemente una caricatura del passato. 

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Daniel Bonfanti

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