Lo scorso 23 settembre la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen e il vicepresidente Margaritīs Schinas hanno presentato a Bruxelles il nuovo Patto dell’Unione Europea sull’immigrazione e l’asilo. Il piano andrebbe a sostituire il regolamento di Dublino III che attualmente regola il Sistema Europeo Comune di Asilo (CEAS) e che la maggior parte dei Paesi europei critica duramente da anni. Durante i primi mesi del 2020, complice dapprima la stagione invernale e poi lo scoppio della pandemia da COVID-19, il problema dell’immigrazione in Europa era momentaneamente in pausa. Con l’arrivo di temperature più miti, il flusso migratorio ha però ripreso e ha nuovamente messo in luce l’inefficacia delle attuali norme europee in materia.
La proposta della Commissione Europea
Il nuovo Patto sull’immigrazione e l’asilo era atteso da mesi, messo da parte momentaneamente a casa di problemi più urgenti legati alla crisi epidemica. La proposta è arrivata il 23 settembre, a circa due settimane dal terribile incendio che ha colpito il campo profughi di Moria. Il campo sull’isola greca di Lesbo era diventato nel 2016 un hotspot, cioè uno dei centri allestiti dall’Unione Europea per sostenere i Paesi di frontiera nell’identificazione e registrazione dei migranti. Era ben presto diventato un enorme campo profughi: al momento dell’incendio ospitava circa dodicimila migranti. La presidente della Commissione Europea aveva già annunciato una modifica al regolamento di Dublino durante il suo discorso sullo Stato dell’Unione, lo scorso 16 settembre. L’ufficializzazione della proposta è arrivata e ha già suscitato polemiche da parte della maggior parte degli Stati membri.
Come funziona l’attuale Regolamento di Dublino
Attualmente, il Sistema Europeo Comune di Asilo è regolato dal Regolamento Dublino approvato nel 1990 ed entrato in vigore nel 1997. Le norme in vigore prevedono che gli Stati membri in cui i migranti e i rifugiati arrivano – solitamente gli Stati di frontiera – hanno l’obbligo di identificare e procedere nella valutazione delle richieste d’asilo. L’intera procedura è molto lunga (dura circa due anni) e richiede agli Stati frontalieri un enorme sforzo in termini di gestione dell’accoglienza ed elaborazione dell’elevato numero di pratiche. Fin da subito, il sistema si è dimostrato farraginoso e inefficace nel gestire gli enormi flussi d’immigrazione che hanno investito i Paesi membri dell’Unione Europea negli ultimi anni. Dal 1997 sono state effettuate delle riforme: l’ultima, nel 2013, ha dato vita all’attuale regolamento Dublino III, ma il funzionamento generale del sistema è rimasto invariato.
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Nonostante gli Stati Membri di primo arrivo, in particolare Italia e Grecia, abbiano ripetutamente chiesto una modifica sostanziale del regolamento, non si è mai stati in grado di raggiungere un accordo all’interno del Consiglio dell’Unione. Il vicepresidente della Commissione, Margaritīs Schinas, ha ora ribadito la volontà di superare il sistema di Dublino con un piano che introduce un “meccanismo di solidarietà obbligatoria”.
Cosa prevede il nuovo Patto sull’immigrazione e l’asilo
Secondo quanto spiegato dalla presidente della Commissione e dal commissario europeo per la migrazione, il nuovo Patto si fonda su tre pilastri principali. Sul piano esterno, la proposta della Commissione prevede di rafforzare gli accordi con i Paesi di origine e di transito dei richiedenti asilo, in modo da evitare che inizino un viaggio verso l’Europa che spesso si rivela molto pericoloso e, a volte, letale. A livello delle frontiere dell’Unione, il piano si prefigge un rafforzamento dei controlli ai confini tramite lo schieramento della guardia di frontiera e costiera europea (FRONTEX).
