L’Armenia non vuole combattere, ma siamo pronti a reagire davanti ad altre aggressioni.
Così dice A. A., una civile armena a cui è stata richiesta una riflessione su questo conflitto. Sì, perché se l’Armenia non ha mai smesso di essere una zona calda, il mondo ha ricordato questa nazione nell’aprile 2016 e il 27 settembre 2020.
Con soli tre milioni di abitanti, contro i dieci dell’Azerbaijan, l’Armenia cerca di far sentire la propria voce quando ancora esiste chi che nega il genocidio del 1915. Ma perché nessuno ne parla? La risposta è molto semplice: mentre il mondo non guarda, troppo preso da altri problemi, a chi importa di una piccola nazione poco coinvolta nella politica internazionale? Dato che il mondo occidentale sta affrontando la nuova ondata di contagi da Covid-19 e crisi di governo in molte nazioni, all’Europa poco importa del Nagorno e degli interessi di altre nazioni a proseguire una guerra che trova le sue radici nell’Impero Ottomano.
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Questa è stata la strategia adottata dall’Azerbaijan per riprendere il conflitto contro l’Armenia, sostiene A.A. E se nessuno ne ha saputo niente fino a poche settimane fa, il merito va ai mezzi di comunicazione. Il motivo alla base della lunga guerra tra i due Stati, entrambi parte dell’ex URRS, è il territorio; ma non solo. Infatti, i motivi etnici sono fondamentali. Il ministro dei esteri russo Lavrov ha ottenuto da entrambe le parti il cessate il fuoco, in modo da poter recuperare anche i corpi dei propri caduti. Non sappiamo quanto questa tregua durerà, ma è presumibile molto poco.
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La regione del Nagorno Karabakh o Artsakh, oggi azera ma popolata da armeni, fu già oggetto di contesa con l’Azerbaijan in una sanguinosa guerra fra 1988 e il 1994 e da tempo è invasa da soldati azeri e mercenari turchi. Inoltre, al centro degli interessi vi è una zona cuscinetto azera. Gli scontri sono ogni giorno più violenti, con l’esercito azero più armato di quello armeno. La geografia fisica dei luoghi, perlopiù montuosi e collinari, rende ancora più terribile il conflitto a fuoco aperto. La Russia ha infatti un accordo di difesa con l’Armenia, mentre la Turchia fornisce all’Azerbaijan uomini e armi.
La guerra azero-armena potrebbe quindi nascondere quella più conosciuta russo-turca, che vedrebbe aperto così un terzo fronte dopo la Siria e la Libia. Sembra quindi il proseguimento del conflitto dipenderà più da Putin ed Erdoğan che da Aliyev e Pashinyan.
Alla linea russo-turca non sfugge il ruolo di altre nazioni: USA, che esportano armi in Turchia; Israele, che finanzia l’Azerbaijan con investimenti statunitensi; Iran, l’unico Stato che ha aperto i confini all’Armenia.
I confini armeni sono oggi una zona caldissima e la Georgia ha chiuso ogni comunicazione con l’Armenia. Mentre il dittatore azero Ilham Aliyev, arricchito il Paese con il petrolio, vuole ampliare il territorio, l’Armenia del primo ministro Nikol Pashinyan non ne vuole sapere di una guerra che potrebbe distruggere lo Stato. Ma di fronte alle manifestazioni a Baku contro lo dittatura, una nuova guerra può essere uno strumento per distogliere l’attenzione? L’Armenia è certo più povera dell’Azerbaijan, ma non intende lasciare nulla di intentato.
C’è anche chi vede una sotto trama religiosa: gli azeri sono in larga parte musulmani, mentre gli armeni cristiani. A.A. sostiene che nuove pulizie etniche si stanno diffondendo nelle città armene invase e distrutte, ma di questo il mondo non parla. E che tremila anni di storia non possono essere cancellati, anche se non si tratta di una potenza mondiale. Le somiglianze con la guerra israelo-palestinese sono tante e drammatiche.
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