Inoltre, obbliga i Paesi di frontiera a effettuare dei controlli rapidi sui migranti in arrivo per controllarne lo stato di salute e valutare l’ammissibilità delle richieste d’asilo. Il primo screening deve avvenire entro cinque giorni dall’arrivo, mentre l’intera procedura di valutazione della richiesta d’asilo non potrà durare più di dodici settimane. Questo implica che all’interno del territorio dell’Unione ci siano delle liste uniformi di Paesi terzi considerati sicuri, i cui nazionali potranno essere rimpatriati. Infine, l’ultimo tassello del nuovo piano è il meccanismo dei cosiddetti “rimpatri sponsorizzati”.
Il meccanismo di return sponsorship
Il terzo pilastro prevede dunque che uno stato dell’Unione possa chiedere l’intervento della Commissione in tre occasioni: effettiva o prevista pressione migratoria, crisi migratoria, sbarco di persone soccorse in mare. A questo punto dovrebbero entrare in campo gli altri paesi dell’Unione Europea, sollecitati dalla Commissione. Gli altri Stati membri hanno in una prima fase l’obbligo di offrire supporto operativo immediato al Paese che ha attivato il meccanismo, poi si offre però loro una possibilità di scelta. I Paesi devono presentare un cosiddetto “piano di solidarietà” in cui possono scegliere se accogliere un numero a loro scelta di richiedenti asilo sul proprio territorio. In via alternativa, invece, possono decidere di offrire aiuto al Paese di frontiera per rimpatriare i migranti la cui richiesta d’asilo è stata rifiutata (return sponsorship). O ancora, possono scegliere di contribuire al finanziamento di programmi di sviluppo nei Paesi di origine dei migranti.
Dunque, è stato abbandonato l’obiettivo di stabilire delle quote obbligatorie di redistribuzione dei richiedenti asilo tra i 27 Paesi dell’Unione. Nelle proposte precedenti questo meccanismo era stato fortemente osteggiato dai Paesi dell’Est e dal cosiddetto gruppo di Visegrád, guidato da Austria, Polonia e Ungheria. La Commissione Europea ha quindi deciso di cambiare radicalmente approccio sull’immigrazione. Si è passati dalla volontà di stabilire un sistema di solidarietà nell’accoglienza dei migranti a uno che invece punta a condividere a livello europeo gli sforzi sui rimpatri e sul miglioramento delle condizioni nei Paesi d’origine.
Le reazioni alla proposta della Commissione
Il nuovo patto è stato accolto negativamente da entrambi gli schieramenti di Stati membri. I Paesi di frontiera, come Italia, Spagna e Grecia, la considerano una proposta troppo debole. Come con il regolamento di Dublino, su di loro ricadrebbe di nuovo l’onere di valutazione di tutte le richieste di asilo. Mentre Viktor Orbán, il primo ministro ungherese e leader del gruppo di Visegrád, ha ribadito la sua volontà di fermare completamente i flussi migratori con una chiusura dei confini, non gestirli. Numerosi esponenti della sinistra radicale europea e alcuni leader di ONG che si occupano di migrazione hanno invece accusato la Commissione di considerare “solidarietà” il semplice rimpatrio dei migranti nei loro Paesi d’origine.
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La reazione italiana
Da parte del governo italiano, il Primo Ministro Giuseppe Conte è sembrato più aperto al dibattito di tanti suoi colleghi europei. In un tweet ha dichiaro che il nuovo «Patto sulla Migrazione è un importante passo verso una politica migratoria davvero europea». Il commento del ministro dell’Interno Luciana Lamorgese è stato molto tiepido. Il Viminale ha espresso le sue perplessità sull’efficacia e la rapidità del sistema di solidarietà e di sponsorizzazione dei rimpatri. Ha inoltre lamentato la mancanza di un’effettiva e netta modifica degli accordi di Dublino, con il completo abbandono della proposta di condivisione di quote di redistribuzione dei migranti sul territorio dei 27 Stati membri.
Ad ogni modo, la proposta della Commissione ora dovrà essere esaminata del Parlamento Europeo e del Consiglio. Considerato il malcontento già espresso dalle diverse fazioni, sarà sicuramente difficile concretizzare il nuovo piano, a meno di emendamenti sostanziali.